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(Foto di David Goldblatt)
Per loro tragica esperienza, i negri conoscono bene l’assassi-
nio politico.
Troppe volte, nella vita dei negri attivi nel movimento per i
diritti civili, il silenzio della notte è stato interrotto dal sibilo
dei proiettili sparati nelle imboscate e dal fragore delle esplo-
sioni, che si sono sostituiti al linciaggio come arma politica.
Oltre un decennio fa, la morte improvvisa colpì Harry T.
Moore e la moglie, dirigenti della NAACP della Florida; il re-
verendo George Lee, di Belzoni, nel Mississippi, fu colpito a
morte sulla soglia del tribunale di villaggio.
Gli attentati dinamidardi si sono moltiplicati.
Il 1963 è stato un anno di assassinii….
Il difetto imperdonabile della nostra società è stato di non
riuscire a catturare gli attentatori. La conclusione che se ne
ricava è molto dura, ma senza dubbio fondata: il motivo di
tale indifferenza sta nell’identità delle vittime, perché si è
trattato quasi sempre di negri.
Così la pestilenza si è diffusa fino a rapire la vita dell’ameri-
cano più illustre, un presidente amatissimo e stimato.
Le parole di Gesù:
‘Quanto avete fatto a uno dei più piccoli di questi miei fratel-
li, l’avete fatto a me’
Non erano più un’espressione metaforica: diventavano una
profezia da prendere alla lettera.
Alla notizia che il presidente Jack Kennedy era stato assassina-
to, uomini di tutto il mondo rimasero sbigottiti. Sotto i nostri
occhi, il trentacinquesimo presidente della nostra nazione crol-
lava come un grande cedro.
Il lutto personale era profondo e devastante; per il mondo, fu
una perdita soverchiante. E’ tuttora difficile credere che non
sia più tra noi una persona così satura di energia, vitalità e vi-
gore.
Il presidente Kennedy aveva una personalità dai forti contrasti.
In effetti c’erano due John Kennedy: uno aveva retto la presiden-
za per i primi due anni, assillato dall’insicurezza dovuta all’esi-
guità del vantaggio con cui aveva ottenuto la vittoria.
Quel Kennedy era vacillante, cercava di cogliere a fiuto la dire-
zione in cui poteva muoversi il suo governo mentre cercava di
conservare e di accrescere il sostegno di cui godeva.
Ma nel 1963 era emerso un Kennedy nuovo: aveva capito che
l’opinione pubblica non era definita da uno stampo rigido.
Il pensiero politico americano non era schiavo del conservatori-
smo, o del radicalismo, o della moderazione: era in primo luogo
fluido, mobile, e in quanto tale non era costituito da linee rigida-
mente tracciate ma piuttosto da tendenze.
Perciò un governo sicuro del proprio ruolo poteva guidarlo su
binari costruttivi.
Il presidente Kennedy non era incline a manifestazioni di senti-
mentalismo. Sapeva però cogliere con profonda intuizione la
dinamica del mutamento nella società e la necessità di tale mu-
tamento.
Il suo sforzo di promuovere la distensione internazionale era
stato audace e grandioso. Il suo ultimo discorso sui rapporti raz-
ziali conteneva l’appello più serio, umano e profondo alla com-
prensione e alla giustizia che un presidente avesse mai pronun-
ciato dalla nascita della repubblica.
Nel momento della morte, Kennedy stava coniugando la sua
abilità nel reggere la guida di un governo con un programma
di progresso sociale e cominciava a non essere più un leader e-
sitante, dagli obiettivi fluttuanti, ma diventava una figura for-
te, le cui mete politiche potevano avere una forte capacità di
attrazione.
Nel suo epitaffio, John Kennedy è descritto come un dirigen-
te che non temeva i cambiamenti. Kennedy aveva ottenuto
la presidenza in un periodo della storia umana fra i più turbo-
lenti e catastrofici in cui i problemi del mondo apparivano gi-
ganteschi nel loro complesso e caotici nel dettaglio. La scena
internazionale era dominata dalla minaccia che pendeva
sull’umanità, di sprofondare nell’abisso dell’annientamento
nucleare.
All’interno, gli Stati Uniti raccoglievano i frutti della terribi-
le ingiustizia pepretrata nei confronti della popolazione ne-
gra. John Kennedy affrontò questi problemi con profonda
partecipazione, con il respiro dell’intelligenza e con un acu-
to senso della storia.
Ebbe il coraggio di mostrarsi amico dei diritti civili e di essere
un instancabile sostenitore della pace. Il vero motivo del sin-
cero dolore da tanti milioni di persone non era soltanto l’emo-
tività collettiva: rivelava come il presidente Kennedy fosse
diventato un simbolo delle aspirazioni del popolo per la giu-
stizia, il benessere economico e la pace.
(Martin Luther King jr, I have a dream)