AMMAZZARE IL TEMPO (la nostra infanzia) (12)

Precedenti capitoli:

Ammazzare il Tempo (chi lo ha ucciso?) (10/11)

Prosegue in:

Ammazzare i Tempo (la nostra infanzia) (13)

Foto del blog:

Ammazzare il Tempo (1)

Ammazzare il Tempo (2)

Da:

i miei libri

 

 

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Il movimento evolutivo sarebbe cosa semplice, e non ci vorrebbe

molto a determinarne la direzione, se la vita descrivesse una

traiettoria unica, paragonabile a quella di una palla sparata da un

cannone.

Ma qui abbiamo a che fare con una granata, che è subito esplosa

in frammenti, i quali, essendo anch’essi esplosivi, sono a loro vol-

ta scoppiati in altri frammenti destinati a esplodere ancora, e così

via per moltissimo tempo.

 

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Noi percepiamo solo ciò che ci è più vicino, i sommovimenti dis-

seminati di piccolissime esplosioni. Ed è da qui che dobbiamo

partire, per risalire, grado dopo grado, fino al movimento origina-

rio.

Quando la granata esplode, il suo frammentarsi si spiega sia per

la forza esplosiva della polvere che contiene, sia per la resistenza

del metallo. Lo stesso vale per il frammentarsi della vita in individui

e specie, che è dovuto, crediamo, a due serie di cause: la resisten-

 

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za che la vita incontra da parte della materia grezza, e la forza e-

splosiva – dovuta a un instabile equilibrio di tendenze – che la vi-

ta porta in sé.

La resistenza della materia grezza è l’ostacolo che sin dall’inizio

è stato necessario superare. La vita sembra esserci riuscita a for-

za di umiltà, facendosi molto piccola e insinuante, scendendo a

compromessi con le forze fisiche e chimiche, accondiscendendo

addirittura a fare con esse un tratto di cammino, come l’ago dello

scambio quando assume per qualche istante la direzione della ro-

taia da cui vuole separarsi.

 

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Non si può dire se i fenomeni osservati nelle forme elementari del-

la vita siano ancora fisici e chimici, oppure se siano già fenomeni

vitali. Fu così necessario che la vita entrasse nelle abitudini della

materia grezza per trascinare a poco a poco su un’altra strada la

materia magnetizzata.

Le forme animate che apparvero all’inizio furono, dunque, estre-

mamente semplici: piccole masse di protoplasma appena diffe-

renziato, paragonabili esteriormente alle amebe che conosciamo

oggi, ma  con in più la formidabile spinta interiore che le avrebbe

innalzate sino alle forme superiori della vita.

 

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E’ probabile che in virtù di questa spinta i primi organismi abbiano

tentato di ingrandirsi il più possibile: ma la materia organica ha un

limite di espansione che viene ben presto raggiunto.

Piuttosto che crescere al di là di un certo punto, essa si sdoppia.

Furono senz’altro necessari secoli di sforzi e prodigi di sottigliez-

za affinché la vita superasse questo nuovo ostacolo. Essa riuscì

a fare in modo che un numero sempre maggiore di elementi pron-

ti a sdoppiarsi restassero uniti.

(Prosegue…)

(H. Bergson, L’evoluzione creatrice)

(Fotografie di: Johannes Stotter)

 

 

 

 

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AMMAZZARE IL TEMPO (alla ricerca dell’alchimia della vita) (3)

 

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Precedente capitolo:

Ammazzare il Tempo (pensieri eretici contro-Tempo) (1/2)

Foto del blog::

Ammazzare il Tempo 

Ammazzare il Tempo 

Prosegue in:

Ammazzare il Tempo (il nastro della realtà) (4) 

Da:

Frammenti in rima

 

 

 

Tre sono i principi che deve conoscere il nostro

artefice onde operare per virtù propria nella me-

dicina, nell’arte alchimista della natura. Il primo

principio è la materia, che dev’essere conosciu-

ta dall’artefice di questa opera per la medicina

e la pietra che è destinata a ricevere l’essere so-

stanziale.

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Perché se la materia, è tale quale la natura ricer-

ca, essa riuscirà gratissima alla forma.

Forma, materia e mezzo, cioè forze, ecco quello

che deve concorrere per la migliore riuscita, co-

me si dirà in proseguo.

Il secondo principio è il mezzo, molto più sempli-

ce rispetto al primo, ed è quello per cui la mate-

ria riceve la sua perfezione.

Il terzo è il principio della Quinta Essenza.

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Il primo principio è nel mercurio volgare o comune.

Il secondo principio è nelle acque sottili in cui si ri-

solve la fangosità del primo principio.

Il terzo principio, essenziale, è in relazione alla vir-

tù delle stelle fisse, mobili, e dei loro diversi aspetti.

Questo principio s’infonde nella materia per opera

delle cotidiane influenze, appropriandolo con l’arte-

ficio del secondo principio.

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Il secondo principio, causa, dunque, ed è recettibi-

le conveniente del terzo e di tutte le virtù che scen-

dono dal cielo e che sono di ogni cosa generata la

perfezione e la forma, come si può ben vedere dal-

le sue qualità caratteristiche.

Ma quello che genera, viene materialmente dal pri-

mo, dal quale si diparte la virtù minerale, che è ma-

teria semplice, divenuta perfetta quando riceve la

forma per la Quinta Essenza celeste.

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Così la forza serve di mezzo, arteficiosamente, per

la perfezione della materia, e da essa muove l’altra

minerale virtù informativa che è comune alle pietre,

alle medicine e ai metalli.

Devi conoscere la virtù con la quale è causata, e

perché si causa, la congiunzione di questi  tre

principii. E devi quindi badare alla quantità e alla

qualità, divise tra loro, ed anco al moto del cielo,

delle stelle, delle cose generabili e corrutibili da

quelle mosse ed informate.

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Non diciamo però che sia necessario all’artefice di

operare con figure e immagini del cielo per ricono-

scere i loro moti, come affermano molti filosofi.

Ma basta averne conoscenza, per l’influenza del

calore celeste, che si rileva dalla figura del cielo e

delle stelle, e che s’infonde nella materia con oppor-

tuna opera naturale, con cui l’arte si conforma alla

natura.

(Raimondo Lullo)

(Foto del blog: Hengki Koentjoro)

 

 

 

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LE PRIME PIOGGE (13)

Precedente capitolo:

L’inverno del nostro Universo (11/12)

Prosegue in:

Le prime piogge (14) &

Le ‘Seconde’ piogge (15)

Foto del blog:

L’inverno del nostro Universo (1) &

L’inverno del nostro Universo (2)

Da:

Frammenti in rima

 

 

 

le prime piogge

 

 

 

 

 

 

 

 

Se dovessimo scrivere l’ultima canzone d’amore della

Storia, dovremmo dedicarla alla gravitazione.

Un magnetismo unico!

Un milione di anni dopo la nascita della nostra stella

trenta piccoli pianeti nascono dalla polvere vicina all’-

asse; sono i favoriti del Sole, e gli girano intorno in or-

bite concentriche, contendendosi uno spazio angusto.

 

le prime piogge

 

Ovviamente s’intralciano a vicenda.

Abbandonano le loro traiettorie, si muovono gli uni

verso gli altri (talvolta urlano e gridano orbite scon-

nesse) seguendo percorsi ellittici e si scontrano a de-

cine di migliaia di chilometri orari.

Solo i più grandi resistono alla collisione, incorporan-

do i più piccoli. La situazione resta invariata per 100

milioni di anni, poi l’anello interno registra quattro

vincitori provvisori (al foto-finish…). 

 

le prime piogge

 

Tre si accontentano delle province meno ambite – due

delle quali sono molto vicine al Sole -, mentre l’ultima

è lontana, in quarta posizione.

Quattro concorrenti principali in gara per un futuro ri-

servato a un unico trionfatore.

Al terzo pianeta….

Alla nostra Terra.

 

le prime piogge

 

All’inizio è un vero inferno….

I piccoli corpi che le si sfracellano contro le permetto-

no di crescere senza sosta. Si tiene stretto persino il va-

pore acqueo condensato che fuoriesce dal loro interno,

avvolgendoselo intorno come un mantello.

Nello stadio embrionale, la sua massa ammonta già a 

un terzo del peso attuale…. 

Ma perché tutti quei corpi celesti volano qua e là?

Si presentano rivali sempre nuovi (altra massa, altra ac-

qua) e poi ne arriva uno che è troppo grande per essere

semplicemente spazzato via.

 

le prime piogge

 

Cade Theia, un corpo celeste delle dimensioni di Marte.

I suoi frammenti schizzano ad una velocità schizofrenica

nello spazio (attorno…).

Per ventiquattro ore si forma intorno al pianeta un anel-

lo di detriti simile a quelli di Saturno. Quasi tutti i pezzi

precipitano poi sulla giovane Terra, unendosi a quest’ul-

tima e aggiungendo nuova massa al pianeta.

Atri si uniscono al coro del campo gravitazionale, costi-

tuendo la Luna. Tramite il disordine nel cosmo siamo 

così giunti al nostro satellite (in orbita…).

 

le prime piogge

 

Poteva essere l’inizio della fine (depressiva…)… ed invece

… è solo l’Inizio, l’Introduzione…..

Perché dopo lo scontro con Theia, il nostro solitario piane-

ta si stabilizza, più grande e massiccio che mai. Dovranno

passare altri 500 milioni di anni prima che la sfera infuoca-

ta su cui oggi viviamo così bene si copra di una crosta più

o meno stabile.

Un bombardamento incessante di proiettili impazziti, co-

me moderni razzi cosmici impedisce qualsiasi unione del-

le molecole organiche, regalando però alla Terra la sua

struttura interna. 

 

le prime piogge

 

Elementi di diverso peso raggiungono la sua superficie

con gli asteroidi e i meteoriti, il ferro si raccoglie nel nu-

cleo terrestre per via della gravità, e compaiono strati di

materia più leggera che avviluppano il nucleo.

Enormi quantità di gas si fanno strada tra la poltiglia ro-

vente.

Nuova acqua giunge dagli abissi dello spazio.

Sgorga dagli strati esterni, dove una nuvola sferica di 

granelli, frammenti e particelle di materia circonda l’in-

tero sistema solare come una scorza. Mentre, nell’anello

interno, la concorrenza infuriava, anche lì, lontano dal 

calore solare, si erano formati alcuni pianeti, la cui co-

struzione aveva lasciato grossi frantumi, composti in 

parti uguali di roccia e ghiaccio: le comete….

 

le prime piogge

 

Queste ultime sfrecciano poco distante dalla Terra e so-

stituiscono l’acqua perduta durante la collisione con 

Theia.

L’involucro di vapore si condensa di nuovo, fino a sten-

dersi sopra il pianeta come una coperta. Più quest’ulti-

ma è compatta e meno calore delle esplosioni costanti

riesce a fuoriuscire.

Il pianeta cuoce al suo interno.

La superficie comincia a fondersi, finché un’accecante

lava rossa non riveste ogni cosa. La temperatura in que-

sta specie di cucina raggiunge i 1260° C., mentre la pres-

sione dell’aria tocca le 100 atmosfere.

 

le prime piogge

 

Due oceani coprono il pianeta: uno di vapore acqueo e,

più giù, uno di pietra liquida, che assorbe lentamente il

vapore acqueo all’involucro, perché la lava li inghiotte

subito.

Poi i proiettili impazziti diminuiscono….

Un tempo, subito dopo la sua nascita, la Terra possedeva

un’atmosfera sottile, ma all’epoca il pianeta era più picco-

lo e più leggero. 

La sua gravitazione non bastava a difendere l’involucro di

gas dall’effetto delle tempeste solari prolungate. La giova-

ne atmosfera era così instabile che, alla fine, la collisione 

da cui deriva la Luna l’aveva scagliata nel cosmo. 

Adesso le cose vanno meglio…..

(F. Schatzing, Il mondo d’acqua;  Fotografie di: Logan Zillmer)

 

(Prosegue…)

 

 

 

 

 

 

 

le prime piogge

 

NAK (9)

Precedenti capitoli:

Letti d’ospedale &

Visioni (8)

Prosegue in:

Manas (10) &

L’inverno del nostro Universo (11)

Foto del blog:

Nak &

Manas &

L’inverno del nostro Universo (1) 

L’inverno del nostro Universo (2)

Da:

Frammenti in rima


 

nak









All’inizio dell’Universo, secondo la cosmologia vedica,

le Acque primordiali formavano un’immensa nebulosa

chiamata in sanscrito salila, arna, samudra: oceano.

I versi del Rg-Veda raccontano che durante l’evolversi

dell’Universo le Acque cosmiche si erano riunite in par-

te intorno al sole e in parte erano confluite nelle regioni

governate dalla luna così da formare due oceani celesti,

samudrau, uno dei quali luminoso e l’altro avvolto nel-

le tenebre. 

Da questi oceani le acque erano poi discese sulla terra 

a formarvi l’atmosfera dei fiumi. L’osservazione del per-

corso compiuto di giorno dal sole, e di notte dalle stelle,

aveva permesso agli astronomi di conoscere il moto di

rotazione celeste che appariva ai loro occhi come il mo-

to di rotazione delle acque dei due oceani celesti (naka).

 

nak


Il giorno di 24 ore era considerato composto da un perio-

do di rotazione delle acque luminose, cui corrispondeva

l’idea di ‘giorno’, e da un altro periodo di rotazione delle

acque scure, cui corrispondeva l’idea di ‘notte’.

Il nome del giorno, div ‘si stacca (v) fluendo (i) dalla lu-

ce (d) fu costruito con la consonante d ‘luce’ mentre la 

notte fu designata con la consonante n ‘acqua’ e con il

verbo ak ‘muovere curvando’. 

Uno dei primi termini usati dagli indoeuropei per desi-

gnare la ‘notte’ fu appunto: nak ‘il moto (ak) curvilineo

delle acque (n)‘.

Essendo però nak un nome d’azione astratto, con il sen-

so di un infinito, gli si preferì in seguito nakta, nome d’-

azione concreto con il senso di un participio, ad indicare

un singolo atto di rotazione compiuto intorno alle terra 

dalle acque.

 

nak


Nakta significava quindi ‘un moto di rotazione (akta) del-

le acque (n). Allorché si dovette indicare la ‘volta celeste’,

‘il firmamento’, si seguì lo stesso criterio formativo. Si trat-

tava, in questo caso, di indicare la circolazione celeste per-

manente delle acque e non una loro singola rotazione (ap-

parente) della durata di circa 12 ore.

Si ricorse pertanto al derivato nominale di ak, aka, che e-

sprime lo svolgimento continuo dell’azione verbale….

Si creò così il termine: naka (na+aka), per indicare la ‘cir-

colazione permanente (aka) delle acque (na)’.

Inoltre nella convinzione che la circolazione delle Acque

fosse regolata da 27 gruppi stellari, o ‘costellazioni’, gli 

astronomi divisero l’eclittica in altrettante parti riuscen-

do in tal modo a seguire il passaggio del sole e la rivolu-

zione mensile della luna intorno alla terra.

I canti rigvedici sull’origine dell’Universo sono tre e ap-

partengono tutti al decimo libro. 

 

nak


L’inno 121°, dedicato a Ka, nome attribuito a Hiranyagar-

bha, il ‘Germe Aureo’, osserviamo ora il terzo di questi 

inni, il 129°, conosciuto come il Nasadasiyasukta, ‘Non 

c’era non-essere, né c’era essere: “All’inizio non c’era es-

sere, né c’era non-essere. che cosa ricopriva l’insondabi-

le profondità delle acque e com’era e dov’era il riparo? 

Non c’era l’atmosfera né, al di là di essa, la volta celeste”.

“Non c’era morte allora né immortalità. Non c’era notte.

Non c’era giorno. Quell’Uno viveva in sé e per sé, senza

respiro. Al di fuori di quell’Uno, c’era il Nulla”.

“C’era oscurità, all’inizio, e ancora oscurità, in un imper-

scrutabile continuità di acque. Tutto ciò che esisteva era

un vuoto senza forma. Quell’Uno era nato per la poten-

za dell’Ardore”.

Secondo la visione dell’universo che il poeta-veggente 

vedico descrive in questi versi, all’inizio del cosmo, una 

impenetrabile nebulosa di acque primordiali formava un

imperscrutabile oceano, ove l’Uno era sì già nato, ma vi-

veva senza fiatare. 

 

nak


In quell’insieme oscuro di acque, all’infuori di quell’Uno,

peraltro non ancora manifesto, c’era solo il Nulla. Qual 

era, ci si chiede, la correlazione cosmogonica e metafisi-

ca tra le Acque, l’Uno ed il Nulla?

Credo che l’analisi linguistica ci possa dare una risposta.

Se consideriamo il fonema na come il simbolo delle Ac-

que indifferenziate, possiamo dedurre che fu da esso che

nacque il concetto di negazione, na, e di conseguenza….

quello del Nulla, a causa dell’impossibilità di riconosce-

re al loro interno alcun ente (non-ente, niente) o alcun u-

no (non-uno, nessuno).

Soltanto in un secondo tempo, con l’apparizione della 

luce nelle acque, (ka), il pensiero indoeuropeo avrebbe

riconosciuto al loro interno il primo Essere, eka, l’Uno:

‘luce (ka) che sorge dalle Acque’. 

 

nak


E come dalle Acque notturne, na, era nato il concetto del

negativo, allo stesso modo dalle Acque luminose sareb-

be nato il pronome interrogativo ka, per identificare l’-

‘Uno’ (chi?) o l”Ente? (che cosa?), che erano nascosti nel

profondo delle acque ricoperte dalle tenebre.

La relazione tra le Acque cosmiche, l’Uno ed il Nulla, 

appare ora chiara. Il Nulla, na…, rappresenta le Acque

viste nel loro aspetto imperscrutabile mentre l’Uno, eka, 

rappresenta le stesse Acque viste nel momento del sor-

gere della Luce al loro interno.

Luce ‘creatrice’, in quanto rende visibile e riconoscibile

l’intero Universo. La luce del cielo e del giorno, div, re-

sa in indoeuropeo dalla consonante d, è invece luce….

‘creata’ e sarebbe apparsa più tardi con la nascita degli

Dèi….. 

(F. Rendich, L’origine delle lingue indoeuropee)


(Prosegue…)







 

nak


RICORDI DI UNA MORTA BANCONOTA DA 10.000 lire (5 euro odierni….)

Prosegue in:

Ricordi di una morta banconota (secondo atto)….&

Cani di passaggio

Foto del blog:

Cani di passaggio (1) &

Cani di passaggio (2)

Da:

Frammenti in rima









Adesso sono qui, dentro una mazzetta di biglietti del mio

stesso taglio, (un tempo prima del macero il nostro mor-

to cimitero, allietavamo la vita di tanti e troppi signori o

chiacchieroni, sì noi li sentivamo parlare confabulare poi

ci stringevano nelle mani e sparivamo in qualche cassafor-

te buia, poi un lungo viaggio numerato e ci scambiavano

alla frontiera con un nostro fratello anche lui numerato…),

eravamo vecchi e laceri come me, con qualche pezzo di

scotch che ci tiene dolorosamente insieme – gli angoli man-

giucchiati, la carta lisa – finalmente giunti alla resa dei con-

ti, all’incubo di un’intera vita: il terribile, mitologico cimi-

tero del macero…. 

 

ricordi una banconota da 10.000 lire


Sì, oggi, giorno dei morti voglio rimembrare il mio passa-

to, quanto tempo è trascorso da quando la mazzetta in cui

nacqui venne aperta da un nervoso cassiere (ma anche da

un onesto politico, ci cercava ovunque giacessimo in atte-

sa di un nuovo padrone da servire….) di banca e io mi ri-

trovai nella borsetta di una signora di mezz’età – fu la

prima stazzonatura – speso dopo poche ore in un super-

mercato (certo la signora qualche cosa per cena e per pran-

zo riusciva a raccogliere prima che io arrivavo veloce co-

me una moderna autostrada in una fredda cassa e da lì

in mille altri posti….., quanti ricordi…).

 

ricordi una banconota da 10.000 lire


Ricordo per esempio, l’angoscia di quella prima notte, 

dentro la celletta della cassa, solo, mentre percepivo ac-

canto a me la gioia di un gruppo di monete che tintinna-

vano le loro amenità.

Vissi per un lungo periodo passando di mano in mano, 

scambiato, spiegazzato, stazzonato, addirittura calunnia-

to….

Ah, le mani!

Quante mani ho conosciuto a quei tempi!

Sì mani! Cosa avete capito mani… non ci sbagliamo da noi

certe parole non debbono essere mal interpretate con altre 

volgarità…..

 

ricordi una banconota da 10.000 lire


Sì, mani oleose dei benzinai, quelle pulite dei medici, quel-

le veloci e nervose delle cassiere (sì le mie amate cassiere…),

quelle belle unte dei salumieri, quelle infarinate dei fornai…

e potrei continuare all’infinito, sì bei ricordi, tutti mi guarda-

vano ed anche adoravano…..

Ed in questa sede mi preme ricordare al lettore incline alla

celebrazione e quindi a seguire ii miei ricordi, dotato di tan-

ta sensibilità da concedere anche ad un biglietto di banca…

saggezza di vita e sentimento di dolore, gli anni che segui-

rono; anni intensi, straordinari, eccitanti….

Non certo la mediocrità del mio sostituto, quello piccolo e

smilzo da 5 euro, che vergogna, che beffa……

 

ricordi una banconota da 10.000 lire


Sì, i miei ricordi…., un signore mi smarrì inavvertitamente

sotto una scrivania e rimasi lì per più di sei mesi – il mio pe-

riodo zen, lo definirei – sei mesi di riflessioni sui destini del-

la cartamoneta:

chi siamo?

Da dove veniamo?

Dove andiamo?

C’è una vita dopo il macero?

Esiste veramente il riciclaggio? 

Chi è il nostro vero Dio?

 

ricordi una banconota da 10.000 lire


Sei mesi di riflessioni profonde e poi uno squarcio di luce:

la gioia negli occhi della donna delle pulizie che mi trovò.

L’entusiasmo con cui mi girava e rigirava fra le mani (men-

tre buttava via tutto il resto…., che donna….) e l’eccitazione

con cui raccontava a tutti del mio ritrovamento (indicando 

la tasca giusta dove ripormi….) cominciarono a farmi intra-

vedere un senso per la mia vita….

Gli anni passavano e con essi le mie esperienze si facevano

via via più intense, sì perché la donna della ditta delle pu-

lizie mi scambiò e consegnò ad una vecchietta che mi mise

sotto il materasso del proprio letto e mi ci tenne per più di

un anno, un anno infernale, senza mai guardarmi, senza de-

gnarmi di un’occhiata, senza degnarmi di una parola….

 

ricordi una banconota da 10.000 lire


Ricordi, ricordi….

Ricordo l’incubo che provai qualche anno dopo, la prima

volta che mi infilarono dentro un lettore ottico di un distri-

butore di benzina automatico (nulla fu più come prima,

messo a nudo in tutta la mia bellezza e celata saggezza…).

Un lampo accecante, un sibilo meccanico e mi ritrovai ri-

succhiato nel buio, tra tanti miei fratelli angosciati e persi

in quel misero e moderno inferno meccanizzato… 

Ci chiedevamo: era dunque quello il famigerato, leggen-

dario macero color dell’acciaio, la fine della nostra vita?

Eppure qualcuno di noi era giovanissimo, appena staz-

zonato, dove mai eravamo finiti?

Fortuna volle che fra noi fosse presente uno spiegazza-

tissimo fratello: ci assicurò che a lui era già capitato ed e-

ra come stare in una cassetta di sicurezza, non dovevamo

preoccuparci, non eravamo alla fine…


(ma voi lettori non vi preoccupate i miei ricordi continuano…)


(E. Remmert  per Linus;  Foto di Chehere Laurent)

(Dedicato a E. Baldoni…)






 

ricordi una banconota da 10.000 lire