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La chiesa non era maestosa come altre che vidi in seguito a
Strasburgo, a Chartres, a Bamberga e a Parigi. Assomigliava
piuttosto a quelle che già avevo visto in Italia, poco inclini a e-
levarsi vertiginosamente verso il cielo e saldamente posate a
terra, spesso più larghe che alte; se non che ad un primo livel-
lo essa era sormontata, come una rocca, da una serie di mer-
li quadrati; poi vidi un trono posto nel cielo e uno assiso sul tro-
no.
Il volto dell’Assiso era severo e impassibile, gli occhi spalancati
e dardeggianti su di una umanità terrestre giunta alla fine della
sua vicenda, i capelli e la barba maestosi che ricadevano sul
volto e sul petto come le acque di un fiume, in rivoli uguali e
simmetricamente bipartiti.
La corona che portava sul capo era ricca di smalti e di gemme,
la tunica imperiale color porpora gli si disponeva in ampie volute
sulle ginocchia, intessuta di ricami e merletti in fili d’oro e d’ar-
gento. La mano sinistra, ferma sulle ginocchia, teneva un libro
sigillato, la destra si levava in attitudine non so se benedicente o
minacciosa. Il volto era illuminato dalla tremenda bellezza di un
nimbo cruciforme e fiorito, e vidi brillare intorno al trono e sopra
il capo dell’Assiso un arcobaleno di smeraldo. Davanti al trono,
sotto i piedi dell’Assiso, scorreva un mare di cristallo e intorno
all’Assiso, intorno al trono e sopra il trono, quattro animali terri-
bili – vidi – terribili per me che li guardavo rapito, ma docili e dol-
cissimi per l’Assiso, di cui cantavano le lodi senza riposo.
Ovvero, non tutti potevano dirsi terribili, perché bello e gentile mi
apparve l’uomo che alla mia sinistra (e alla destra dell’Assiso) por-
geva un libro. Ma orrenda mi parve dal lato opposto un’aquila, il bec-
co dilatato, le piume irte disposte a lorica, gli artigli possenti, le gran-
di ali aperte. E ai piedi dell’Assiso, sotto le due prime figure, altre
due, un toro e un leone, ciascuno dei due mostri serrando tra gli
artigli e gli zoccoli un libro, il corpo volto all’esterno ma il capo ver-
so il trono, come torcendo le spalle e il collo in un impeto feroce, i
fianchi palpitanti, gli arti di bestia che agonizzi, le fauci spalancate,
le code avvolte e ritorte come serpenti e terminanti all’apice in lin-
gue di fiamma.
Entrambi alati, entrambi coronati da un nimbo, malgrado l’apparen-
za formidabile non erano creature dell’inferno, ma del cielo, e se
tremendi apparivano era perché ruggivano in adorazione di un Ven-
turo che avrebbe giudicato i vivi e i morti. Attorno al trono, a fianco
dei quattro animali e sotto i piedi dell’Assiso, come visti in trasparen-
za sotto le acque del mare di cristallo, quasi a riempire tutto lo spa-
zio della visione, composti secondo la struttura triangolare del tim-
pano, elevandosi da una base di sette più sette, poi a tre e quindi a
due più due, a lato del trono, stavano ventiquattro vegliardi, su ven-
tiquattro piccoli troni, rivestiti di vesti bianche e coronati d’oro.
Chi aveva in mano una viella, chi una coppa di profumi, e uno solo
suonava, tutti gli altri rapiti in èstasi, il volto rivolto all’Assiso di cui
cantavano le lodi, le membra anch’esse contorte come quelle de-
gli animali, in modo da poter tutti vedere l’Assiso, ma non in modo
belluino, bensì con movenze di danza estatica – come dovette
danzare Davide intorno all’arca…..
…. Corpi e membra abitati dallo Spirito illuminati dalla rivelazione
sconvolti i volti dallo stupore, esaltati gli sguardi dall’entusiasmo,
infiammate le gote dall’amore, dilatate le pupille dalla beatitudine,
folgorato l’uno da una dilettosa costernazione, trafitto l’altro da un
costernato diletto, chi trasfigurato dalla meraviglia, chi ringiovanito
dal gaudio, … eccoli tutti cantare con l’espressione dei visi, col
panneggio delle tuniche…. E mentre l’anima mia, rapita da quel
concerto di bellezze terrene e di maestosi segnali soprannaturali,
stava per esplodere in un cantico di gioia, l’occhio accompagnan-
do il ritmo proporzionato dei rosoni fioriti ai piedi dei vegliardi, cad-
de sulle figure che, intrecciate, facevano tutt’uno con il pilastro
centrale che sosteneva il timpano…..
… E mentre ritraevo l’occhio affascinato da quella enigmatica poli-
fonia di membra sante e di lacerti infernali, vidi al lato del portale, e
sotto le arcate profonde, talora istoriati sui contrafforti nello spazio
tra le esili colonne che li sostenevano e adornavano, e ancora sul-
la folta vegetazione dei capitelli di ciascuna colonna, e di lì ramifi-
candosi verso la volta silvestre delle multiple arcate, altre visioni
orribili a vedersi, e giustificate in quel luogo solo per la loro forza
parabolica e allegorica o per l’insegnamento morale che trasmet-
tevano: e vidi una femmina lussuriosa nuda e scarnificata, rosa
da rospi…..