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I giorni e le ore cominciavano ormai a parlare un linguag-
gio più chiaro.
Ogni esperienza aveva un suo intimo, acuto significato.
Vi fu l’anelante, ansiosa gaiezza della caccia e la cattura
delle lucciole fugaci nelle languide notti estive.
Vi fu la molle ospitalità del profumo penetrante delle
soavi magnolie.
Vi fu il senso di sconfinata libertà distillato dal fruscio
delle erbe verdi, oscillanti e luccicanti al vento e al sole.
Vi fu il senso d’impersonale abbondanza quando vidi
una capsula di cotone che aveva versato e sparso per
terra la sua bianca peluria.
Vi fu il riso di compassione che mi gorgogliò in gola
quando osservai una grassa anatra nel suo dondolante
bighellonare per il cortile.
Vi fu l’incertezza che provai quando udii il canto teso
e penetrante d’un’ape giallonera volteggiare nervosa ma
paziente sopra una rosa bianca.
Vi fu l’ottusa e sonnolenta sensazione che provai nel sor-
seggiare diversi bicchieri di latte, che bevvi lentamente
in modo da farmeli durare a lungo, e bevendone a sazie-
tà per la prima volta in vita mia.
Vi fu l’amaro divertimento di andare in città con la nonna
ed osservare gli sguardi sconcertati della gente bianca nel
vedere una vecchia donna bianca condurre due ragazzi
innegabilmente neri per i negozi di via Capitol.
Vi fu il fresco e penetrante odore dei semi di cotone in cot-
tura che faceva venir l’acqualina.
Vi fu l’eccitazione del pescare in pantani fangosi con mio
nonno, nelle giornate nuvolose.
Vi fu la timorosa soggezione che provai quando il nonno
mi portò in una segheria a veder le gigantesche lame d’-
acciaio girare velocemente, e nell’udire il gemere e lo stri-
dere che facevano mordendo i tronchi verdi e umidi.
Vi fu il gusto agro che quasi mi fece piangere quando
mangiai il mio primo cachi acerbo.
Vi fu l’avida gioia del gusto saporoso delle noci di hicko-
ry selvatico.
Vi fu l’arido e ardente mattino estivo quando mi graffiai
le braccia nude sui rovi per prendere le more, e tornai a
casa con dita e labbra tinte di nero dal dolce sugo delle
more.
Vi fu il gusto che provai nel mangiare il mio primo san-
dwich di pesce fritto, che sbocconcellai lentamente spe-
rando che non finisse mai.
Vi fu il mal di pancia duratomi tutta la notte quando mi
arrampicai sull’albero d’un vicino e mangiai le pesche a-
cerbe rubate.
Vi fu il mattino in cui credetti di cader morto dalla paura
quando posai il piede nudo su un verde e lucente serpen-
tello di giardino.
E vi furono le lunghe, lente, languide giornate e nottate
di pioggerella minuta….
(Richard Wright, Ragazzo negro)