IL MONACO NERO

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In campagna continuò a condurre la stessa vita nervosa e irrequieta

come in città.

Leggeva e scriveva molto, studiava la lingua italiana e, passeggiando,

pensava con piacere che ben presto si sarebbe rimesso al lavoro.

Dormiva così poco che tutti se ne meravigliavano; se per caso si assopiva

di giorno per una mezz’ora, poi non dormiva più la notte e dopo la notte

insonne, come se nulla fosse, si sentiva vispo e allegro.

Parlava molto, beveva vino e fumava sigari cari.

Dai Pesockij venivano spesso, quasi ogni giorno, signorine del vicinato che

insieme con Tanja suonavano il pianoforte e cantavano; a volte ci veniva

un giovanotto, un vicino che suonava bene il violino. Kovrin ascoltava la

musica e il canto con avidità e ciò lo estenuava, cosa che si esprimeva

fisicamente col fatto che gli si chiudevano gli occhi e il capo gli si piegava

da un lato.

Una volta dopo il tè della sera era seduto sul balcone e leggeva.

Nel salotto intanto Tanja, che era soprano, una delle signorine, che era

contralto, e il giovanotto stavano studiando sul violino la nota serenata di

Braga. Kovrin tendeva l’orecchio alle parole – che erano russe – e in nessun

modo ne poteva capire il senso.

Infine, lasciato il libro e prestato ascolto con attenzione, capì: una fanciulla

dall’immaginazione malata udiva di notte nel giardino certi suoni misteriosi,

belli e strani a tal punto da dover riconoscere in essi una sacra armonia che per

noi mortali, è incomprensibile e perciò se ne vola indetro nei cieli.

A Kovrin cominciarono a chiudersi gli occhi.

Egli si alzò e, colto da spossatezza, fece un giro per il salotto, poi per la sala.

Quando il canto si interrompe, prese Tanja a braccetto e uscì con lei sul balcone.

(Anton Cechov, Il monaco nero)

 

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IL MONACO NEROultima modifica: 2011-10-16T07:00:00+02:00da giuliano106
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