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I capodogli degli approdi nordorientali erano quasi distrutti, e
anche le balenottere erano così ridotte di numero che gli americani
non avevano più alcuna convenienza a continuare a cacciare nelle
‘acque settentrionali’.
Intorno al 1820, il massacro registrò una parziale sosta, una sosta
dovuta solo al fatto che la ‘qualità migliore’ delle balene era stata
sterminata o ridotta a pochi esemplari, mentre, d’altra parte, i balenieri
non avevano ancora scoperto il sistema per infliggere lo stesso destino al
grosso delle balenottere che continuava a scorrazzare nei mari in quantità
prodigiose. La sosta si protrasse per circa cinquant’anni durante i quali si
ebbe nel Mare delle Balene solo un’attività di caccia relativamente ridotta,
diretta contro le balenottere. Una di queste operazioni venne effettuata da
una società di Jersey nella baia di Hermitage sulla costa meridionale di
Terranova. I balenieri della socieà ammazzavano ogni anno dalle 40 alle
60 balenottere, uccise con l’aiuto di baleniere equipaggiate con un nuovo
orrore: la fiocina-bomba di Greener. Si trattava di una bomba applicata all’
estremità di un’asta metallica che veniva sparata da una canna senza rigatura.
Alla fiocina esplosiva non era attaccata alcuna sagola perché, in linea di
massima la fiocina esplosiva doveva essere usata solo per dare il colpo di
grazia alla balena già arponiata. I balenieri, invece, se ne servivano come
arma principale contro le balenottere sperando di ucciderne così un numero
sufficiente per recuperare poi una redditizia percentuale dopo il ritorno a
galla delle carcasse gonfie.
Se nelle baie simili a fiordi come quella di Hermitage, il recupero era alquanto
più facile che non al largo di una costa priva di insenature, ciò non toglie
che i balenieri di Jersey probabilmente condannassero a morte due o tre
balenottere per ogni animale morto recuperato. Benché la megattera nodosa
continuasse a soffrire, il resto delle balenottere rimase fuori portata delle
capacità di caccia umane fin quasi alla fine dell’Ottocento, quando i più
spietati e astuti predoni del mare di tutti i tempi non escogitarono finalmente
i mezzi per sterminare non solo le balenottere ma anche tutti i grandi
cetacei superstiti in tutti i mari della Terra.
Il nuovo massacro fu avviato da un genio delle arti distruttive, un NORVEGESE
chiamato Svend Foyn, che dedicò in maniera quasi fanatica ogni sforzo
mentale, per dieci lunghi anni, alla scoperta e al perfezionamento di un
sistema per uccidere e recuperare le balenottere. Nel primo decennio
della seconda metà del secolo scorso, quest’uomo trovò la sua triplice
risposta al problema delle balenottere. La quintessenza del suo sistema
consisteva in un cannone da una tonnellata che sparava un massiccio
arpione facendolo penetrare profondamente nel corpo della balena.
Poi, una granata dirompente, inserita nell’estrimità dell’arpione,
esplodeva dilaniando le viscere della vittima con acuminati spezzoni.
L’esplosione provocava inoltre il raddrizzamento a scatto di aculei d’
acciaio applicati lungo il gambo dell’arpione che andavano ad ancorarsi
profondamente alle carni della vittima. L’arpione era collegato con una
sagola alla baleniera. L’effetto di questo diabolico congegno sulla balena
viva è descritto molto bene da F.D. Ommanney, un cetologo che accompagnò
molto più tardi una spedizione nell’Antartide per cacciare balene.
“La nostra preda salì in superficie, dopo essere stata arpionata, a una distanza
di circa 500 metri e cominciò a soffrire gli spasimi dell’agonia. Se le balene
potessero lanciare grida capaci di straziare il cuore, la loro morte sarebbe
meno terribile di questa battaglia persa in partenza nella quale era adesso
impegnata la nostra balena in un silenzio rotto solo dalle lontane grida degli
uccelli marini. Non udimmo nemmeno il gorgoglio della schiuma rossa
mentre l’animale si contorceva impennandosi e scomparendo sott’acqua,
mentre ogni tanto fiotti di sangue tingevano di rosso l’acqua….
La lotta ebbe fine, la schiuma rossa si dileguò e così potemmo vedere il corpo
completamente immobile. Al di sopra e tutt’intorno, gli uccelli si agitavano
con grida stridule”.
Il secondo dente del micidiale tridente di Foyn consisteva in un piccolo e
veloce battello a vapore, estremamente manovrabile e provvisto di una
prua rafforzata sulla quale era montato il cannone. L’imbarcazione era
provvista inoltre di un argano a vapore alquanto potente e di un sistem di
pulegge a molla che consentiva ai balenieri di seguire la balena arpionata,
come fanno i pescatori sportivi con il salmone, e di far risalire in superficie
persino una balena di cento tonnelate da una profondità di due miglia.
In origine, questi battelli venivano chiamati ‘whale killers’, ma oggi sono
conosciuti come catchers, ‘cacciabalene’, per rispettare la sensibilità dell’
opinione pubblica. I primi battelli di questo tipo erano appena tanto veloci
da poter inseguire con successo una balenottera incrociante, ma a quel
tempo questo bastava perché le balene non avevano ancora imparato a
fuggire davanti agli spietati inseguitori.
(F.Mowat, Mar dei massacri)