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Il vero inquisitore non picchia.
Parla, intimidisce, sorprende.
Il vero inquisitore sa che un buon interrogatorio non consiste
nelle torture fisiche ma nelle sevizie psicologiche che seguono
le torture fisiche (di quelle ne prova piacere).
Sa che col corpo ridotto a un ammasso di piaghe l’interrogato
sarà felice di rifugiarsi in qualcuno che lo tormenta con le pa-
role e basta.
Sa che dopo tante sofferenze niente come l’annuncio pacato di
altre sofferenze piegherà la sua resistenza fisica e morale.
Il vero inquisitore non si mostra mai coi personaggi della com-
media che ha nome Interrogatorio: per rivelarsi aspetta che il
sipario sia calato sul primo atto.
Soltanto allora, come un regista che coordina il lavoro della sua
troupe, egli interviene: graduando le domande con pazienza,
studiando le risposte con intelligenza, accettando i silenzi con
civiltà. Tanto a lui non importa rivelazioni straordinarie o im-
mediate.
Gli interessano piuttosto piccole notizie con cui comporre il mo-
saico che gli consentirà di individuare i punti vulnerabili della
sua vittima, provocare in lei senso di incertezza e di paura, in-
fine l’abbandono totale.
Per questo quando l’inquisitore si presenta, non basta rifiutargli
risposte. Bisogna rifiutargli anche il dialogo, ogni forma di dia-
logo, e tenere il cervello all’erta.
Naturalmente è difficile: le torture fisiche diminuiscono il fun-
zionamento cerebrale. Però è necessario sforzarsi se si vuole
capire dove è giunta l’inchiesta, quel che hanno scoperto o non
hanno scoperto.
Occhi e orecchi aperti, dunque.
E memoria, fantasia, perché l’inquisitore non ha fantasia: è un
tipo che vede il potere come un fenomeno esterno, un cumulo
di mezzi per conservare lo status quo senza affaticarsi nella
problematica.
Non che sia un cretino o un vanitoso assetato di gloria: spesso
non è sollecitato nemmeno da ambizioni personali, si accontenta
di essere uno sconosciuto appena autorevole e cioè di stare nell’-
anticamera del Potere.
(O. Fallaci, Un Uomo, Rizzoli)