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Da casa dei Lykov portai a Mosca un pezzo di pane.
Lo mostravo agli amici chiedendo cosa fosse, e solo una volta
udii una risposta incerta, ma vicina alla verità: sembrerebbe
pane.
Sì, era il pane dei Lykov.
Lo facevano con patate triturate al mortaio e ci aggiungevano
due o tre pugni di segale battuta col pestello e alcuni chicchi
sminuzzati di canapa.
Questa mistura, diluita con acqua e senza lievito o fermenti
di alcun genere, viene cotta in padella e ha l’aspetto di una
spessa crepe nera.
‘Questo pane fa senso anche solo a guardarlo, figuriamoci a
mangiarlo’ disse Erofej.
Eppure lo mangiavano.
Lo mangiano anche adesso – il pane vero non l’hanno assag-
giato nemmeno una volta.
In tutti questi anni la famiglia è stata nutrita dall’orto – un dolce
declivio sulla montagna ritagliato dalla taiga. Per assicurarsi
contro gli imprevisti dell’estate montana avevano ricavato un
altro appezzamento più in basso sul fianco della montagna, e
un altro ancora presso il fiume:
– Se di sopra il raccolto va male, raccogliamo qualcosa più in
basso.
Nell’orto coltivavano patate, cipolle, rape, piselli, canapa, se-
gale.
Quarantasei anni prima, lasciando l’insediamento adesso inghiot-
tito dalla taiga, i semi erano stati portati come un tesoro insieme
al ferro e ai libri liturgici.
Queste colture non li avevano traditi nemmeno una volta nel mez-
zo secolo trascorso da allora – senza mai degenarare avevano forni-
to cibo e materiale per la vita quotidiana. E’ inutile dire che custo-
divano questi semi come la pupilla degli occhi.
La patata, ‘una pianta peccaminosa e diabolica’ che era stata impor-
tata da Pietro il Grande dall’Europa e insieme al ‘tè e tabacco’ era
stata rifiutata dai Vecchi Credenti, per un’ironia della sorte in segui-
to divenne per molti il nutrimento fondamentale. Anche per i Lykov
la patata rappresentava il nutrimento principale.
Laggiù cresceva bene.
Conservavano i tuberi in uno scantinato, ricoperti di ceppi e di cor-
teccia.
Ma ‘di raccolto in raccolto’ le scorte non erano mai sufficienti, come
mostrava la vita. Le nevicate di giugno sulle montagne potevano
avere un effetto devastante e persino catastrofico sull’orto.
Era indispensabile tenere una scorta ‘strategica’ di due anni.
Senonché anche in una buona cantina le patate non possono
conservarsi per più di due anni.
Impararono a farsi una scorta di patate secche. Le tagliava-
no a rondelline e, nelle giornate calde, le seccavano su gran-
di pezzi di scorza, oppure direttamente sulle tegole del tetto.
In caso di necessità finivano di seccarle al fuoco e sulla stufa.
Anche adesso tutto lo spazio libero nella capanna era occupato
da scatole di scorza con dentro le patate secche.
Le scatole di patate venivano messe anche nei guardavivande –
su alte pertiche. Naturalmente tutto veniva accuratamente nas-
costo e avviluppato in pezzi di corteccia.
Per tutti questi anni i Lykov avevano sempre mangiato le pata-
te con la buccia: spiegavano questo con la necessità di fare eco-
nomia.
Ma ho l’impressione che debbano avere indovinato istintivamen-
te che le patate sono più nutrienti con la buccia.
La rapa, i piselli e la segale servivano da integrazione alimentare,
ma non erano il nutrimento principale. C’erano così pochi cereali
che i giovani Lykov non avevano nessuna idea del pane vero e
proprio. I grani seccati venivano sminuzzati nel mortaio, ne face-
vano una polenta di segale per ‘le sante feste’.
Un tempo nell’orto cresceva la carota, ma una volta i semi erano
andati perduti a causa di un’incursione di topi. E gli uomini re-
starono così privi di un prodotto tanto indispensabile alla dieta.
Il colorito pallido e malato della pelle dei Lykov, probabilmente,
non si spiega col fatto che stanno al buio, quanto con l’insufficien-
za nel cibo di una sostanza chiamata carotene, e che abbonda nelle
carote, nelle arance e nei pomodori….
Quell’anno i geologi avevano rifornito i Lykov di semi di carato,
e Agaf’ja come ghiottoneria ci aveva portato al fuoco due radichet-
te arancio pallido, dicendo con un sorriso:
‘Pata-a-ata’.
(V. Peskov, Eremiti nella Taiga)