LE SFIDE DELLA NATURA: il colonnello & la gazza (6)

 

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Il seguente fatto avvenne non si sa bene se all’indomani

o due giorni dopo la visita dell’Alta commissione forestale.

Il Procolo dopo cena passeggiava per la spianata davanti

alla casa.

Il crepuscolo stava per finire quando si udì il segnale della

gazza.

Il colonnello chiese a Vettore chi potesse arrivare a quell’-

ora.

Vettore rispose che non sapeva proprio.

Dopo venti minuti non era ancor giunto nessuno.

Fu allora che la gazza gridò per la seconda volta.

– Una volta può sbagliare ma due volte non è mai accadu-

to, notò Vettore.

Il colonnello, camminando su e giù per il prato aspettò tre

quarti d’ora, senza che comparisse alcuno. Finalmente de-

cise di andare a letto e incaricò Vettore di fare la guardia.

Erano le 21,30 quando egli spense la luce e si rivoltò con la

pancia in giù per addormentarsi. Proprio in quel momento

giunse per la terza volta il richiamo della gazza. Ma non

venne nessuno.

La voce si udì alle 22,30, alle 23,10, alle 24 in punto, all’1,40

alle 2,55 e alle 3,45.

Il colonnello ogni volta cominciava un’attesa nervosa, ri-

cacciando indietro il sonno. Ogni volta accendeva la luce,

guardava l’orologio d’oro. Alle 3,49, quando per la decima

volta giunse la voce dell’uccello, il colonnello balzò sul let-

to, si vestì, prese un fucile, con alcune cartucce e si avviò

per la strada verso l’albero della gazza.

Quella notte c’era la luna piena, appena calante.

Giunto al limite del bosco, benché ci fosse abbastanza luce,

il colonnello non capiva più se avesse o no oltrepassato la

pianta della gazza.

Ma d’un tratto, proprio sopra la sua testa, echeggiò il rau-

co richiamo dell’uccello.

Alzati gli occhi, il Procolo riconobbe, su uno dei rami estre-

mi, la gazza guardiana. Allora alzò il fucile, mirò e lasciò

partire il colpo.

Spentasi l’eco della detonazione, rimasero solo le grida

altissime della gazza ch’era stata colpita e si dibatteva sul

ramo.

Il colonnello comprese benissimo che erano feroci maledi-

zioni.

– Ne avevo abbastanza di questi stupidi scherzi. Non vo-

glio perdere il sonno per colpa tua, gridò Sebastiano Pro-

colo.

– Dieci volte hai dato il segnale questa notte e non è venu-

to nessuno.

– Vigliacco!,

gridava la gazza,

– Adesso mi hai ferita gravamente. No che non ti dirò chi

ho visto passare stanotte, no che non te lo dico.

– Un bel niente hai visto passare,

disse il colonnello.

– La prova ne è che ti sei messa a gridare anche quando

sono arrivato io, eppure venivo da casa.

– Mi ero un po’ addormentata, ti ho visto fermo qui sot-

to. Non ho capito chi fosse. Poteva ben essere qualcuno

venuto dal basso… Sarà lecito sbagliare una volta!

Intanto la gazza con molta fatica era scesa di ramo in

ramo, fino un quarto dell’altezza dell’albero. Per tenersi

diritta, ferita com’era, appoggiava le ali come puntelli,

cercando di nascondere la sua infermità.

Seguì un silenzio e poi cominciarono a udire dei piccoli

colpi regolari sulla base del tronco. Il colonnello si accor-

se ch’erano gocce di sangue che cadevano dall’alto.

– Chi era passato di qui? Per chi avevi dato il segnale?

Domandò ancora Sebastiano Procolo.

– Non te lo dico,

rispose la gazza,

– E’ inutile che tu insista.

Un altro silenzio.

Si udì ancora il ticchettio sul tronco.

– Forse è una ferita da niente,

osservò il colonnello.

– Non importa, non preoccupartene. Del resto un giorno

o l’altro volevo ben andarmene da questo posto maledet-

to. Ingenua che ero: pensavo che il mio servizio di segna-

lazioni fosse gradito. Ma il posto non lo posso soffrire.

Tutto è vecchio decrepito, tutto va in putrefazione. Mor-

ro è morto. E tu, come età, non scherzi, caro il mio signor

colonnello.

– Ti sparo un altro colpo se non la smetti,

fece Procolo irritato.

La gazza gorgogliò qualche cosa, senza che si potesse

capire.

La voce divenne ancora più opaca del solito e usciva a

stento.

– Mi hai ferita a tradimento,

disse infine la gazza.

– Forse dovrò morire. Lasciami allora dire una poesia.

– Una poesia?

– Sì,

fece la gazza con tristezza,

– E’ il mio unico svago. Solamente faccio fatica. Le rime

non mi riescono quasi mai. Naturalmente bisogna che

qualcuno mi stia a sentire, senò è inutile. Due volte sole

in quest’ultimo anno…

– Be’,

disse il colonnello interrompendola,

– Fa’ presto, allora…

Si ebbe un silenzio che lasciò udire il ticchettìo delle

gocce del sangue, oramai fioco e rado. La gazza si e-

resse con tutte le forze, puntellandosi con le ali. Alzò

la testa verso la luna. Poi si udì la sua rauca voce, con

dentro una specie di dolcezza:

 

Ricordo i giorni in cui mi dicevano:

‘Certo tu volerai molto bene

tu avrai la vita facile e lieve

molto più lunga di quelle nostre’.

 

Così dicevano i miei fratelli.

Io mi affrettavo a risponder loro:

‘Non io bensì voi diventerete

di un’abalità eccezionale…’

 

Qui la gazza si fermò, ansimando, per avvertire:

– Mi dispiace ho perso una sillaba. Accade alle volte

così, non si sa come….’

Il colonnello, con la destra, fece un indulgente segno di

tolleranza.

– Dunque,

riprese allora l’uccello,

– Eravamo rimasti…:

 

‘…Non io bensì voi diventerete

di un’abilità eccezionale.

Voi sì diventerete famosi.

Forse vi faranno monumenti.

Di me sarete molto più bravi

e morirete molto più tardi’.

 

I miei fratelli allora dicevano:

‘Perché vuoi nascondere i tuoi meriti?

Possiedi tali disposizioni

da ottenere il più grande successo’.

 

Allora fingevo d’irritarmi:

‘No fratelli, siete proprio voi

che trionferete un dì nelle Americhe

tra rosse nubi napoleoniche’.

 

Non qui finiva la discussione.

In aprile, in agosto, in settembre,

anche in dicembre, tra i freddi venti,

sempre questi eterni complimenti’.

 

– Hai fatto una rima!,

notò ad alta voce il colonnello dal basso.

– Sì,

rispose la gazza,

– Me ne sono accorta. Peccato che….

Sebastiano Procolo stava attento. Vide la testa della gazza

afflosciarsi come se fosse mancato il sostegno. Tutto il cor-

po si piegò da una parte, restò un momento in bilico e poi

cadde giù dal ramo, fino a che giacque sul terreno.

Il colonnello raccolse da terra l’uccello, lo soppesò in una

mano, lo adagiò nuovamente al suolo.

Quando egli se n’andò, la notte stava per finire.

 

(D. Buzzati, Il segreto del Bosco Vecchio)

 

 

 

 

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LE SFIDE DELLA NATURA: il colonnello & la gazza (6)ultima modifica: 2014-06-17T00:00:00+02:00da giuliano106
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