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Si tardò qualche tempo ad interrogare don Patricio Manzanera, il quale,
essendo cappellano della Real Armada, a volte era in un luogo ed a volte,
in un altro.
Il religioso fu infine interrogato nella città di Lorca il 12 ottobre 1785 dal
commissario don Mariano Mathias, secondo le regole del Sant’Uffizio.
Si tornò a raccogliere una seconda deposizione di questo teste il 12 luglio
1786 a Cartagena, tramite don Ignaco Madrid, commissario del Sant’ Uffizio
di tale città, affinché, in aggiunta a quanto già dichiarato, fornisse ulteriori
particolari all’avvenuto diverbio.
Il cappellano confermò quanto precedentemente dichiarato, ossia che Malaspina
aveva sostenuto la tesi della trasmigrazione delle anime, ed aggiunse di rammentare
che l’episodio era avvenuto sul cassero della Santa Clara, verso l’imbrunire e dopo
la recitazione del rosario.
Precisò che, avendo ascoltato le affermazioni del reo, gli fece osservare che, se
gliele avesse udite pronunciare un’altra volta, lo avrebbe fatto sapere al Sant’ Uffizio
e lo avrebbe rovinato; disse poi a Malaspina che ‘ los misterios de nuestra Fe’ erano
concetti che lui doveva conoscere e che, se lo avesse desiderato, gli sarebbero stati
spiegati.
Aggiunse che, dopo tali parole, Malaspina gli rispose, con insofferenza ed arroganza,
di non aver intenzione di mettersi a discutere con dei cappellani; col che ebbe termine
la disputa e, da quella volta, mai più reo parlò col religioso di simili argomenti.
Don Patricio dichiarò anche che a quella discussione avevano assistito due o tre
persone e, a maggior distanza, molte altre, tutte della nave, delle quali non
rammentava l’identità.
Il commissario quindi chiese al testimone informazioni su quei libri francesi,
posseduti dal reo, ai quali aveva accennato nella deposizione precedente.
Il cappellano precisò che, pur avendo veduto Malaspina leggere diversi libri
in francese ed inglese, egli, non conoscendo tali idiomi, non era in grado di
individuare che libri fossero, né di quali autori, né se avessero o meno
l’approvazione della censura, nè se, oltre a quelli che portava con sé, ne
possedesse altri.
Mai, comunque, aggiunse, si era visto o udito Malaspina parlare con altri
delle cose che stava leggendo.
Il teste confermò quanto già dichiarato circa il libertinaje del linguaggio
usato dal reo in varie occasioni ed aggiunse che questi, tenendo di sostenere
le proprie affermazioni, era solito buttarla sullo scherzo.
Concluse che, a suo giudizio, Malaspina non nutriva peraltro sentimenti
differenti da quelli che debbono esser propri di un vero cattolico; e con ciò
concluse la sua seconda deposizione.
( D. Manfredi, L’inchiesta dell’inquisitore sulle eresie di Alessandro Malaspina)