Già ho detto quando avvenne l’addomesticamento; quanto al luogo, si trattò dell’Egitto,
forse anche della Nubia, ma comunque è in Egitto che lo troviamo ampiamente rappresentato,
ed è da lì che poi l’asino è partito per conquistare il mondo e sempre come animale da lavoro.
Penso a lui come un motore per mille usi, per trasportare pesi e persone , per muovere le
mole dei molini, le ruote per cavare l’acqua, i carrelli nelle miniere. Un produttore di energia
a buon mercato, aiuto dell’ambulante, del contadino, della gente più misera, perché tutti
potevano permetterselo.
Ma, si sa, la frugalità, la modestia, la resistenza alla fatica non sono mai state qualità degne
di grande ammirazione. Così l’asino è stato, salvo rare eccezioni, concepito come uno
schiavo. Forse per questo è nata la convinzine che quasi le bastonate gli sono dovute.
E ciò mi fa pensare a un’altra frase, ben più acuta questa, di Peter Jean Medewar:” La
proverbiale cocciutaggine di asini e muli non va attribuita a niente di più profondo del
loro uso da parte di persone abitualmente insensibili agli animali e indifferenti al loro
benessere”.
Frase che la dice lunga.
Ben raramente infatti l’uomo s’è chiesto se non c’era qualche modo più intelligente, oltre
che pigliarlo a bastonate, per comunicare con questo, anche per ciò così simpatico animale.
Le cose comunque, almeno in qualche parte del mondo, stanno un poco cambiando e,
diciamolo, migliorando. Prendiamo il caso dell’Italia. Da quando l’asino v’è arrivato è
passato un tempo sufficiente perché s’evolvessero caratteristiche razze locali, che mi
piace enumerare. Così ecco gli asinoni neri e forzuti di Martina Franca e di Ragusa,
quello morello o baio di Pantelleria, il grigio asino dell’Amiata, e infine i piccolissimi
della Sardegna, di colore sorcino colla scura croce dorsale, e dell’Asinara, albini e con
sconcertanti occhi azzurri. Grande fortuna hanno avuto fino a non molto tempo fa queste
razze, allevate in gran numero e perfino esportate. Poi la ricchezza, il progresso, la
motorizzazione le hanno rese sempre meno utili per i tradizionali lavori; s’è così arrivati,
in qualche caso, fino quasi a vederle scomparire. Esempi: l’asino di Pantelleria è
praticamente estinto; quello di Martina Franca, di cui sono rimasti ben pochi esemplari
tipici, fu censito nel 1907 e nella sola Puglia ne erano presenti ben 128.026 individui.
Gravissimo declino, dunque, ma da ciò, fortunatamente, è scaturito l’allarme.
Qualcuno s’è accorto che le antiche nostre razze rappresentavano un valore, sia genetico
che culturale. Era un peccato che dopo tanta storia di civiltà contadina, tanto biologico
lavoro d’adattamento, dovessero scomparire.
Così enti privati hanno iniziato a raccogliere i nuclei superstiti, a curare gli standard, ad
allevare con attenzione.
(Danilo Mainardi, Dalla parte degli animali)