Prosegue in:
Su un punto il capitano Wawn è cristallino: egli non approva i
missionari.
Ostacolano il suo lavoro.
Fanno del ‘reclutamento’, come lo chiama lui (‘caccia allo schiavo’,
come lo chiamano ‘loro’ senza mezzi termini), un problema, quando
non dovrebbe essere un picnic, una gita di piacere. I missionari hanno
la loro opinione sul modo in cui è gestita la tratta dei lavoratori, e sulle
infrazioni, da parte del reclutatore, della legge sulla tratta, nonché
sulla tratta in sé: ed è decisamente poco gentile nei confronti della
tratta e di tutto ciò che a essa è connesso, ivi compresa le legge che
dovrebbe regolarla.
Il libro del capitano Wawn è assai recente; ho a disposizione un
pamphlet ancora più recente – fresco di stampa, in verità – scritto
dal reverendo William Gray, un missionario; e il libro e il pamphlet,
presi insieme, costituiscono a mio avviso una lettura estremamente
interessante.
Interessante, e di agevole comprensione – eccezion fatta per un dettaglio,
che vado a menzionare. E’ facile comprendere perché il proprietario
di canna da zucchero del Queensland voglia la recluta kanaka:
costa poco.
Pochissimo, a dire il vero.
Ecco le cifre pagate dal proprietario: 20 sterline al reclutatore per
procurare il kanaka, o ‘catturarlo’, per usare le parole dei missionari;
3 sterline al governo del Queensland per ‘sovrintendere’ all’importazione;
5 sterline depositate presso il governo per il ritorno del kanaka a
casa quando saranno trascorsi tre anni, nel caso egli viva tanto a
lungo; circa 25 sterline al kanaka stesso, per il salario e l’abbigliamento
di tre anni; pagamento totale per tre anni d’uso di un uomo, 53 sterline;
o 60 dieta inclusa.
Tutto compreso, un centinaio di dollari l’anno.
Non è difficile comprendere perché il reclutatore sia entusiasta del
lavoro; la recluta costa un pugno di regalucci (dati ai parenti della
recluta, non alla recluta stessa), e la recluta, una volta portata nel
Queensland, frutta al reclutatore 20 sterline.
Tutto ciò è abbastanza chiaro, meno chiaro è che cosa in tutto questo
convinca la recluta. Egli è giovane e pieno di energia; la vita a casa
sua, nella sua splendida isola, è per lui una lunga, rilassata vacanza;
diversamente, se vuole lavorare, può intrecciare un paio di borse di
copra la settimana e venderle per quattro o cinque scellini l’una.
Nel Queensland deve svegliarsi all’alba e lavorare dalle otto alle
dodici nelle piantagioni di canna da zucchero – in un clima più
caldo di quello cui è abituato – e guadagna meno di quattro scellini
la settimana.
Non riesco a capire perché accetti di andare nel Queensland.
Per quanto mi riguarda, è un rompicapo.
Ecco la spiegazione, dal punto di vista del proprietario; almeno,
dal pamphlet del missionario deduco che si tratti dell’opinione
del proprietario:
‘Quando egli arriva dalla sua isola è un selvaggio, nient’altro.
Non prova vergogna per la sua nudità, né sente il bisogno di
agghindarsi. Quando torna a casa è così ben vestito, ostenta
un orologio Waterbury, colletti, polsini, stivali e gioielli.
Porta con sé uno o più bauli pieni di vestiario, uno strumento
musicale o due, nonché profumi e altri articoli di lusso che ha
imparato ad apprezzare’.
(M. Twain, Seguendo l’equatore)