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Mi sveglio presto, anche perché il reggimento può arrivare da un momento
all’altro.
Mi dispiace lasciare questo letto e questa stanza con mille gingilli che rivelano
la mano della bella signorina.
Non è un sogno, è proprio vero, ho dormito in un letto!
Il rancio…e ancora partenza: non ci fermiamo più qui. I soldati sono stanchissimi
sotto il peso dei pesanti zaini.
Camminiamo barcollando come ubriachi! E’ una cosa inumana, nonostante le
fermate frequenti è difficile continuare. Gli ufficiali strillano come aquile per
mantenere un po’ di ordine nelle file.
A notte fonda arriviamo, Dio sa come, a Pescul, villaggio con poche case sparse.
Il comando di battaglione di cui faccio pare si installa nella sagrestia della chiesetta;
noi ciclisti ci corichiamo per terra senza paglia e con una sola coperta.
Sono straordinari questi paesaggi.
Siamo nel cuore delle Dolomiti.
Ieri sera, prima di coricarmi, stanco morto, mi sono gustato il tramonto. Il sole
morente sfiorava le cime del Civetta e del Pelmo incendiando le rocce di rosa.
La valle appariva di un grigio piombo magnificamente intonato. Non sono un
artista, ma questi spettacoli della natura così belli mi sconvolgono e mi fanno
provare uno straordinario godimento. Fra qualche giorno invece saremo buttati
brutalmente in una fornace di morte! Come figlio di questo popolo non debbo
tirarmi indietro. La patria fa appello ai suoi figli!
E’ bene? E’ male?
Non si discute, si ubbidisce.
Sono pronto! L’Italia avanti tutta. Qui sono nato.
Parlo la sua lingua. Qui sono i miei morti. Qui vivono i miei cari.
Sono stato educato a questo dovere.
Non sarò mai un traditore!
Ci spostiamo fino a Selva di Cadore. Siamo a pochi passi dal confine con l’Austria.
Nella notte un sinistro chiarore che brucia! Faccio servizio di collegamento tra Selva
e monte Fernazza.
Abbiamo già passato il confine occupiamo il primo paesino. Subito di là è Santa Lucia.
Non abbiamo trovato nessuna resistenza. E’ notte e piove. In fondo alla piazzetta irregolare
sorge la chiesetta. E’ là che andiamo a picchiare. Si ha un bel tempestare di colpi.
La porta della Canonica non si apre. Il Maggiore, dall’alto del suo cavallo, dice:
– Bene, se tra tre minuti non aprite sfondo la porta.
Parole magiche! Immediatamente si ode il cigolio di una finestra e una vocina timida
chiedere:
– Chi è?
– Buona sera. Con chi ho l’onore di parlare?
– Con il parroco di Santa Lucia.
– Bene reverendo. Abbia la bontà di aprirci. Siamo tutti bagnati fradici.
Poco dopo si presenta alla porta un vecchio prete, basso e grasso, con una lanterna
accesa in mano e tremante di paura.
– Ho 500 soldati, dice il Maggiore.
– Faccia aprire dai proprietari tutti i fienili perché dobbiamo passare la notte qui.
– Io non ho questa autorità, azzarda il prete.
– Ebbene avete dieci minuti di tempo, dopo entreremo senza permesso. E riguardo
all’autorità dovete ubbedire alle Forze armate Italiane. Qui l’Austria non comanda
più.
La lanterna del parroco trema ancora più forte. Lo vediamo correre da una casa all’
altra e parlottare con i paesani; qualche finestra si chiude e qualche lume si vede
brillare. Dopo poco tempo, i soldati sono tutti nei fienili che sono stati aperti di
fretta. Noi ci ripariamo nella cucina dell’albergo fatto aprire dal parroco.
Siamo bagnati come pulcini.
La vecchia padrona dell’albergo trova mille difficoltà per accenderci un po’ di fuoco.
– Questi sarebbero i fratelli che veniamo a liberare dal giogo austriaco!
Il nostro aiutante maggiore rassicura la vecchia:
– Fate pure del fuoco a questi soldati, vi sarà pagato.
Una bella fiammata e poco dopo i nostri abiti cominciano a fumare come camini…
– Brava vecchietta! Ci saluti Cecco Peppe!
Sopra un tavolo scorgo una grande tazza colma di latte appena munto e domando:
– E’ da vendere?
– No, perché non se ne trova!
– Va bene.
Ma quando la vecchietta volta l’occhio mi attacco alla tazza e la vuoto d’un fiato.
– Mia cara italiana-austriaca, piglia su! Siamo in guerra e in guerra c’è tutto un
altro concetto di proprietà!
Il tempo è proprio nemico in questi primi giorni di guerra. Piove sempre e ne viene
tanta che sembra un diluvio. Anche il cielo ci è nemico. Con questo tempo ci mettiamo
in marcia verso la montagna che ci sovrasta, senza vedere neanche una ragazza di S.
Lucia, e su per un piccolo sentiero, in fila indiana, attacchiamo il passo di Giau.
Ho lasciato la bicicletta e divento alpino sotto il peso dello zaino e delle coperte,
pesi che non ho portato mai. La fatica è tremenda, non solo per me ma per tutti,
anche per gli ufficiali che sono senza peso sulle spalle.
Nessuno di noi conosceva una montagna così impervia.
Arriviamo nelle gole del Nuvolao dove è anche accampata la compagnia degli
Alpini.
Qui tutto è sparito.
Non ci sono più né case, né campi, né strade, né alberi. Ovunque roccia e picchi
a precipizio che, al solo affacciarsi, fa rabbrividire.
Lontano si sente rombare il cannone. Questo è il preludio.
La sinfonia a piena orchestra non tarderà.
(Enrico Constantini, Dalle Dolomiti a Bligny)