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La montagna interessa soltanto per le difficoltà che permette
di superare. E’ tanto più bella quanto più si avvicina all’estre-
mo limite delle difficoltà, stabilito con precisione scientifica
da moderni poderosi trattati.
Esistono tabelle scalari che appagano i gusti metodici e polve-
rosi degli archivisti di ogni bellezza e d’ogni emozione.
La scienza, catalogando il catalogabile, vorrebbe fermare, entro
formule matematiche, sensazioni soggettive, quali sono le emo-
zioni del rschio e la valutazione delle difficoltà, variabili di per
sé, e per lo stesso individuo; tanto più quando entrino in gioco
variazioni e particolari condizioni fisiche e morali dell’arram-
picatore.
Vi sono scale estere e scale nazionali.
Le estere stanno ottenendo il primato spiegabile solo con la
loro severità e precisione, in evidente contrasto con la più ge-
nerosa valutazione delle difficoltà fatta da certe scale italia-
ne.
Dimodoché è facile che partigiani de l’una e de l’altra scala,
di ritorno da una arrampicata, trovino modo di bisticciare,
iniziando penosi calcoli di analisi infinitesimale, gli uni pro-
pendendo per difficoltà di grado tre e settantacinque, gli altri
di grado tre e ottantasette.
Generalmente si mettono d’accordo sulla porta del rifugio,
con un quattro e mezzo che si avvicina al quinto, penultimo
terribilissimo termine della scala delle difficoltà.
L’emozione e la soddisfazione si esprimono con un numero,
e sono tanto maggiori quanto più si avvicinano al massimo
dei massimi, cioè al 6, che rappresenta in parole povere, e se
il paragone non è troppo indecoroso, il centro del bersaglio
nei baracconi delle fiere.
Certi autori vanno contro i fondamentali criteri della logica,
deformando arbitrariamente le scale estere brevettate e razio-
nali, senza che nessuno intervenga a definire alla pubblica au-
torità simili inconcepibili abusi.
Bisogna pesar le montagne con la bilancetta del farmacista:
salita compresa fra il quarto grado superiore, e il quinto inferiore.
Gli alpinisti sono tormentati dagli stessi dubbi che assillano i
professori delle scuole medie; coscienza e scrupolosità: cinque
meno, e sei più.
Ma lo stato di penosa incertezza cesserà presto.
Commissioni di tecnici specializzati, percorreranno le vie di
salita, prima dell’apertura della stagione arrampicatoria, per
controllare le variazioni avvenute nell’inverno per sfaldamen-
ti o altre cause.
I verbali relativi sottoposti all’approvazione insindacabile del-
l’Istituto Centrale Ricerche e Misurazioni Rocciose, che a sua vol-
ta si incaricherà di far rapportare le modifiche nel casellario e
nei fogli mappali conservati al Catasto (sezione D. Foglio unico:
arrampicativo chiodato).
E’ inconcepibile che in un periodo destinato a passare alla sto-
ria per certe imprese poste all’estremo limite possibile della pro-
gressione asintotica dello sport d’arrampicamento come valori mas-
simi insuperabili di ‘prestazione’ atletica, si continui a confondere
una scalata straordinariamente difficile, con una scalata estrema-
mente difficile.
Non è chi non veda a colpo d’occhio la differenza fra difficilis-
simo, oltremodo difficile, estremamente, sommamente ed eccezio-
nalmente difficile: diversità di evidenza palmare.
La difficoltà di un ascensione è espressa da una formula sem-
plicissima:
la famosa equazione Dulfer, variabile fra il primo e il sesto grado:
D= R/C
Essendo:
D la difficoltà di un determinato punto.
R l’espressione della configurazione rocciosa del punto stesso, cre-
scente con la ripidezza, colla scarsità e piccolezza degli appigli.
Cioè la difficoltà tecnica pura.
C la capacità tecnica dell’arrampicatore.
L’enunciazione della formula Dulfer suscitò nel 1914 una po-
lemica interessante che contribuì ad affrettare la conflagrazio-
ne europea.
Dulfer errava principalmente nel parlare di difficoltà tecnica
‘pura’.
Il suo diretto avversario, il celebre Plank, affermando l’esisten-
za di difficoltà oggettive e soggettive, cadeva in un doppio be-
stialissimo errore.
Anzitutto nella formula intervengono alcuni fattori K1 K2 K3
a render variabile il concetto di difficoltà. K1 rappresenta la
media aritmetica dei gradi d’adesione delle suole delle pedu-
le; la quale media si ottiene dalla somma delle coordinate dei
diversi grafici d’usura, relativi alle suole di feltro, panno, tela
e miste, prese in esame prima della scalata, e successivamente
al passaggio degli appositi controlli, divisa per il numero dei
medesimi; K2 la somma dei punti ottenuti dall’esame preven-
tivo dell’impressionabilità delle condizioni fisiche, di allena-
mento, psichiche e morali dell’arrampicatore all’inizio della
scalata, e nei momenti successivi, come sopra; K3 le condizio-
ni gli appigli lo stato dei chiodi e della roccia in generale, in
realazione all’umidità, espresse in numeri, e sommate all’in-
tegrale delle altezze dei vari punti difficili sul livello del ma-
re, tenuto conto del diverso sforzo corrente per compiere
uno stesso lavoro ad altitudini diverse.
Una volta aggiunto il Resto di Lagrange, diviso per l’angolo
formato dall’ipotenusa del triangolo rettangolo di cui un ca-
teto rappresenta la verticale calata dalla vetta (linea ideale
della goccia d’acqua cadente senza vento) e sviluppato l’in-
tegrale, si estrae la radice cubica, e si ottiene finalmente la
cercata difficoltà, pura matematica.
Volendo trascurare i coefficienti K1 K2 K3 e ad ogni modo ammet-
tendo l’esattezza della definizione enunciata dal Rudatis, che cioè
la difficoltà non sia solo in ‘funzione’ della capacità, ma esattamen-
te ‘il rapporto tra la natura della montagna e la capacità dell’indi-
viduo’, sussiste sempre la fondamentale equazione Dulfer, di cui
essa è una espressione più generale:
D= R/C
di cui potremo ricavare strabilianti conseguenze.
Moltiplichiamole infatti, come ci consente la regola elementare,
ambo i membri per la quantità C supposta reale, positiva e diver-
sa da zero (un arrampicatore con capacità zero non sarebbe un
arrampicatore).
Il valore dell’equazione non essendo mutato abbiamo:
C D = R
La quale (concludendo) eguaglianza significa che se moltiplichiamo
una particolare capacità arrampicatoria C (stabilita dal Capacitometro)
per una certa difficoltà assoluta e sterilizzata D, otteniamo (ordunque)
una speciale conformazione rocciosa R.
Otteniamo ad esempio, la parete della Tofana o del Sass Maòr.
(Giuseppe Mazzotti, La montagna presa in giro)