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Milano era forse la città più ricca d’Italia, il paese più ricco d’Euro-
pa.
C’era l’agricoltura della grassa campagna irrigua; una dinamica ma-
nifattura che esportava oltralpe, fino in Catalogna e Castiglia e che
ora comprendeva anche la seta, le terre a settentrione essendo pun-
teggiate di gelsi.
“Non ad altro si attendeva”, scrive un cronista, “che ad accumulare
ricchezze, per le quali era aperta ogni via”.
Nei terreni di sua proprietà, lungo la cerchia dei Navigli, dietro
San Nazaro in Brolo, Francesco Sforza aveva fatto costruire al Fila-
rete (1456) il grande Ospedale Maggiore, un”opera sociale’ in cui il
cotto della tradizione lombarda decorava spazi di respiro rinasci-
mentale.
In questi anni di Ludovico il Moro, dal 1480 alla fine del secolo, nel
castello di Porta Giovia, in cui erano continuamente in corso lavori
di trasformazione, la vita di corte era sontuosa e colta. Dotti e artisti
trovavano a Milano ospitalità e fortuna; attorno agli Sforza, i molti
fili della cultura italiana del tempo sembrano intrecciarsi e in certa
misura fondersi.
Oltre tutto risiedevano a Milano e operavano al servizio sforzesco
due geni artistici.
Leonardo, che possedeva una vigna suburbana tra le Grazie e San
Vittore al Corpo, un regalo del Moro, aveva cominciato col presen-
tare al duca una lira che ‘aveva fabbricato d’argento gran parte in
forma d’un teschio di cavallo, cosa bizzarra e nuova’.
Farà di tutto: alcuni dei suoi capolavori, consulenze ingegneristiche,
opere idrauliche, il ritratto dell’amante del duca Cecilia Gallerani, la
regia di feste come quella delle nozze di Gian Galeazzo con Isabella
d’Aragona.
Meditava, studiava, scriveva, fantasticava, forse vedeva veramente
nelle macchie dei muri ‘similitudini di diversi paesi, ornato di mon-
tagne, fiumi, sassi, alberi, pianure, grandi valli e colli….strane arie di
volti, e abiti e infinite cose…’.
(L. Camusso, Guida ai viaggi nell’Europa del 1492)