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….In nessun luogo della terra, come osservava un autore
del tempo, si concentrava tanta miseria come nella stiva
di una nave di schiavi.
Due volte al giorno, alle nove del mattino e alle quattro
del pomeriggio, ricevevano il loro cibo.
Per i commercianti essi erano solo articoli commerciali.
Un capitano, la cui nave era fortemente ritardata dalla
bonaccia e poi dai venti avversi, non esitò ad avvelena-
re il suo carico.
Un altro uccise alcuni schiavi per nutrire gli altri con la
loro carne.
I negri morivano soltanto di stenti, ma anche per lo stra-
zio, la rabbia, la disperazione.
Più volte tentarono prolungati scioperi della fame; spez-
zarono a volte le catene per scagliarsi sulla ciurma in
futili tentativi d’insurrezione.
Ma cosa potevano questi indigeni della terraferma in
alto mare, su un complicato vascello a vela?
Nel tentativo di allievare il loro spirito oppresso invalse
l’abitudine di farli salire in coperta una volta al giorno
per obbligarli a danzare.
Alcuni ne approfittarono per saltare, emettendo urla di
trionfo mentre gettandosi dal veliero, scomparivano tra
le onde.
Tutta l’America e tutte le Indie Occidentali importavano
schiavi.
Il carico umano saliva in coperta per essere venduto non
appena la nave giungeva al porto di destinazione.
Qui probabili acquirenti esaminavano la merce per ac-
certarne eventuali difetti : ne scrutavano la dentatura,
ne palpavano le carni, talvolta ne odoravano il sudore,
per accertarsi che il sangue fosse puro e la salute dav-
vero buona come l’apparenza lasciava supporre.
Questi, una volta divenuto proprietà legittima del com-
pratore, veniva marchiato su entrambi i lati del petto
con un ferro rovente, riceveva la spiegazione concern-
enti i suoi doveri attraverso un prete e un prete lo istrui-
va ai principi del cristianesimo.
(C.L.R. James, I giacobini neri, Derive Approdi)