Così dunque anche tra i Celti, come il Misantropo di
Menandro, io recavo affanni a me stesso.
Tuttavia, se la selvatichezza dei Celti sopportava ciò,
logicamente lo tollera male una città felice come que-
sta, beata e popolosa di uomini, dove ci sono molti
ballerini, molti flautisti, più mimi che cittadini, e do-
ve non c’è rispetto per chi governa.
Ai deboli infatti conviene arrossire, mentre ai valoro-
si, come voi, si addice FAR FESTE FIN DALL’ALBA,
gozzovigliare di notte, per non insegnare a parole, ma
dimostrare con i fatti, che non vi preoccupate delle leg-
gi; che ve ne compiacciate, lo rendete manifesto in mol-
te ciscostanze, soprattutto nelle piazze e nei teatri:
il popolo con gli applausi e con le grida, i magistrati in-
vece con la fama e la rinomanza acquisita presso di
tutti per quanto hanno sperperato in simili feste, più
famosi e rinomati dell’ateniese. Solone per il suo incon-
tro con Creso, re di Lidia; tutti belli, alti, lisci e senza
barba, emuli, giovani allo stesso tempo e vecchi, della
vita beata dei Feaci, anteponendo alla legge divina
‘vestiti diversi, caldi lavacri ed il letto’.
Pensavi davvero che la tua selvatichezza, la tua misan-
tropia, la tua goffaggine, potessero andar d’accordo con
tutto questo?
Tu, il più idiota e attaccabrighe di tutti gli uomini tanto
sciocca e leggera è questa animuccia, che i più IGNOBILI
dicono sapiente, da credere di doverla adornare ed abbel-
lire con LA SAGGEZZA?
Hai torto, poiché in primo luogo noi non sappiamo cosa
mai sia la saggezza: ne udiamo solo il nome, non vedi-
amo gli effetti.
Se è come tu vivi ora, sapere che bisogna sottomettersi
agli dei e alle leggi, trattare da pari a pari con quelli di
uguale condizione e accettare benignamente la superiori-
tà in mezzo a loro, darsi cura e provvedere a che i pove-
ri non subiscano minimamente ingiustizia dai ricchi e
per questo avere noie, quante è naturale che tu ne ab-
bia avute spesso, inimicizie, risentimenti, insulti; inoltre,
quindi, sopportare tutto ciò con forza, non adirarsi e non
abbandonarsi alla collera, dominare sé stessi per quanto
è possibile, ed esercitare LA SAGGEZZA; se poi si pone
anche questo come effetto della saggezza, astenersi da
ogni piacere che non sembri in pubblico troppo sconve-
niente o degno di biasimo, persuaso che non è possibile
che sia saggio in privato, in casa e di nascosto, chi in
pubblico vuole essere smodato e si diletta nei teatri; se
dunque essenzialmente la saggezza è questa, ti sei rovi-
nato e ora rovini anche noi, che della servitù non sop-
portiamo neppure il nome, né verso gli dei, nè verso le
leggi; è dolce infatti essere liberi in tutto.
(Giuliano Imperatore, Misopogon)