Prosegue in:
Dalla metà di novembre alla metà di dicembre il vento si
mantenne in direzione ovest, consentendoci di prosegui-
re di un buon tratto, finché all’improvviso mutò corso
nuovamente, frustando ogni nostra speranza.
Verso i primi giorni di dicembre mutò ancora verso ove-
st, poi d’improvviso nei giorni seguenti spirò verso est
mantenendosi lieve e variabile fino al giorno 8.
Le nostre sofferenze sembravano giunte al termine; in
breve tempo ci attendeva una morte terribile; la fame si
fece violenta e atroce, e ci preparammo ad una rapida fi-
ne dei nostri patimenti; avevamo grandi difficoltà di pa-
rola e di ragionamento e ci consideravamo ormai gli uo-
mini più disgraziati e reietti dell’intero genere umano.
Isaac Cole, un membro dell’equipaggio, sin dal giorno prima
si era accasciato sul fondo della barca, in preda alla dispera-
zione, attendendo, rassegnato, la morte.
Era evidente che per lui non c’erano più speranze; diceva di
avere la mente ottenebrata, di essere assolutamente privo di
aspettative, diceva di considerare pura follia il perdurare in
una lotta contro quello che, ormai senza dubbio, pareva in
nostro destino.
Lo redarguii per quanto mi consentissero le mie scarse forze
fisiche e mentali; ciò che dissi sembrò fargli un grande effet-
to: compì un improvviso, immane sforzo per sollevasi e stri-
sciare fino al fiocco gridando con fermezza che non avrebbe
mai ceduto alla rassegnazione, che sarebbe vissuto quanto
tutti gli altri, ma, ahimé!
lo sforzo non nasceva che da un delirio momentaneo che ben pre-
sto lo abbandonò in uno stato totale abbattimento.
Quel giorno la ragione gli si sconvolse e, intorno alle nove del
mattino, egli diede in pietose manifestazioni di follia: parlava in
modo incoerente di tutto, invocando acqua e un panno per asciu-
garsi di nuovo, istipudito, sul fondo della scialuppa, chiudendo
gli occhi come morto.
Intorno alle dieci, ci accorgemmo che non parlava più; lo collo-
cammo alla meglio su una tavola che mettemmo sui sedili del-
la barca, quindi, dopo averlo coperto con qualche vecchio indu-
mento lo abbandonammo al suo destino.
Giacque in preda ad atroci sofferenze del corpo e dell’anima, la-
mentandosi pietosamente fino alle quattro, quando spirò tra le
più orrende convulsioni che mai mi fu dato di vedere.
Tenemmo così la salma per l’intera notte, e il mattino seguente i
miei due compagni si apprestavano a prepararlo per il mare,
quando, dopo averci riflettuto per le lunghe ore notturne, li in-
terrogai sulla dolorosa possibilità di tenere il corpo come cibo!
Le nostre provviste non potevano durare
più di tre giorni ed era assai poco
probabile che in quell’arco di tempo
trovassimo modo di salvarci, prima
che la fame ci costringesse a tirare a
sorte tra noi.
La proposta fu accolta dall’unanime
consenso e ci mettemmo subito al
lavoro per salvaguardare
il corpo dalla decomposizione.
Separammo gli arti dal tronco e spolpammo le ossa, poi
aprimmo il torace e ne estraemmo il cuore, quindi lo ri-
chiudemmo, lo ricucimmo quanto meglio ci riuscì e lo
gettammo in mare.
Iniziammo a soddisfare i nostri bisogni più immediati
cibandoci del cuore, che divorammo con bramosia, quin-
di mangiammo alcuni brandelli di carne.
Sistemammo il resto, tagliato in sottili strisce, sulla barca,
affinché si seccasse al sole; accendemmo un fuoco e ne ar-
rostimmo una parte per il giorno appresso.
Questa fu la fine che riservammo al nostro compagno di
sofferenze; il doloroso
ricordo di questo gesto arreca ora alla mia mente alcune
tra le idee più spiacevoli e rivoltanti che sia in grado di
concepire. Non sapevamo, allora, chi sarebbe stato il pros-
simo a subire quella sorte, di morire ucciso e divorato co-
me quel povero infelice.
Ogni sentimento umano rabbrividisce di fronte ad un simi-
le spettacolo. Non ho parole per esprimere il dolore delle
nostre anime in quell’atroce circostanza.
La mattina seguente, scoprimmo che la carne si stava deterio-
rando e andava assumendo un colore verdastro, per quanto
tutti gli sforzi nel mangiare quel cibo, la cosa ci indusse a
decidere di cuocerla immediatamente per impedire che di-
ventasse tanto putrida da non poter più essere consumata:
così facemmo, preservandone l’edibilità per sei o sette gior-
ni; in quel periodo non toccammo le provviste di pane, quel-
lo infatti non si sarebbe deteriorato e doveva costituire il no-
stro mezzo di sostentamento per gli ultimi momenti.
Intorno alle tre di quello stesso pomeriggio si levò una forte
brezza da nord-ovest e avanzammo di un buon tratto, se si
considera che procedevamo ormai con solo le vele: il vento
si mantenne fino al 14 -15, poi mutò corso nuovamente.
Riuscimmo a sopravvivere spartendoci con parsimonia pic-
coli lembi di carne da consumare con acqua salata. Per il 14,
i nostri corpi si erano tanto ripresi da consentirci di compi-
ere alcuni tentativi di manovra ai remi; benché erano setti-
mane che manovravamo, ma una nuova manovra, un movi-
mento, poteva ristabilire le sorti; ci demmo il turno e riu-
scimmo a percorrere un buon tratto.
Il 15 la carne era terminata, e fummo costretti a tornare alle
ultime forme di pane. Negli ultimi due giorni i nostri arti si
erano gonfiati e dolevano terribilmente. Secondo i nostri cal-
coli, ci trovammo ancora a distanza di trecento miglia da ter-
ra con soli tre giorni di razionamento alimentari, ed un’uni-
ca scialuppa.
Qualcuno, non ricordo chi, propose di mangiare anche quel-
la……
(Resoconto del più straordinario e doloroso, NAUFRAGIO
DELLA BALENIERA ESSEX di Nantucket, che fu attaccata e
poi distrutta da un grande CAPODOGLIO, nell’Oceano Paci-
fico, con il resoconto delle sofferenze senza confronto del ca-
pitano, e dell’equipaggio durante gli interminabili giorni in
mare aperto, negli anni di Nostro Signore 1819 – 1820, di O-
WEN CHASE, primo Ufficiale del suddetto vascello)