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(….So della tua solitudine, per cui ti scrivo, vorrei essere nei tuoi
bei luoghi, città, viali, musei…ma il male, un male antico, me lo
impedisce. Per cui ti scrivo. Il fine ultimo, sono convinto, ragione
e motivo di ogni Impero, è prodigarsi per il bene. La tua tradizione,
la tua asprezza, e anche quel sottile malessere di vivere, che ogni
tanto ti (e ci) coglie, non come un’angoscia, ma un qualcosa di incompiuto,
mi portano a ispirarti, a delegarti, per il fine e la nostalgia che mi lega
alla tua terra. I motivi della pace, della fratellanza, e…..dell’uguaglianza,
sono sensibili nel mio animo come un ricordo non del tutto espresso,
come un pensiero non del tutto svelato, come una nostalgia ancora
viva…, ma troppo spesso soffocata da futili motivi….)
Poco a poco, questa lettera cominciata per informarti dei progressi del
mio male è diventata lo sfogo d’un uomo che non ha più l’energia necessaria
per applicarsi a lungo agli affari dello Stato; la meditazione scritta d’un
malato che dà udienza ai ricordi.
Ora, mi propongo ancor di più: ho concepito il progetto di raccontarti la
mia vita. Certo, l’anno sorso ho steso un resoconto ufficiale dei miei atti,
sul frontespizio del quale Flegone, il mio segretario, ha messo il suo
nome. Ivi, ho mentito il meno possibile. Tuttavia, ragioni di interesse
pubblico e di decoro mi hanno costretto a ritoccare alcuni avvenimenti.
La verità che mi propongo d’esporre qui non è particolarmente scandalosa,
o meglio non lo è se non nella misura in cui non c’è verità che non susciti
scandalo (ma tu sai quanto è difficile per ogni vallo, per ogni fine, porre
la sola ed unica lingua comprensebile: la pace…).
Non m’aspetto che i tuoi anni, pochi o tanti, che siano (l’insegnamento e
l’apprendimento talvolta si confondono reciprocamente), ne capiscano
qualcosa; ci tengo, tuttavia, a istruirti, fors’anche a urtarti. I precettori
che t’ho scelto io stesso ti hanno impartito una educazione severa,
sorvegliata, forse troppo protetta, dalla quale tutto sommato m’aspetto
un gran bene per te e per lo Stato, e non per altri che turbano la quiete
di quei bravi giovani che mi hanno fatto compagnia, con pacifica ed
inattesa ospitalità.
Qui, ti offro, a guisa di correttivo, un racconto scevro di preconcetti e
di astrazioni dall’esperienza d’un uomo, ….me stesso, riflesso in mille
volti differenti.
Ignoro a quali conclusioni mi trascinerà questo racconto.
Conto su questo esame dei fatti per definirmi, forse anche per giudicarmi
o, almeno, per conoscermi meglio prima di ……morire.
Come chiunque altro, io non dispongo che di tre mezzi per valutare l’esistenza
umana: lo studio di se stessi è il metodo più difficile, il più insidioso, ma
anche il più fecondo; l’osservazione degli uomini, i quali nella maggior
parte dei casi s’adoperano per nasconderci i loro segreti o per farci
credere di averne; e i libri, con i caratteristici errori di prospettiva che
sorgono tra le righe.
Ho letto, più o meno, tutto quel che è stato scritto dai nostri storici, dai
nostri poeti, persino dai favolisti, nonché dai critici (la specie più rozza
ed..ignorante…), benché i penultimi siano considerati frivoli, e son loro
debitore d’un numero d’informazioni, forse, maggiore di quante ne
abbia raccolte nelle esperienze pur tanto varie della mia stessa vita.
La parola scritta m’ha insegnato ad ascoltare la voce umana, press’a
poco come gli atteggiamenti maestosi e immoti delle statue m’hanno
insegnato ad apprezzare i gesti degli uomini.
Viceversa, con l’andar del tempo, la vita m’ha chiarito i libri.
Ma questi mentono, anche i più sinceri.
Infatti i meneno abili, in mancanza di parole e di frasi nelle quali racchiuderla,
colgono, della vita, un’immagine povera e piatta; altri come Lucano,
l’appesantiscono, l’ammantano di una dignità che non possiede. Altri
ancora, al contrario, come Petronio, l’alleggeriscono, ne fanno una palla
vuota e saltellante, che è facile prendere e lanciare in un universo senza
peso. I poeti ci trasportano in un mondo più vasto, o più bello, più
ardente o più dolce di quello che ci è dato; per ciò appunto, diverso,
e, in pratica, pressoché inabitabile. I filosofi sottopongono la realtà,
per poterla studiare allo stato puro, press’a poco alle stesse trasformazioni
che subiscono i corpi sotto l’azione del fuoco e del macero: di un
essere o di un avvenimento, quali li abbiamo conosciuti noi, pare
non sussista nulla in quei cristalli o in quella cenere. Gli storici ci
propongono una visione sistematica del passato, troppo completa,
una serie di cause ed effetti troppo esatta e nitida per aver mai
potuto esser vera del tutto (ecco perché bisogna cercare con assennata
pazienza le fonti e confrontarle fra loro…con assennata saggezza…),
….ma è quasi ora di cena, con umiltà in segreto ed in silenzio composto
andiamo a mangiare…il nostro umile pasto, poi riprendiamo….
(M. Yourcenar, Memorie di Adriano)