UN CONDANNATO A MORTE (3)

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Gli occhi di Atget: pausa dalla camera oscura, la nausea &

pagine di storia








Era una qualsiasi carretta con un cavallo macilento e un

vetturino in camiciotto blu a disegni rossi, come quelli che

portano gli ORTOLANI intorno a Bicetre.

L’omone col tricorno è salito per primo.

– Buondì Samson! gridavano i ragazzini appesi alle cancel-

late.

Un aiutante gli è andato dietro.

– Bravo Martedì! hanno gridato di nuovo i ragazzini.

Si sono seduti entrambi sul sedile davanti.

Toccava a me.

Sono salito con passo abbastanza fermo.

– E’ in gamba! ha detto una donna che stava accanto alle

guardie (per questo forse è condannato).

L’atroce elogio mi ha rincuorato.

Il prete è venuto a mettersi vicino a me.

M’avevano fatto sedere sul sedile di dietro, con la schiena

rivolta al cavallo.

Estremo riguardo che mi ha fatto rabbrividire.

Mettono dell’umanità in quel che fanno.

Ho voluto guardarmi intorno. Guardie davanti, guardie

dietro; poi la folla, ancora folla.

Un mare di teste sulla piazza.

Un picchetto di guardie a cavallo m’aspettava sulla soglia

del cancello del palazzo.

L’ufficiale ha dato l’ordine.

La carretta col suo corteo s’è messa in movimento, ed è

stato come se l’avesse spinta innanzi l’urlo della folla.

Abbiamo varcato il cancello.

Non appena la carretta ha svoltato, verso il Pont-au-

Change, dal selciato ai tetti è esploso il fragore della

piazza, e i ponti e le banchine hanno risposto come un

terremoto.

E’ stato lì che il picchetto in attesa s’è unito alla scorta.

– Giù i cappelli! giù i cappelli! gridavano mille bocche

insieme.

Come davanti al re.

Allora a mia volta ho riso orrendamente, e ho detto al

prete:

– Loro i cappelli, e io la testa.

Andavamo al passo.

Il quai aux Fleurs profumava di fiori; oggi è giornata di

mercato.

Le venditrici hanno abbandonato per me i loro mazzetti.

Di fronte, poco prima della torre quadrata che sta all’an-

golo del palazzo, ci sono osterie con le verande piene di

spettatori, felici dei loro posti.

Soprattutto le donne.

Sarà una buona giornata per gli osti.

Noleggiavano tavoli, sedie, impalcature, carrette.

Tutto rigurgitava di spettatori.

Dei venditori di sangue umano gridavano a squarcia-

gola:

– Chi vuole dei posti?

La rabbia contro la folla m’è salita dentro.

Avrei voluto gridare:

– Chi vuole il mio?

Ma la carretta avanzava.

A ogni passo, dietro di me la folla si smembrava e

con gli occhi smarriti io la vedevo riformarsi più avanti,

nei punti in cui sarei passato.

Nell’imboccare il Pont-au-Change, per caso ho guardato

indietro alla mia destra.

I miei occhi si sono fermati sull’altro quai, sopra le case,

su una torre nera, solitaria e irta di sculture, sulla cui cima

ho visto due mostri di pietra seduti di profilo.

(Hugo, L’ultimo giorno di un condannato a morte)





un condannato a morte

UN CONDANNATO A MORTE (2)

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pagine di storia





Letta e notificata al reo la sentenza,

e l’ultima vendetta che su di lui                                       jhuyhnb.jpg 

esercita la società intera, in una

lotta tra l’altro diseguale, il

disgraziato viene condotto nella

cappella, dove la religione si

impossessa di lui come una preda

ormai certa; la giustizia divina sta

lì ad aspettare di riceverlo dalle mani

di quella terrena.

Lì trascorrono per lui delle ore mortali; deve essere una

grande consolazione credere in Dio, quando è necessario

fare a meno degli uomini quando sono gli uomini a fare

a meno di te.

In una tale momento, nondimeno, la vanità si fa strada

nel cuore ed è difficile che il colpevole, superata la prima

impressione, quando il sangue tenta di sfuggire per rifu-

giarsi nel centro della vita, non provi a simulare una se-

renità che raramente è possibile.

Questa società tirannica esige qualcosa dall’uomo anche

quando gli si nega completamente.

Per quanto sia un’incomprensibile ingiustizia, riderà della

debolezza della vittima.

Sembra che la società, esigendo coraggio e serenità al con-

dannato a morte, con le sue persistenti preoccupazioni, vo-

glia far giustizia di se stessa, stupendosi che non si disprez-

zi quanto poco essa vale e i suoi poveri difetti.

In momenti così critici, tuttavia, è difficile che qualcuno

smentisca la sua vita intera e la propria educazione; cia-

scuno obbedisce alle proprie preoccupazioni perfino nel

momento in cui sta per spogliarsene per sempre.

L’uomo abietto, privo di educazione, senza principi, sem-

pre sottomesso ciecamente al suo istinto, alla sua necessi-

tà, che ha rubato e ucciso meccanicamente, muore mec-

canicamente.

Nei suoi primi anni aveva sentito un’eco sorda della reli-

gione, che ora, senza che lo comprenda, risuana al suo o-

recchio nella cappella, e passa automaticamente sulle sue

labbra.

Privo di quello che nel mondo si chiama onore, non fa al-

cuno sforzo per dissimulare il suo terrore, e muore morto.

L’uomo veramente religioso rivolge sinceramente il suo

cuore a Dio, e costui è il meno infelice di quanti lo sono

per l’ultima volta.

L’uomo educato a metà, resosi sordo alla voce del dovere

e della religione, ma nel quale questi germi sono presenti,

ritorna dalla continua affettazione superficiale in cui era

vissuto, e allora dubita e trema.

Quelli che il mondo chiama miscredenti e atei, quelli che

si sono formati in una religione accomodaticcia, o quelli

che vi hanno rinunciato per sempre, probabilmente non

vedono nulla quando lasciano il mondo.

L’entusiamo politico, infine, quasi sempre fa coraggio,

e le morti più serene si sono viste in quei condannati in

cui un ideale è la preoccupazione dominante.

Giunta l’ora fatale, tutti i prigionieri del carcere com-

pagni di ventura del condannato e forse suoi successori,

intonano un Salve Regina dal ritmo monotono, e che

contrasta singolarmente con le canzoni sconce e le strofe

popolari, immorali e irreligiose, che un momento prima

formavano con le preghiere, il rumore dei cortili e delle

celle dello spaventoso edificio.

Colui che oggi canta Salve Regina la sentirà cantare

domani.

Subito la confraternita comunemente detta della Pace

e Carità accoglie il condannato, il quale, vestito di una

tunica e di un berretto giallo, viene trasferito con le ma-

ni e i piedi legati su di un animale, quello che viene con-

siderato il più vile perché è il più paziente e utile, e così

comincia la marcia funebre.

Un popolo intero ostruisce ormai le strade di transito.

Le finestre e i balconi sono contornati da innumerevoli

spettatori, che si spingono, si accalcano e si raggruppano

per divorare con la vista l’ultimo dolore dell’uomo.

– Cosa aspetta quella folla? – direbbe uno straniero che

ignorasse i costumi.

– Sta per passare un re, quell’essere coronato che è un

tale spettacolo per il popolo? 

E’ un giorno solenne?

E’ una festività pubblica?

Che fanno in ozio questi artigiani?

Di cosa è curiosa questa nazione?

Niente di tutto ciò. 

Questo popolo di uomini, molti ubriachi, sta per vedere

morire un uomo.

– Dove va?

– Chi è?

– Poveretto!

– Se l’è ben meritato.

– Ah, è già quasi morto.

– E’ sereno?

– Che integrità! 

( …ma il destino e la morte spesso decidono altre sentenze,

…rispetto quelle di un popolo che aspetta…..)

(Mariano José De Larra, Un condannato a morte)

  ….sito consigliato…..

www.cervantesvirtual.com


  

                                            

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UN CONDANNATO A MORTE

L’arte di Ponzio & Pilato in:

ponzio-pilato.html

Cieli di primavera in:

stelle-di-primavera.html

paginedistoria.myblog.it

 

Fui afferrato tra i clamori.                                                                  uikjmnjh.jpg

Lo trascinarono sulle pietre tra i

cipressi e gli olivi, lo fecero scendere

nella valle del Cedron, entrarono a

Gerusalemme e arrivarono al palazzo

di Caifa.

Là s’era riunito il sinedrio e aspettava

il ribelle per giudicarlo.

Faceva freddo, i servi avevano acceso dei

fuochi nel cortile e si scaldavano.

A intervalli regolari dei Leviti uscivano dal palazzo portando novità.

Quello di cui l’accusavano i testimoni faceva rizzare i capelli sulla testa, le

bestemmie che il maledetto aveva pronunciato contro il Dio d’Israele, contro

la Legge d’Israele, contro il Santo Tempio, le minacce di distruggerlo e di versare

sale sulle rovine.

– Il sommo sacerdote si straccia le vesti.

Il criminale ha detto: “Io sono Gesù, il figlio di Dio!”

Tutti gli anziani sono balzati in piedi e si laceravano le vesti gridando: “A MORTE!

A MORTE!”

LA FOLLA passava a ondate.

In testa i cavalieri romani, dietro Gesù con la croce; grondava sangue e i vestiti pendevano

a brandelli. Non aveva più la forza di camminare; inciampava continuamente era sul punto

di cadere, e continuamente lo rimettevano in piedi a calci, e avanzava.

Dietro di lui correvano gli zoppi, i ciechi, gli storpi, furiosi perché non li aveva guariti, e

l’insultavano e lo colpivano con le stampelle, con i bastoni.

Lui si guardava incessantemente attorno; non avrebbe visto nessuno dei suoi compagni?

Che cosa ne era dei suoi diletti?

Davanti alla taverna si girò, vide il taverniere che gli faceva un cenno con la mano.

Il suo cuore si riempì di gioia, avrebbe voluto muovere la testa per dirgli grazie ma

inciampò in una pietra e cadde a terra con la croce sulla schiena.

Lanciò un grido di dolore.

Il Cireneo si slanciò, sollevò Gesù, prese la croce, se la mise sulle spalle, si girò e gli

sorrise.

– Coraggio, gli disse, ci sono io, non avere paura.

Uscirono per la porta di Davide, attaccarono la salita.

Presto raggiunsero la sommità del Golgota: non c’erano che pietre, spini e ossa.

Vi si crocifiggevano i ribelli, vi si lasciavano i corpi dei crocifissi e gli uccelli da preda li

divoravano: l’aria era impestata dal puzzo di carogna.

Il Cireneo scaricò la croce dalle spalle.

Due soldati si misero a scavare per piantarla tra le pietre.

Gesù s’era seduto su un sasso e aspettava.

Il sole splendeva altissimo in cielo bianco torrido e fermo.

Non una fiamma, non un angelo, non il minimo segno per dire che lassù qualcuno guarda

quello che avviene sulla terra….

E mentre era seduto e aspettava, sbriciolando un piccolo grumo di terra, tra le dita, Gesù

sentì che qualcuno era sopra di lui e lo guardava.

Tranquillamente, senza fretta, alzò la testa, la vide, la riconobbe.

Due soldati afferrarono Gesù per le spalle.

– In piedi, Maestà! gli gridarono.

– Sali sul tuo trono!

Spogliarono quel corpo smunto, che si rivelò tutto coperto di sangue.

Il caldo era torrido.

La folla, stanca di sgolarsi, guardava in silenzio.

– Dagli da bere del vino, perché si faccia coraggio, disse un soldato.

Ma Gesù respinse la coppa e stese le braccia verso la croce.

– Padre, mormorò, sia fatta la tua volontà.

– Bugiardo! Scellerato! Sfruttatore del popolo! urlavano ora i ciechi, i lebbrosi, gli storpi.

– Dov’è il regno dei cieli? Dove sono i forni pieni di pane? urlavano i pezzenti lanciandogli

contro pietre e sassi.

Gesù aprì le braccia.

Avrebbe voluto gridare: ” Fratelli”, ma i soldati lo afferrarono e lo issarano sulla croce.

Chiamarono perché fosse inchiodato.

Quando si levarono i martelli e si sentì il primo colpo, il sole nascose il suo viso.

Al secondo colpo di martello il cielo si scurì e apparvero le stelle. Non erano stelle, erano

grosse lacrime che cadevano goccia a goccia sulla terra.

Il timore si impadronì del popolo.

I cavalli su cui montavano i Romani si imbazzarirono, si impennarono e cominciarono

a galoppare, scatenati, e a scalciare. D’un tratto cielo e terra e aria si fecero muti, come

quando si prepara un terremoto.

Simone il Cireneo si gettò ventre a terra sulle pietre, la terra aveva tremato spesso sotto

i suoi piedi, aveva paura.

– Oh, mormorò, adesso la terra si apre e ci ingoia.

Alzò la testa, si guardò attorno. Sembrava che il mondo fosse svanito, e brillasse, pallido

e nebbioso nelle tenebre azzurrine.

Le teste della folla erano sparite e solo i loro occhi, come buchi neri, attraversavano l’aria.

Un fitto stormo di corvi, che attirati dal sangue si erano installati sul Golgota, si allontanò,

spaventato.

Un flebile rantolo, lamentoso, scendeva dalla croce; il Cireneo si fece coraggio, alzò gli

occhi guardò.

Subito levò un grido.

Non erano uomini quelli che inchiodavano il crocifisso; una folla di angeli biondi e belli

era scesa dal cielo, con martelli e chiodi, e volavano attorno a Gesù, colpivano con gran

forza, festosi, e inchiodavano mani e piedi; altri legavano saldamente il corpo del crocifisso

con grosse corde perché non cadesse, e un angioletto con le guance rosate e i riccioli biondi

teneva una lancia e trafiggeva il cuore di Gesù.

– Che cos’è questo? mormorò il Cireneo tremando.

– Dio stesso, è Dio stesso che lo crocifigge!

Allora Simone di Cirene capì e provò la più grande paura, il più grande dolore della sua

vita!

(Nikos Kazantzakis, L’ultima tentazione)

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