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Dov’è ora Billy Rice?
Era la mia gioia, insieme agli altri astri degli show negri:
Billy Birch, David Wambold, Backus e un’altra splendi-
da dozzina di loro colleghi che mi allietarono la vita qua-
rant’anni fa’ e anche dopo.
Birch, Wambold e Bachus se ne sono andati da anni; e con
loro, per mai ritornare, io credo, l’autentico ‘nigger show’,
il genuino e stravagante ‘nigger show’: lo spettacolo che
per me non aveva eguali e il cui eguale non si è ancora
visto, che io sappia.
Abbiamo gli splendori dell’opera; e io ho visto e ho goduto
assai il primo atto di ogni creazione di Wagner, ma il suo
effetto fu sempre così potente che un atto era più che suffi-
ciente; quando sono rimasto per due atti sono uscito fisica-
mente esausto; e quando ho osato assistere all’intera opera
il risultato è stato assai prossimo… al suicidio!
Ma se potessi riavere il ‘nigger show’ nella sua purezza e
nella sua perfezione originaria non saprei che farmene del-
l’opera soprattutto quella di Wagner….
A mio parere, per le menti elevate e gli spiriti sensibili l’-
organetto a manovella e il ‘nigger show’ rappresentano l’-
apice, il culmine, alle cui rarefatte altitudini le altre forme
dell’arte musicale non possono sperare di giungere!
Ricordo il primo spettacolo musicale di negri che abbia mai
visto. Dev’essere stato un po’ dopo il 1840. Era una istituzio-
ne nuova. Nel nostro villaggio di Hannibal non ne aveva-
mo mai sentito parlare e irruppe come una lieta e clamoro-
sa sorpresa.
Le rappresentazioni durarono una settimana e si replicaro-
no ogni sera. Gli ecclesisatici non vi assistevano, ma la gen-
te del mondo accorreva e si deliziava.
Laggiù gli ecclesiastici non assistevano agli spettacoli, a
quei tempi.
I menestrelli comparivano con le mani e il viso neri come
il carbone e i loro vestiti erano una chiassosa e stravagante
parodia del modo di vestire degli schiavi delle piantagioni
di allora; non è che gli stracci dei poveri schiavi fossero mes-
si in caricatura, perché ciò non sarebbe stato possibile: la
parodia non avrebbe potuto aggiungere nulla di stravagan-
te al triste mucchio di stracci e rappezzati che formavano i
loro vestiti; ciò che veniva pariodato era la forma ed i colo-
ri di tali vestiti.
A quei tempi erano di moda i colletti alti e il ‘menestrello’
compariva con un colletto che gli avvolgeva e nascondeva
mezza testa e sporgeva in avanti tanto da lasciargli vedere
a stento lateralmente, al di sopra delle punte. La giacca tal-
volta era fatta di tela da tende e aveva delle code che pende-
vano fin quasi ai calcagni e bottoni grossi quanto una scato-
la di lucido per scarpe.
Il ‘menestrello’ parlava un dialetto negro molto largo; lo usa-
va con competenza e disinvoltura ed era ameno: ameno in
modo soddisfacente e delizioso. Però, fra la troupe dei mene-
strelli, ve n’era uno, a quei tempi, che non vestiva in modo
così strambo e non parlava il dialetto negro.
Vestiva l’impeccabile abito da sera dell’uomo bianco della
buona società e usava un linguaggio enfatico, manierato, ce-
rimonioso e penosamente obbediente alle regole grammati-
cali; un linguaggio che gli ingenui villici credevano fosse
quello autentico che si sfoggia fra l’alta società cittadina e
lo ammiravano grandemente e invidiavano l’uomo che sa-
peva fabbricarlo sul posto senza riflettere e parlarlo in quel
modo facile, disinvolto, artistico….
‘Ossa’ sedeva a un capo della fila dei ‘menestrelli’, ‘Banjo’
all’altro, e l’elegante signore ora descritto, nel mezzo.
L’uomo nel mezzo presentava la buffoneria.
L’accurata eleganza del suo vestito conferivano credibilità
all’intero show, e la studiata raffinatezza facevano credere
ai villici, accompagnata al suo colto linguaggio, della credi-
bilità dello show, creando un contrasto esilarante con l’in-
tero spettacolo, o buffonata……
‘Ossa’ & ‘Banjo’ erano i migliori buffoni della compagnia e
sapevano sfruttare al massimo tutto il ridicolo che si pote-
va ottenere dipingendosi e vestendosi in modo a volte stram-
bo e stravagante ed a volte elegante…..
Ogni tanto erano interrotti da qualche bella Soubrette, di cui
ricordo con amore e delizia ed un po’ di malizia la brava …
Shara… proprio la migliore….
Lo schema fondamentale del ‘minstrel show’ fu lasciato inal-
terato per molti anni che parvero secoli…. Al principio non c’-
era lo spartito sul palcoscenico solo qualche ‘pizzino’; il pub-
blico in attesa non aveva davanti agli occhi null’altro che la
fila di sedie vuote oltre le luci della ribalta; poi i menestrelli
entravano ed erano accolti da un caloroso applauso; prende-
vano posto, ciascuno col proprio strumento; quindi l’aristo-
cratico che sedeva in mezzo cominciava con frasi come que-
sta:
Spero signori, di avere il piacere di vedervi nella vostra
usitata eccellente condizione di salute e che ogni cosa vi
fu prospera da che ebbimo la buona sorte ….. di incontrar-
vi…….
‘Ossa’ rispondeva per conto suo, poi continuava dicendo
della particolare fortuna che gli era toccata di recente; ma
mentre raccontava lo interrompeva ‘Banjo’, e fra i due na-
sceva una simpatica buffonata….
Talvolta l’alterco durava parecchi minuti, e noi attendeva-
mo con impazienza che fosse interrotto dalla bella Shara…