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Accurata valutazione di un ‘idiota’
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La caccia alla volpe (1) & (2)
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In una società competitiva come la nostra dove gli uomini si battono
per avere cibo e un tetto, che cosa c’è di più naturale che considerare
la generosità d’animo come cosa riprovevole, quando da essa deriva
un danno agli interessi di chi caritatevole non è?
I vecchi e saggi proverbi affermavano, al contrario, che appropriarsi
delle risorse di un uomo significa appropriarsi della sua esistenza.
Attentare al cibo e alla casa di cui dispone è attentare alla sua vita.
Questo principio è soprattutto valido in una società organizzata
sulla difesa all’ultimo sangue, dove anche un atto di generosità è
fortemente indiziato di essere una reale minaccia.
E’ per questa ragione che il lavoratore è così selvaggiamente ostile
a chi si offre di lavorare al suo posto per un salario inferiore o per
un maggiore numero di ore. Per conservare il lavoro (ossia per
poter vivere), egli deve bilanciare questa offerta con una della stes-
sa entità, il che significa rinunciare a una parte di cibo e ad un tetto
dignitoso.
Vendere la propria giornata lavorativa a due dollari piuttosto che a
due e mezzo, significa, per sé e la propria famiglia, rinunciare ad un
buon tetto, ad abiti caldi, a mangiare cibi nutrienti. Sarà costretto a
comprare meno carne, e quella che potrà concedersi sarà più scaden-
te e meno nutriente, i suoi figli calzeranno più raramente scarpe nuo-
ve e robuste, la malattia e la morte minacceranno con maggiore proba-
bilità la sua casa e il suo quartiere.
Così il lavoratore generoso che concede la sua giornata lavorativa in
cambio di un salario più basso di quello dovuto, che svilisce la qua-
lità della propria vita, minaccia l’esistenza del suo fratello operaio
che lavora meno generosamente. Se non distrugge la sua vita, nella
più rosea delle ipotesi la rende precaria e la sminuisce.
Ovviamente, il lavoratore meno generoso lo considera un nemico e
quindi cercherà, in una società che non lascia scampo, di liberarsi
di colui che lo sta seppellendo.
Quando uno scioperante uccide con un mattone chi gli ha scippato il
lavoro, non ha la consapevolezza di compiere un’azione sbagliata e
trova in quel gesto estremo una giustificazione morale. Una scusante,
come il boero che difende la sua patria contro l’invasore inglese.
Dietro ogni mattone lanciato da uno scioperante, c’è il desiderio
egoista di vivere, e quello altruista di far vivere la propria famiglia.
Il gruppo familiare si è costruito prima dello Stato e della società,
società che si trova ancora nello stadio primitivo della lotta senza
quartiere e il desiderio di ‘vivere’ dello stato non è così importante
per lo scioperante come lo è quello personale di far vivere con de-
cenza se stesso e la propria famiglia.
Oltre alla necessità di usare mattoni, bastoni e proiettili, il lavora-
tore egoista ha anche quella di esprimere i suoi sentimenti a paro-
le.
Come il pacifico contadino chiama ‘pirata’ chi preda i mari e il grasso
borghese chiama ‘ladro’ chi forza la sua cassaforte, allo stesso modo
il lavoratore egoista applica l’epiteto disonorevole di ‘crumiro’ al
lavoratore che gli scippa cibo, casa e lavoro mostrandosi più genero-
so nella sua offerta lavorativa.
Anche la connotazione affettiva del termine ‘crumiro’ è disonorevole
quanto il termine ‘traditore’ o ‘Giuda’, e la definizione affettiva di u-
na parola dovrebbe essere profonda e variegata così come lo è il cuo-
re umano. Risulta più semplice dare una definizione tecnica, espres-
sa in termini commerciali, come quella che segue:
‘un crumiro è uno che dà più valore allo stesso prezzo rispetto ad
un altro’.
Il lavoratore (l’intellettuale, l’artista e via dicendo) che dà più tem-
po, energia, capacità rispetto ad un altro per una paga inferiore, è
un crumiro.
La generosità che mette in campo il crumiro nuoce ai suoi compagni,
poiché li obbliga a un uguale generosità che non sentono e non riten-
gono conveniente e utile dare, in quanto riduce la qualità della vita.
Ma si può dire comunque qualcosa a favore del crumiro.
Così come il suo modo di fare obbliga i suoi rivali ad essere generosi,
allo stesso tempo e modo questi, per destino di nascita o educazione,
gli rendono quell’atto di generosità obbligatorio. Non agisce da crumi-
ro perché vuole esserlo.
Nessuna stravaganza personale, nessuno slancio di generosità lo spin-
gono a concedere più lavoro a un prezzo inferiore rispetto agli altri la-
voratori.
E’ soltanto perché non potrebbe mai ottenere un lavoro alle stesse
condizioni degli altri lavoratori che si abbassa a essere crumiro.
Ci sono meno lavori che uomini disponibili a farli.
Questo è evidente, altrimenti la figura del crumiro non sarebbe co-
sì diffusa nel mercato del lavoro.
Ma poiché molti lavoratori sono più forti, più abili e più energici,
per il crumiro è impossibile occupare i loro posti per la stessa pa-
ga.
Per prendere il loro posto deve dare di più, lavorare più ore o
ricevere una paga più esigua. Lo fa, non può evitarlo, poiché la
volontà di ‘sopravvivere’ lo spinge a farlo, così come la stessa vo-
lontà spinge gli altri a combatterlo.
Per vivere è necessario guadagnarsi il cibo e alloggio, e ciò è
possibile soltanto dopo aver ricevuto il permesso di lavorare a
un pezzo di terra, o a un macchinario; per ottenerlo il lavorato-
re deve concludere un accordo che per lui sia favorevole.
Visto in quest’ottica, il crumiro che fornisce per un certo prez-
zo più lavoro rispetto ai suoi compagni, non è poi così genero-
so come si pensava.
Non è più generoso, con la propria forza, di un servo o di un for-
zato entrambi esempi quasi perfetti di crumiro – in quanto lavora
per il minimo prezzo possibile.
Ma, entro certi limiti, egli può perdere tempo sul lavoro, marcare
visita. La macchina invece non perde tempo, non finge di ammalar-
si e per questo rappresenta il crumiro perfetto e ideale.
Non è piacevole essere un crumiro.
Non è soltanto una cosa di cattivo gusto dal punto di vista sociale e
indegna di un vero compagno ma, a ben vedere, è anche contropro-
ducente per quanto concerne le necessità primarie: cibo e casa.
Nessuno ha voglia di essere un crumiro, di lavorare di più e guada-
gnare meno. L’ambizione di ogni individuo si situa all’opposto: dare
meno per ricevere di più; e come risultato si ha che, vivendo in un
mondo basato sulla lotta senza quartiere, la battaglia all’ultimo san-
gue è combattuta soltanto dai più ambiziosi.
Ma per quanto concerne l’aspetto più saliente, la lotta per la divisio-
ne del prodotto del lavoro congiunto, vediamo che essa non è più sol-
tanto una battaglia tra individui, ma tra gruppi di individui.
Il capitale e il lavoro si occupano delle materie prime, ne traggono
un utile e lo aggiungono al suo valore di base, dando avvio alla
disputa sulla divisione del valore aggiunto.
Nessuna delle due parti si preoccupa di dare il massimo per ottene-
re il minimo. Ognuno vuole dare meno di quanto concede l’altro e di
trarne un vantaggio maggiore.
(J. London, Il sogno di Debbs)