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La semplicità del genio creatore…. &
Favola di Natale (per Ortodossi e non…)
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Mi sono fermato per un momento sulla terribile soglia del Futuro
(ed, aggiunge l’autore del blog: siamo solo nell’abisso del pendo-
lo del passato). Per ora, chiamiamo ‘ammassi’ questi assembra-
menti, poiché li vediamo nei momenti iniziali del loro consolidarsi.
Il ‘loro’ assoluto consolidamento ‘deve ancora avvenire’.
Abbiamo ora raggiunto un punto da cui possiamo osservare l’Uni-
verso stellare come uno spazio sferico, disseminato ‘non unifor-
memente’ di ammassi.
Si noti che qui preferisco l’avverbio ‘non uniformemente’ alla frase
‘con una uniformità meramente generale’ che ho impiegato prima.
E’ infatti evidente che l’uniformità di distribuzione diminuirà in ragio-
ne dei processi di agglomerazione, ossia, man mano che gli ogget-
ti disseminati diminuiscono in numero. Così l’aumento di non unifor-
mità, un aumento che deve continuare finché, prima o poi, giungerà
un momento in cui l’agglomerato più ampio assorbirà tutti gli altri, de-
ve essere interpretato come una semplice indicazione corroborativa
della tendenza dell’Uno.
E qui, infine, sembra opportuno verificare se i fatti accertati dell’Astro-
nomia confermino la disposizione generale che ho assegnato in mo-
do così deduttivo al Firmamento.
Ebbene, la confermano completamente.
L’osservazione al telescopio, guidata dalle leggi prospettiche, ci con-
sente di intendere che l’Universo sensibile esiste come un approssi-
mativamente sferico ammasso di ammassi, disposti in modo irrego-
lare. Gli ‘ammassi’ che compongono questo Universale ‘ammasso
di ammassi’ sono meramente quanto noi abbiamo designato come
‘nebulose’ e, di queste ‘nebulose’, una è di supremo interesse per l-
‘umanità.
Sto alludendo alla Galassia, la Via Lattea. Questa ci è di grande in-
teresse, in primo luogo e ovviamente, a motivo della sua grande su-
periorità nella forma visibile, non soltanto rispetto a uno qualunque
degli ammassi del firmamento, ma a tutti gli ammassi presi insie-
me.
Comparativamente, il più grande di questi occupa semplicemente
un punto, e lo si può vedere distintamente con l’ausilio di un tele-
scopio. La galassia si muove lungo tutto il Cielo ed è visibile nella
sua brillantezza a occhio nudo.
Sarà ora comprensibile che, con l’espressione ‘Spazio Infinito’, io
non intendo affatto esigere dal lettore l’impossibile concezione di un
‘infinito assoluto’. Mi riferisco semplicemente alla ‘più ampia esten-
sione concepibile’ nello spazio, un dominio oscuro e fluttuante, ora
in espansione ora in collasso, secondo le vacillanti energie dell’im-
maginazione. Finora, si è sempre ritenuto che l’Universo stellare
coincidesse con il vero e proprio Universo, come l’ho definito all’-
inizio di questo Discorso.
Si è sempre assunto direttamente o indirettamente, almeno sin
dagli albori dell’Astronomia intelligibile, che ci fosse possibile rag-
giungere un dato punto nello spazio, noi dovremmo allora incontra-
re attorno a noi un’interminabile successione di stelle. Questa era
l’insostenibile idea di Pascal quando probabilmente effettuò il più
riuscito tentativo di perifrasare il concetto che noi stiamo affanno-
samente cercando nella parola ‘Universo’. ‘E’ una sfera’, diceva, ‘
il cui centro è dovunque, e la circonferenza in nessun luogo’.
Ma nonostante questa definizione mirata non sia in realtà una de-
finizione dell’Universo stellare, noi pensiamo ugualmente accettar-
la, con qualche riserva mentale, come definizione dell’Universo ve-
ro e proprio, il che significa: dell’Universo spaziale.
Ebbene, consideriamo allora quest’ultimo come ‘una sfera il cui
centro è dovunque, e la circonferenza in nessun luogo’. Infatti, men-
tre troviamo impossibile immaginare la fine dello spazio, non abbi-
amo alcuna difficoltà a raffigurarci uno qualunque dei suoi inizi.
Come nostro punto d’inizio, assumiamo ora la Divinità.
Riguardo alla Divinità in sé, soltanto chi non si pronuncia affatto
non è un imbecille, soltanto costui non è empio: “NON CONO-
SCIAMO ASSOLUTAMENTE NIENTE DELLA NATURA DELL’-
ESSENZA DI DIO: PER COMPRENDERLA, DOVREMMO ES-
SERE DIO NOI STESSI”.
“Dovremmo essere Dio noi stessi!”, nonostante questa frase
così stupefacente ancora risuoni nelle mie orecchie, mi avven-
turo a indagare se questa nostra attuale ignoranza della Divini-
tà sia una condanna che grava perennemente sulla nostra ani-
ma. Da Lui, comunque, l’incomprensibile, per lo meno ora, da
Lui, assumendolo come Spirito, ossia, non Materia, una distin-
zione che, per qualunque scopo intelligibile, sostituisce bene
una definizione, da Lui, ancora, esistente come Spirito, accon-
tentiamoci di supporre di essere creati, o prodotti dal NULLA,
per mezzo della sua Volizione, in qualche punto dello Spazio
che assumeremo come centro, in un certo momento che non
pretendiamo di indagare, ma rispetto al quale tutti gli eventi so-
no immensamente remoti, da Lui, di nuovo, supponiamo di es-
sere stati creati, cosa?
Si tratta di un momento cruciale all’interno delle nostre consi-
derazioni. Cosa è che ci legittima, cosa soltanto ci legittima a
credere di essere stati primariamente CREATI?
Abbiamo raggiunto un punto in cui soltanto l’INTUIZIONE può
soccorrerci: ma lasciate ora che io ricorra all’idea che ho già
suggerito come l’unica propriamente accettabile dell’intuizione.
Questa infatti, non è altro che LA CONVINZIONE SORTA DAL-
LE INDUZIONI O DALLE DEDUZIONI I CUI PROCESSI SONO
TALMENTE OSCURI CHE SFUGGONO ALLA NOSTRA CON-
SAPEVOLEZZA, ELUDONO LA NOSTRA RAGIONE, O DISAT-
TENDONO LA NOSTRA CAPACITA’ D’ESPRESSIONE.
Assunto tutto questo affermo ora, che un’intuizione assoluta-
mente irresistibile, per quanto inesprimibile, mi forza alla con-
clusione che tutta la Creazione originaria di Dio, che quella ma-
teria prodotta dal suo stesso Spirito, o dal Nulla, per mezzo del-
la sua Volizione, potrebbe essere stata nient’altro che Materia nel
suo stato più alto concepibile di – cosa? -, di Semplicità.
Questo è evidente l’unico assunto del mio Discorso. Utilizzo la
parola ‘assunto’ nel suo senso comune; eppure sostengo che
anche questa mia proposizione primaria è davvero molto distan-
te dall’essere realmente un mero assunto.
Niente è mai stato più certo, in effetti, nessuna conclusione uma-
na è mai stata più regolarmente, più rigorosamente dedotta: ma,
ahime!, i suoi sviluppi esorbitano le possibilità dell’umana analisi,
e in ogni caso trascendono la capacità d’espressione della lingua
umana. Se comunque, nel corso di questo saggio, io sono riusci-
to a mostrare che tutte le cose potrebbero essere state a partire
dalla Materia nella sua estrema semplicità, allora approdiamo
direttamente all’inferenza che esse sono state così costruite
per via dell’impossibilità di attribuire una supererogazione all’-
Onnipotenza.
Impegniamoci ora a concepire ciò che la Materia deve essere
al suo massimo grado di Semplicità. Qui la Ragione vola subi-
to all’Imparticolarità, a una particella, la particella – una particel-
la di un certo tipo – di un certo carattere – di una certa misura –
di una certa forma – una particella, dunque, ‘senza forma e
vuota’ – una vera e propria particella sotto tutti i punti di vista –
una particella assolutamente unica, individuale, indivisa, e
non indivisibile soltanto perché chi la creò per mezzo della
sua Volontà, con uno sforzo infinitamente meno dispendio-
so della medesima Volontà, sarebbe logicamente anche in
grado di dividerla.
L’Unicità, quindi, è l’unico predicato che io attribuisco alla
Materia creata originariamente; pur tuttavia, mi propongo di
mostrare che questa Unicità ‘è un principio del tutto sufficien-
te a spiegare la costituzione, i fenomeni esistenti e l’annichili-
mento chiaramente inevitabile per lo meno dell’Universo ma-
teriale’. La volontà d’essere della particella primordiale ha
completato l’atto, o, più propriamente, il concetto di…
Creazione.
(Poe, Eureka)