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1594 Capo Verde.
Ieri, Serenissimo Principe, promessi a Vostra Altezza Serenissima di
raccontarli il modo di negoziare che tenemmo nell’isola di Capo Verde,
dove sbarcati che fummo in terra pigliammo una casa, e cominciammo
a dar voce di voler comprare schiavi: onde quelli portughesi, che li tengono
alla campagna nelle loro ville, a branchi come il bestiame ordinorno
che fossero condotti alla città per farceli vedere.
Vistone alcuni, e domandando de’ prezzi, trovammo che non ci riusciva
l’incetta di tanto guadagno, quanto con la penna stando in Spagna avevamo
calculato, e ciò avveniva perché ne chiedevamo molto più del solito
per causa della quantità delle nave che erano venute quivi, e tutte
volevano caricare schiavi per le Indie, il che causò tanta alterazione
né prezzi, che dove si voleva vendere un schiavo per cinquanta scudi,
al più sessanta, fu forza comprarli per cento scudi l’uno e beato
a chi ne poteva avere per spedirsi, essendo un gran cimento il dire
conviene bere o affogare; al qual prezzo ne comprammo settantacinque,
li dua maschi e l’altro terzo femmine, mescolatamente vecchi e
giovani, grandi e piccoli tutti insieme, secondo l’uso di quel paese,
in un branco come tra di noi si compra un armento di pecore, con
tutte quelle avertenze e circostanze di vedere se siano sani e ben
disposti e senza difetto alcuno della persona loro.
Poi ciascun padrone li fa segnare o, per dire più propriamente,
marcare della sua marca che si fa fare d’argento e poi infocata al
lume della candela di sego, con il quale si unge la scottatura e
segno che si fa loro sopra il petto overo sopra un braccio o dietro
le spalle per riconoscerli.
Cosa veramente, ch’a ricordarmi di averla fatta per comandamento
di chi poteva in me, mi causa una certa tristezza e confusione di
coscienza, perché veritieramente, Serenissimo Signore, questo mi
parve sempre un traffico inumano e indegno della professione e
pietà cristiana; non è dubbio alcuno, che si viene a fare incetta d’
uomini o, per dire più propriamente, di carne e sangue umano,
e tanto più vergogna, essendo battezzati, che se bene sono differenti
nel colore e nella fortuna del mondo, nulladimeno hanno quella
medesima anima formatali dall’istesso Fattore che formò le nostre.
Io me ne scuso appresso a Sua Divina Maestà, non stante che io
sappia molto bene che, sapendo Quella la mia intenzione e
volontà esser stata sempre repugnante a questo negozio, non
occorra.
Ma sappialo ogn’uno e sìane Vostra Altezza Serenissima certificata,
che a me questo negozio non piacque mai: pure, come si sia, noi lo
facemmo e forse ancora per questo, insieme la penitenza.
(Francesco Carletti, Ragionamenti del mio viaggio intorno al Mondo)