Conlusi che il problema postomi dal piccolo bottegaio
ebreo non poteva essere risolto.
Tedeschi o russi?
Per un polacco della mia posizione non esisteva molta
scelta, nel 1939. Infiniti altri su quel treno avevano creduto,
come me, che combattere contro i nazisti avrebbe potuto
costituire un passaporto verso la clemenza sovietica.
I giorni permeati di tedio e di disagio trascorrevano lenti.
Sonnecchiavamo sprofondati in un tetro avvilimento,
avevamo incubi atroci che non ci abbandonavano
neppure al risveglio, allorché ci rendevamo conto
di trovarci tuttora su quel tragico treno, rintronati
dall’incessante rimbombare delle ruote.
Parlavamo delle nostre mogli, delle nostre famiglie,qualcuno
con dovizia di teneri particolari, descriveva i propri figli;
imprecavamo contro i russi, contro Hitler e contro i tedeschi.
A volte trascorrevamo lunghe ore, addossati gli uni agli altri
per difenderci dal freddo penetrante, senza che nessuno
rompesse il silenzio.
Di tanto in tanto accadeva che restassimo rinchiusi anche per
trentasei ore senza interruzione, e allora gli uomini gemevano
vinti da un senso di abietta impotenza, oppure lanciavamo
roventi maledizioni all’indirizzo degli autori della nostra
degradazione.
(Slavomir Rawicz, La lunga marcia, Rizzoli)