GNOSI PAGANA

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Gnosi Pagana (2)

Gnosi Pagana (3/63)

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Gnosi

Pagana

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i miei libri 

 

gnosi pagana

 

 

 

 

 

Come il saggio, anche lo gnostico crede che tutto sia 

retto da una Fatalità inflessibile alle dipendenze de-

gli astri eterni.

Ma dove il saggio coglie un ordine in cui le singole

dissonanze si fondono nell’armonia del Tutto, lo gno-

stico vede un disordine radicale, assoluto.

Il mondo, ivi compresi gli astri, è tutto cattivo, è la 

pienezza, il pleroma del male. Il contrasto è molto 

suggestivo: mette in piena luce due diversi tipi di a-

nime. 

Per quanto la scienza pura sia in declino sin dall’Ac-

cademia e dal Liceo, il saggio resta un sapiente, vale

a dire che apprezza soprattutto la considerazione del-

le leggi dell’immutabile. 

Pertanto, la pietà del saggio ha attinenza con l’univer-

sale. Non s’interessa alla sorte dell’individuo in quan-

to tale, ma a quello dell’insieme.

L’individuo cambia e muore per fare posto ad altri in-

dividui: soltanto il mondo dura, senza mutamenti, sem-

pre.

Lo gnostico non si preoccupa del mondo: la sua unica

preoccupazione è la sorte dell’individuo e innanzi tutto

della propria persona. La scienza disinteressata gli sem-

bra futile, ne proclama la vanità.

Nulla conta al di fuori della salvezza dell’anima, della

propria anima. Pertanto, la sua religione è personale, il

suo Dio è una persona.

Unirsi eternamente a tale persona dopo la morte è la mè-

ta. Poiché invece quaggiù l’individuo soffre tutto è catti-

vo. 

Lo gnostico non si domanda, come invece fa il saggio, se

tale disordine parziale non trovi la sua ragion d’essere in

un ordine totale, che egli non scorge: per lui, poiché l’uo-

mo è infelice e cattivo, il male è ovunque; questo male è

veramente cosmico, appartiene all’esistenza e all’essen-

za del mondo, giacché sono gli astri stessi che impongo-

no all’anima umana la decadenza e i vizi.

In breve, il saggio che tiene presente il Tutto è volonta-

riamente ottimista, lo gnostico che prende in considera-

zione soltanto la condizione degli uomini e in primo 

luogo la propria, è per natura pessimista.

Se il mondo è cattivo, e se gli astri e il cielo stellato so-

no davvero le cause originarie di questo male universa-

le, per trovare Dio bisogna andare al di là del cielo, al

di sopra di esso…

(Prosegue….)

 

  

 

 

gnosi pagana

INFINITO E ZERO UGUAL PENSIERO DI DIO

‘Quando dal Nulla

tutto fu fatto e senza di Lui

il Nulla fu creato’. 


 

infinito e zero

 

 

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Fuori e dentro il suo grande Universo &

Un Pagano risponde ad un Cristiano

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Un Pagano risponde ad un Cristiano &

Un Eretico risponde ad un Papa

Da:

Frammenti in rima

 






 

Con le sue truppe persiane, Alessandro il Grande aveva

marciato nel IV secolo a.C. da Babilonia fino in India, e fu

grazie all’invasione macedone che i matematici indiani

vennero a conoscenza del sistema di numerazione sume-

rico….e dello zero.

 

infinito e zero


Alla morte del condottiero, nel 323 a.C., le contese tra i suoi

generali ne spezzettarono l’impero; Roma affermò la propria

egemonia a partire dal II secolo a.C. e inghiottì la Grecia, ma

la sua potenza non arrivò fino in India.

Come conseguenza, quella terra lontana non venne interessa-

ta né all’ascesa del cristianesimo né dalla caduta dell’Impero

romano nei secoli IV e V d.C. 

 

infinito e zero


L’India non fu parimenti esposta all’influenza aristotelica.

Nonostante che Alessandro fosse stato allievo dello Stagirita e

che certamente ne introducesse le idee in quel Paese, pure la

filosofia ellenica non vi attecchì: a differenza della Grecia, l’In-

dia non vide mai con timore l’infinito e il vuoto, e, anzi, ne fece

propri i concetti.

Il vuoto occupava un posto importante nella religione Indù.

L’Induismo era da principio un credo politeistico fondato su

un ciclo leggendario di battaglie e divinità guerriere, simile 

per molti aspetti, alla mitologia ellenica, e i cui dèi nel corso

del tempo – e secoli prima dell’arrivo dei Macedoni – aveva-

no iniziato a sfumare l’uno nell’altro.

 

infinito e zero


Benché i riti tradizionali e il culto del pantheon originale

venissero conservati, esso acquisì la sostanza di religione

monoteistica e introspettiva, e i molteplici numi divennero

manifestazioni di un onnicomprensivo unico dio, Brhama.

Più o meno nel periodo dell’affermarsi a ovest della civiltà

ellenica, l’induismo perdeva i caratteri di similitudine con i

miti occidentali, le distinzioni tra le singole divinità si face-

vano incerte, mentre le connotazioni mistiche si accentuava-

no sempre più.

Il misticismo era un manifesto prodotto dall’ Oriente.

(C. Seife, Zero)




 

 

infinito e zero

 

IL MERCANTE DI ARMATURE…. (finché c’è guerra c’è speranza) (5)

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il mercante di armature (4) 

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la cena segreta &

Dialoghi con Pietro Autier 2:

Da Norimberga a Venezia &

Il giudice dei divorzi

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da Norimberga 

a Venezia

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Un articolo:

armi italiane nell’arsenale di Assad….

armi: all’Italia primato europeo della crescita dell’export……

Una vecchia ballata…..

Carlo Martello….

Da:

Frammenti in rima




il mercante di armature: 1488 da milano a mont-saint-michel

 

 








Il castello di Blois su un costone dirupato a dominio della città,

era ben diverso da quello attuale, che è uno dei luoghi classici

della Renaissance.


france2007- 054 - Castello di Blois.jpg


Già Carlo d’Orleans, il poeta, l’aveva tuttavia illegiadrito e vi aveva

tenuto corte, dopo il ritorno dai venticinque anni di prigionia e fino

alla morte (1465), fra eleganti dame, letterati col vizio dell’allegoria

e contese poetiche. A una giostra di poesia aveva preso parte Fran-

cois Villon e aveva vinto (1457) con la ballata ‘Je meurs de soif auprès

de la fontaine’.


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Oltre che in quello del titolo, c’erano altri conturbanti aforismi, giochi

d’intelligenza in cui l’accorato sconforto d’amore sprizza dall’accosta-

mento di contradditori concetti, nei versi del celebre componimento

poetico, ‘Je ris en pleurs et attends sans espoir’ e ‘Rien ne m’est sur que la

chose incertaine’.


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Il principe Carlo, due volte vedovo, a cinquant’anni si era sposato con

una quattordicenne e a settantuno aveva avuto un figlio, il ribelle che

sarà battuto nella guerra a cui i milanesi correvano per vendere arma-

ture, il prossimo re Luigi XII.

Francois Villon, invece, sulle rive della Loira era poi finito per un pe-

riodo in prigione, a Meung-sur-Loire nel castello del vescovo di Or-

léans.


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Il castello di Amboise aveva in comune solo la sua posizione sopra

tetti del borgo con la fastosa residenza reale che faranno costruire

Carlo VIII di ritorno dall’Italia, Luigi XII e Francesco I, che sulla ter-

razza faceva combattere cinghiali, mastini e leoni.

Carlo VIII vi morirà per aver battuto la testa in una delle gallerie

che stava facendo costruire. Suo padre, Luigi XI, ci aveva sistemato

la moglie a cui fu fedele, almeno a partire da un certo anno, ma che

visitava di rado. Carlo VIII era nato e cresciuto ad Amboise, vi era

diventato re bambino, sotto la reggenza della sorella Anna di Beau-

jeu e qui era stato fidanzato a Margherita d’Austria, che però non

sposerà mai; alla cerimonia che si era svolta in gran pompa lui ave-

va tredici anni, la promessa tre.


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Nella chiesa di Saint-Denis facevano vedere una gabbia di legno in

cui rinchiudevano i pazzi: in undici giorni ritornavano sani.

Ancora ad Amboise era già stato costruito il Clos-Lucé, la garbata

dimora gotica in cui vivrà gli ultimi anni Leonardo.

Il cardinale d’Aragona che visiterà in casa il vecchio artista, due

anni prima della fine, vi vedrà tra gli altri quadri ‘tucti perfectissi-

mi’, il ritratto di ‘certa donna firentina, facta di naturale’; è la Gio-

conda.


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A Tours affacciata alla Loira e vicina alla Cher, si lavoravano i

drappi di seta intessuti d’oro. Oltre alla non finita cattedrale di

Saint-Gatien dalle meravigliose vetrate, si vedeva ancora in piedi

la basilica di Saint-Martin, poi saccheggiata dagli ugonotti e lasci-

ata in abbandono fino al crollo delle volte durante la rivoluzione.

Conteneva la tomba di Martino di Tours, il legionario che divise

il mantello col povero e che poi fu vescovo di Gallia.

Più a valle si passava da Langeais.

Luigi XI aveva fatto costruire il castello, proprio in questo castello

Carlo VIII (1491) sposerà Anna di Bretagna, la signora del prezioso

ducato, la cui potenza era stata umiliata nella battaglia di Saint-Au-

bin-du-Cormier.

Probabilmente i mercanti di armature saranno sbarcati alla confluen-

za della Maine, per recarsi alla vicina Angers e poi avviarsi verso la

Bretagna seguendo la valle della Mayenne, in cui il fiume scorre tra

pendii ripidi coperti di castagni e ginestre.


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Nell’Angers che si lasciavano alle spalle, il castello rinnovato da san

Luigi, tutto a bande di ardesia e di pietra bianche, aveva le diciasset-

te torri che ancora finivano con merli, caditoie a cono.

I mercanti di armature si spinsero fino al Mont-Saint-Michel.


Francia-MontSaintMichel_20070910_107.jpg


Forse si unirono ai pellegrini che rischiavano di finire annegati nel

traversare la baia fino allo scoglio roccioso per venerare il santo, e

compravano come ricordo ampolle di piombo da riempire della sab-

bia della riva.

Anche i mercanti d’armi credevano negli arcangeli.

(L. Camusso, Guida ai Viaggi nell’Europa del 1492)






 

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IL MERCANTE DI ARMATURE…. (finché c’è guerra c’è speranza) (4)

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il mercante di armature (3)

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il mercante di armature (5)

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Un articolo:

armi: all’Ialia primato europeo della crescita dell’export….  

 



il mercante di armature: 1488 da milano a mont-saint-michel (4)








La Loira è il più lungo fiume di Francia (1020 Km).

Scende dal Massiccio Centrale scorrendo sinuosamente verso setten-

trione; molto a valle di Roanne, a Nevers, riceve il suo principale af-

fluente, l’Allier; poi per oltre 500 chilometri, bagnando Berry, Orle-

anese e Angiò, descrive un grande arco verso occidente, con l’apice

settentrionale a Orleans, per allargarsi infine nell’estuario sull’Atlan-

tico.


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Il tratto da Gien ad Aners e le plaghe ai due lati del fiume, il ‘paese della

Loira’, che Rabelais amerà è considerato il giardino di Francia, quanto di

più francese si possa immaginare. Probabilmente si pensava già così

quando i mercanti di Milano scendevano il fiume: vigneti al bordo del-

le colline, pioppi e salici nella larga valle dell’Orleanese, scorrere lento

di acque azzurre tra banchi di sabbia dorata nella luce della Turenna.

Era il paesaggio amato dai re, che in quest’epoca soggiornano sulla

Loira: Carlo VII a Chinon, Luigi XI a Plessis-les-Tours, Carlo VIII ad

Amboise.


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Re e principi che prediligevano i cani e la caccia, la falconeria e gli uc-

celli esotici, che tenevano scimmie e leoni nei fossati dei castelli, pap-

pagalli in camera da letto; rinnovavano col meglio del garbo gotico ar-

cigne dimore, cominciavano a impiantare piacevoli giardini con pergo-

le, fresche fontane e tappeti fioriti, anche prima che il religioso napole-

tano don Pacello di Mercogliano, portato da Carlo VIII dal suo nuovo

regno mediterraneo, sistemasse ‘all’italiana’ i giardini di Amboise e

Blois.

Le aiuole fitte di fiori, che allietavano il duca Jean de Berry e il re Rena-

to d’Angiò, passano negli sfondi turchini o rosa degli arazzi delle ma-

nifatture della Loira denominati ‘mille-fleurs’, nei quali le idilliche sce-

ne di vita cortigianesca o pastorale si svolgono contro un tappeto di fio-

ri frammischiati a scoiattoli, pavoni, pernici e leprotti.

Per recuperare l’immagine del ‘giardino di Francia’ nell’ultimo scorcio

del XV secolo, occorre ricordare che la ‘Renaissance’ non era ancora co-

minciata. La regione della Loira era piena di castelli, ma i più celebri

dei ‘castelli della Loira’ – espressione in cui la parola castello ha un’ec-

 

il mercante di armature: 1488 da milano a mont-saint-michel (4)


cezione particolarissima – non esistevano: Chenonceaux di Diana di

Poiters, che è sulla Cher e si allunga tra le due rive del fiume, non era 

stato ancora cominciato; Azay-le-Rideau si chiamava Azay-le-Brulé,

poiché il delfino che era passato di lì, nel 1418, era stato insultato dal-

la guarnigione e allora aveva assaltato il luogo, fatto giustiziare il ca-

pitano e i suoi 350.000 uomini, bruciato il villaggio; nella foresta a

qualche miglio da Blois, dove Francesco I farà costruire l’immagino-

so castello di Chambord, dalle candide pareti e la fantasmagorica ter-

razza con gli infiniti pinnacoli, comignoli e frecce intorno alla lanter-

na, c’era solo una rocchetta per le cacce del signore di Blois.

C’era il pericolo dei banchi di sabbia e delle piene, il disturbo delle

derivazioni per le ruote ad acqua e dei pedaggi, tuttavia la naviga-

zione sulla Loira era ben organizzata e veloce; si andava in sei gior-

ni da Orléans a Nantes e ne potevano bastare da 15 a 20, con po’ di

fortuna per tornare controcorrente, i venti regolari dall’Atlantico sof-

fiavano nelle vele e nelle pale dei mulini sulle creste delle colline.

Dal 300 una Communauté des marchands, con sede a Orléans, prov-

vedeva a certe necessarie manutenzioni lungo la via d’acqua e perce-

piva un obolo, che si doveva deporre in cassette speciali lungo le ri-

ve del fiume.

I marinai fumaroli erano tipi robusti, eccessivi nei modi, turbolenti

nelle osterie.

(Lorenzo Camusso, Guida ai Viaggi nell’Europa del 1492)







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IL MERCANTE DI ARMATURE…. (finché c’è guerra c’è speranza) (3)


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il mercante di armature (2)

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il mercante di armature (4)

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il mercante di armature: 1488 da milano a mont-saint-michel (3)










Con i loro carichi di corazze, gorgere, cosciali, elmi e altre parti di

armature da combattimento, più sobrie e rustiche di quelle da tor-

neo, ma non meno ‘meccanicamente’ ingegnose, i mercanti armatori

milanesi poterono farsi alare in barca lungo l’alzaia del Naviglio

Grande fino al Ticino, per poi prendere la strada di Torino.

Qui era il capoluogo delle terre piemontesi del ducato di Savoia,

che non avevano ancora definitivamente orientato i loro destini ver-

so l’Italia, anche se già uno di loro aveva tentato di prendere Milano.

In realtà si barcamenavano a tener insieme i loro compositi domini,

cosa resa difficile dai troppi figli: Ludovico, il padre di Bona già reg-

gente di Milano per il figlio minorenne Gian Galeazzo, ne aveva avu-

ti diciotto dalla moglie Anna di Lusignano.

Il re di Francia tendeva a considerare i Savoia come i suoi vassalli; di

recente lo stato era stato retto da Iolanda, la sorella del re di Francia

Luigi XI, quale moglie, e poi vedova, dell’epilettico Amedeo IX, che

si guadagnò la beatificazione per la sua carità.

Ora era duca un figlio di Iolanda, Carlo I detto il Guerriero, e la Fran-

cia aveva stroncato certe sue velleità di espansione.

 

il mercante di armature: 1488 da milano a mont-saint-michel (3)


Di là dalle rosse mura di mattoni, Torino vedeva le verdi colline che

scendevano al Po e, all’orizzonte, le montagne apparivano vicine. La

città era piccolissima; salvo alcuni borghi lungo le strade foranee, sta-

va racchiusa nel rettengolo delle 72 insulae della colonia romana.

Le mura antiche erano state ripristinate e continuavano a servire alla

difesa.

Il castello degli Acaia era stato costruito sul sito della porta decumana,

al lato nordorientale della città; al principio del secolo si erano aggiun-

te le due torri poligonali, che ancor si vedono nella facciata posteriore

di Palazzo Madama. La città non aveva nulla della pacata atmosfera

barocca che ancora la contraddistingue, ma nella via Dora Grossa che

era la strada commerciale, case a tre piani si allineavano ordinate, già

con le arcate di portici in facciata. 

Le Alpi si traversavano al Moncenisio, il valico più comodo tra il Pie-

monte e la capitale del ducato di Savoia. Ci si arriva seguendo a ritro-

so il corso della Dora Riparia, lungo la valle di Susa, vigilata all’im-

bocco, la Chiusa, dalla Sagra di San Michele, un’abbazia che fa corpo

con un cocuzzolo di monte.

Sul percorso, nel borgo di Avigliana prima dell’inizio della valle, alla

Sagra e infine a Susa, è facile rievocare, nel paesaggio e nelle architet-

ture sensazioni antiche. Il tardo gotico piemontese e i primi beluginii

di forme rinascimentali si esprimono nel bel cotto color sangue.

A Susa il borgo dei Nobili, fuori città dalla cinta romana, era nato per-

ché non trovava alloggio nella cittadina la corte dei conti sabaudi quan-

do aveva posto qui una delle sue sedi.


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Prima di affrontare la salita al valico si faceva tappa a Novalese, dove

si tenevano i muli di carico. Novalese è il nome di un’abbazia antica, e

allora potente, che sorge poco discosto.

Subito di là del valico del Moncenisio, m 2084, il grumo di case si chi-

ama la Ramasse; ricorda la slitta di ramaglie con cui i giovani monta-

nari facevano scivolare a valle i viaggiatori, risparmiando loro fatica,

forse a prezzo di accresciuti rischi.

Dal passo si scende in Savoia nel folto di abetaie.

Di fronte biancheggiano i ghiacciai della Vanoise. La valle dell’Arc, la

Maurienne, è come una ferita nella montagna, selvaggia e grandiosa;

dal basso, fra enormi pendii di boschi devastati dai torrenti, nemmeno

si indovinavano le sovrastanti nevi.

Vicino a dove l’Arc arriva nell’Isère, si alza su una roccia il formidabile

castello di Miolans. Poco oltre è Chambéry, la capitale sabauda, nell’-

ampia sella tra l’Isére e il lago del Bourget. Un dedalo di strette viuzze

assediava il castello, che era stato ingrandito e reso se non meno arci-

gno almeno più comodo pochi decenni prima.

Nel 1452 era pervenuta ai Savoia, al termine di una catena di eredità e

donazioni, la Sindone, il sudario di Cristo, ma al momento del viaggio

degli armorari di Milano non era ancora ultimata la Sainte Chapelle, al

suo trasferimento a Torino.

(Lorenzo Camusso, Guida ai Viaggi nell’Europa del 1492)





 

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IL MERCANTE DI ARMATURE…. (finché c’è guerra c’è speranza) (2)


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il mercante di armature

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il mercante di armature (3)

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il mercante di armature: 1488 da milano a mont-saint-michel



 







Milano era forse la città più ricca d’Italia, il paese più ricco d’Euro-

pa.

C’era l’agricoltura della grassa campagna irrigua; una dinamica ma-

nifattura che esportava oltralpe, fino in Catalogna e Castiglia e che

ora comprendeva anche la seta, le terre a settentrione essendo pun-

teggiate di gelsi.

“Non ad altro si attendeva”, scrive un cronista, “che ad accumulare

ricchezze, per le quali era aperta ogni via”.

Nei terreni di sua proprietà, lungo la cerchia dei Navigli, dietro

San Nazaro in Brolo, Francesco Sforza aveva fatto costruire al Fila-

rete (1456) il grande Ospedale Maggiore, un”opera sociale’ in cui il

cotto della tradizione lombarda decorava spazi di respiro rinasci-

mentale.

In questi anni di Ludovico il Moro, dal 1480 alla fine del secolo, nel

castello di Porta Giovia, in cui erano continuamente in corso lavori

di trasformazione, la vita di corte era sontuosa e colta. Dotti e artisti

trovavano a Milano ospitalità e fortuna; attorno agli Sforza, i molti

fili della cultura italiana del tempo sembrano intrecciarsi e in certa

misura fondersi.

Oltre tutto risiedevano a Milano e operavano al servizio sforzesco

due geni artistici.


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Leonardo, che possedeva una vigna suburbana tra le Grazie e San

Vittore al Corpo, un regalo del Moro, aveva cominciato col presen-

tare al duca una lira che ‘aveva fabbricato d’argento gran parte in

forma d’un teschio di cavallo, cosa bizzarra e nuova’.

Farà di tutto: alcuni dei suoi capolavori, consulenze ingegneristiche,

opere idrauliche, il ritratto dell’amante del duca Cecilia Gallerani, la

regia di feste come quella delle nozze di Gian Galeazzo con Isabella

d’Aragona.


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Meditava, studiava, scriveva, fantasticava, forse vedeva veramente

nelle macchie dei muri ‘similitudini di diversi paesi, ornato di mon-

tagne, fiumi, sassi, alberi, pianure, grandi valli e colli….strane arie di

volti, e abiti e infinite cose…’.

(L. Camusso, Guida ai viaggi nell’Europa del 1492)







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IL MERCANTE DI ARMATURE…. (finché c’è guerra c’è speranza)


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1446 da Firenze a Bruges (la strada della banca 7)

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il mercante di armature (2)

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il mercante di armature: 1488 da milano a mont-saint-michel




 


il mercante di armature: 1488 da milano a mont-saint-michel

 









Nelle botteghe delle strade dietro il Broletto verso San Satiro,

a Milano, dove tecnici esperti modellavano gli ACCIAI delle

armature, la cosa era ovviamente nota e appariva normale.

Mercanti erano in viaggio su molte vie con le loro mercanzie,

in carovane di muli, coi carri, utilizzando barche sui fiumi; non

se avevano molte notizie dopo la partenza, i familiari attende-

vano il ritorno confidando in Dio.


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Il prezzo cresce insieme alla domanda e la domanda delle armi

con la guerra; portare il prodotto là dove serve per il mercante

d’armi comporta dei rischi.

E’ il mestiere.

Ma, balzando dai documenti, la notizia dei mercanti milanesi che

girano fra le tende dell’esercito offrendo le ben temperate corazze,

la vigilia della battaglia di Saint-Aubin-du-Cormier, nella campa-

gna di Bretagna del 1488, incuriosisce, sorprende, fa scattare sug-

gestive immagini, come sempre avviene quando la quotidianità

sommessa interseca il clangore della storia maggiore.


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Saint-Aubin-du-Cormier è un sito della campagna bretone, vicino

al confine del ducato del regno di Francia. Un formidabile castello,

oggi solo rovine, sorgeva tra uno stagno e un profondo burrone.

Lo scoglio roccioso di Mont-Sant-Michel, tra le mutevoli e le veloci

onde di marea, è a meno di una cinquantina di chilometri di distan-

za, ma in Normandia.

Attorno a Saint-Aubin-du-Cormier si combatté aspramente nella

giornata del 27 luglio 1488. Da un lato c’erano gli uomini del re di

Francia, comandati dal men che trentenne Louis la Tramoille, il fu-

turo ‘chavalier sans reproche’ di tutte le guerre d’Italia, che morirà

nella disastrosa mischia di Pavia; dall’altro le genti d’arme del du-

ca di Bretagna e di altri grandi signori ribelli che si erano uniti nel-

la ‘guerra folle’.


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La vittoria del giovane generale lealista ebbe conseguenze politiche

di varia entità; il brillante periodo di sostanziale indipendenza della

Bretagna dei duchi di Montfort, che al re di Francia prestavano solo il

formale omaggio feudale, si avviò velocemente al termine un futuro

re di Francia, il duca di Orléans, fatto prigioniero sul campo, cominciò

un triennio di reclusione, principesca ma stretta; un trattato impose che

la dodicenne figlia del duca di Bretagna, Anna, la più appetita eredi-

tiera di Francia, non avrebbe potuto sposare senza il consenso del re

e questo pose le premesse per il suo matrimonio con lo stesso monar-

ca di lì a tre anni; l’intelligente storico Philippe de Commynes, fine di-

plomatico ed esperto navigatore politico finì rinchiuso per cinque me-

si in una gabbia di ferro.


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Nella lontana Milano, da dove gli ‘armieri’ ambulanti avevano comin-

ciato il loro viaggio verso il cuore della Francia, era signore un figlio

di Francesco Sforza, Ludovico Maria detto il Moro, un personaggio che

era stato educato alla cultura umanista da Francesco Filelfo e che per

quattro o cinque anni si era fatto strada verso il potere che non gli sa-

rebbe spettato, a forza di astuzia, dissimulazione, prepotenza e intrigo.

La città aveva le vie centrali selciate, l’ambizioso duomo gotico in co-

struzione dal 1386 e un sistema di ‘navigli’ nel quale erano stati utili-

sticamente coordinati corsi d’acqua naturali e canali quali il Naviglio

Grande, derivato dal Ticino, il Naviglio Pavese, che restituiva le ac-

que allo stesso fiume, la Martesana derivata dall’Adda e cominciata

a scavare nel 1457.

Collegata all’anello di acque che racchiudeva il centro urbano, tale

rete, via via perfezionata, era stata navigabile; le acque a vario livel-

lo erano delle ‘conche’ costruite a partire dalla metà del 400.

(L. Camusso, Guida ai Viaggi nell’Europa del 1492)






 

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IL MATRIMONIO DEL CIELO E DELL’INFERNO

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Pagine di storia:

Dall’altare alla polvere &

Dialoghi con Pietro Autier 2:

I ‘passi’ dei pellegrini

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I ‘passi’ dei pellegrini &

I diavoli della montagna

Da:

Frammenti in rima


 

il matrimonio del cielo e dell'inferno

 







MEMORABILE APPARIZIONE



Mentre camminavo tra i fuochi dell’inferno, e mi

deliziavano i rapimenti del Genio, che agli Angeli

sembrano tormento e pazzia, raccolsi alcuni dei

loro proverbi, pensando che, simili ai modi di dire

di una nazione nel designarne il carattere, i Proverbi

dell’Inferno mostreranno la natura della sapienza

Infernale meglio di qualsiasi descrizione di palazzi o

di abbigliamenti.

Quando tornai a casa, sull’abbisso dei cinque sensi, 

là dove una scarpata liscia di fianchi con lo sguardo

corrucciato incombe sul mondo presente, vidi, avvolto 

in nubi nere, un poderoso Diavolo ai lati volteggiare

della roccia: con fiamme corrosive egli scrisse questa

frase che ora le menti degli uomini percepiscono, e

leggono in terra: ” Non vuoi capire che ogni Uccello che

fende le vie dell’aria è un universo di delizie, chiuso

dai tuoi cinque sensi?”.



PROVERBI INFERNALI



Nel tempo della semina impara, in quello del

raccolto insegna, d’inverno spassatela.

Guida il carro e l’aratro sopra l’ossa dei morti.

La strada dell’eccesso porta al palazzo della

saggezza.

La Prudenza è una ricca e brutta vecchia zitella

corteggiata dall’Impotenza.

Chi desidera ma non agisce, alleva pestilenza.

Il verme tagliato perdona l’aratro.

Se gli piace l’acqua, buttatelo nel fiume.

Lo stolto non vede un albero allo stesso modo del

saggio.

Chi ha un volto senza un raggio di luce, non

diventerà mai stella.

L’Eternità è innamorata delle opere del tempo.

L’ape affaccendata non ha tempo per dolersi.

Le ore della pazzia sono misurate dall’orologio;

ma quelle della saggezza, nessun orologio può

misurarle.

Per l’unico cibo sano non valgono reti né trappole.

Conti, peso e misura, lasciali all’anno di carestia.

Nessun uccello sale troppo in alto, se sale con le 

sue ali.

Un cadavere non si vendica se l’insulti. 

E’ il gesto più sublime anteporre un altro a sé.

Se il matto persistesse nella sua follia, andrebbe

incontro alla saggezza.

Pazzia è il travestimento della malizia.

Vergogna è la maschera dell’Orgoglio.

Con le pietre della Legge hanno alzato Prigioni;

coi mattoni della Religione, Bordelli.

La superbia del pavone, è la gloria di Dio.

La lubricità del capro, è la manuficenza di Dio.

La collera del leone, è la sapienza di Dio.

La nudità della donna, è il lavoro di Dio.

L’eccesso di dolore ride.

L’eccesso di gioia piange.

Il ruggire dei leoni, l’ululare dei lupi, l’ergersi del

mare furente e il gladio distruttore, sono particelle

dell’eternità troppo grandi per l’occhio

dell’uomo.

La volpe biasima la trappola, non se stessa.

Le Gioie fecondano : i Dolori partoriscono.

(William Blake)






 

il matrimonio del cielo e dell'inferno