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Da ruolo a ruolo: un olandese (9)
A cosa potrà servire la bellezza, il dono
maggiore degli dèi immortali, se viene
guastata dallo spleen?
A cosa la giovinezza, se il lievito della
tetraggine senile la fa inacidire?
Infine cosa sarai in grado di fare nel
modo appropriato, di fronte a te stesso
e agli altri, in ogni dimensione della vita senza la ben in-
tenzionata assistenza del qui presente Amor Proprio, che a
buon diritto per me è quasi fratello, tanto valore dimostra
nel sostenere ovunque la mia causa?
Infatti cosa c’è di più insensato dell’essere soddisfatti di sé?
Dell’ammirare se stessi?
Ma d’altra parte, come potrai agire in modo elegante aggra-
ziato, non sconveniente se sei scontento di te?
Prova ad eliminare questo sale della via: subito l’oratore che
perora lascerà indifferenti, il musicista non avrà alcun succes-
so coi toni, l’attore sarà preso in giro con le sue Muse, il pitto-
re sarà disprezzato con la sua arte, il medico farà la fame con
i suoi farmaci.
Infine sembrerai Tersite anziché Nireo, Nestore anziché Faone,
maiale anziché Minerva, balbuziente anziché eloquente, cafone
anziché raffinato cittadino.
A tal punto occorre che ognuno lusinghi persino se stesso e si
raccomandi a se stesso con una lisciatina prima di poter godere
della stima altrui.
Infine, dato che voler essere ciò che si è è la componente più
importante della felicità, il mio Amor Proprio riesce ad ottene-
re per la via breve che nessuno sia insoddisfatto della sua bel-
lezza, nessuno della sua intelligenza, nessuno della sua stirpe,
nessuno del luogo di nascita, nessuno della professione, nessu-
no della patria, tanto che l’Irlandese non vuole fare a cambio con
l’Italiano né il Trace coll’Ateniese né lo Scita con l’abitante delle
isole Fortunate.
Con che diligenza incredibile ha agito la natura, bilanciando tut-
to nella varietà delle cose! Dove ha distribuito più avaramente i
suoi doni, aggiunge un po’ di Amor Proprio….
Ma ho detto veramente una sciocchezza, perché appunto l’Amor
Proprio è certo il dono maggiore.
Tutto questo per non dire poi che nessuna azione nobile viene
intrapresa senza che io la stimoli, nessuna nobile arte è stata tro-
vata senza che ne fossi io l’inventrice.
e fonte di tutte le azioni lodevoli?
Ma cosa c’è di più insensato che
affrontare uno scontro in cui entrambe
le parti riportano più danni che vantaggi
per cause del tutto insignificanti?
Dei caduti, poi, non si parla, come dei
Megaresi.
Poi, quando le schiere scintillanti di ferro hanno preso posizione
su entrambe le fronti e le trombe hanno fatto risuonare il rauco
segnale che se ne può fare, vi chiedo, di questi valenti saggi che,
spossati dagli studi, col loro sangue sottile e raffredato fanno fa-
tica persino a respirare: c’è bisogno di tipi grossi e forzuti, pieni
di audacia e senza cervello.
A meno che non si preferisca come soldato Demostene, il quale
seguendo il consiglio di Archiloco fece appena a tempo a vedere
i nemici per poi scappare gettando lo scudo, soldato buono a nul-
la quanto era saggio oratore.
Dicono però che in guerra conta molto la riflessione.
Certo, nel comandante, e per di più strategica, non filosofica; per
il resto questo capolavoro che è la guerra si fa
senza scrocconi, ruffiani, briganti,
killers, burini, deficienti, debitori e
simile bruttura, non con filosofi
abituati alla lucerna.
Del resto quanto poco servono
i filosofi per tutte le faccende
pratiche basta Socrate ad
insegnarlo, lui giudicato dall’oracolo di Apollo, ma non certo
sapientemente, l’unico sapiente: quando provò a fare non so
bene cosa nella vita pubblica, dovette andarsene in mezzo al
riso generale. Ma non era sciocco del tutto, lui che non accetta
di esser chiamato saggio e riserva questo nome soltanto al dio
e che ritiene che il sapiente debba astenersi dalla politica: ma
avrebbe fatto meglio ad insegnare che chi vuole venir contato
fra gli uomini deve astenersi dalla sapienza.
Cos’altro lo ha costretto a bere la cicuta, quando è stato accu-
sato, se non la sapienza?