Precedente capitolo:
Prosegue in:
Foto del blog:
il processo delle selezioni.
Come si espresse un medico prigioniero:
– Io…penso che Mengele abbia sviluppato un’idea fissa: selezioni e ancora
selezioni.
Si tendeva a identificarlo come il capo di coloro che facevano
le selezioni.
O, come si espresse un altro medico prigioniero:
– Tutto ad Auschwitz dipendeva da …Mengele…Mengele era quello che
era presente a tutti i trasporti. Di solito alla banchina c’era solo lui, e faceva
personalmente le selezioni. Quando non poteva farlo, mandava in sua vece
un altro capace…medico SS.
La forza di quest’impressione è confermata da un testimone al Processo
di Auschwitz a Francoforte; questo testimone aveva lavorato nel ‘Kom-
mando Canada’, che aveva il compito di far scendere i prigionieri dai
convogli al loro arrivo ad Auschwitz, e ricordava soltanto il nome di
Mengele.
Quando il giudice commentò:
– Mengele non poteva essere presente sempre,
il testimone rispose:
– Secondo me sì. Giorno e notte.
La dottoressa Olga Lengyel, parlando in termini meno specifici,
colse il sentimento complessivo degli internati nella sua descri-
zione di Mengele come:
‘di gran lunga il maggior fornitore della camera a gas e dei forni crematori’.
In realtà secondo le prove a nostra disposizione, Mengele avrebbe
fatto i suoi turni alla banchina come qualsiasi altro.
Alcuni ex internati lo descrissero come una figura elegante sulla
banchina: ben vestito, dal portamento eretto. Alcuni lo percepi-
rono erroneamente come ‘dall’ aspetto molto ariano’ o ‘alto e bion-
do’, mentre in realtà era un uomo di media statura e di capelli e
carnagione scuri.
Il suo aspetto attraente celava le verità di Auschwitz:
egli ‘dava l’impressine di un uomo gentile e colto che non avesse niente a
che fare con le selezioni, col fenolo e con lo Zyklon B’.
Un sopravvisuto me lo descrisse come la ‘falsa facciata del crema-
torio’.
Mengele si comportava in modo estremamente disinvolto nella
conduzione di selezioni su grande scala:
‘uomo di bell’aspetto con un bastone in mano….guardava corpi e facce
solo un paio di secondi e diceva: a sinistra, a destra.
E un altro internato contrappose il modo deciso del dottor Franz
Lukas alla banchina ai ‘movimenti eleganti e rapidi’ di Mengele.
Alcuni identificarono una qualità giocosa nel distacco di Mengele,
nel suo camminare avanti e indietro con un’espressione gaia sul
volto…, quasi si divertisse…, il divertimento della routine…, era molto
allegro.
Ma gli osservatori attenti si resero conto che stava recitando una parte;
notarono la cura con cui metteva in mostra almeno una Croce di Ferro,
e l’intensità con cui sembrava voler contrapporre la propria eleganza
allo stato appena umano dei prigionieri; e dicevano di lui che ‘sembra-
va un attore di Hollywood’, ‘come Clark Gable’ o ‘un tipo alla Rodolfo
Valentino’.
Al tempo stesso i prigionieri erano colpiti dal contrasto fra ciò che
egli sembrava e ciò che era. Un sopravvissuto, che lo descrisse come
‘di bell’aspetto….molto educato’, dichiarò che ‘non sembrava davvero un assas-
sino’, aggiungendo però subito dopo:
– Colpì mio padre sul collo col bastone e lo mandò in una certa direzione, verso
la camera a gas. Oppure: ‘Era brutale ma in un modo distinto, depravato’.
I medici delle SS – e specialmente Mengele – furono specificatamente
implicati nell’uccisione dei 4000 internati del campo degli zingari,
eccidio avvenuto il 1° agosto 1944.
Mengele era il medico capo in quel lager e fu così attivo nel processo
di annientamento che molti prigionieri con cui ebbi modo di parlarne
pensavano che ne fosse stato personalmente responsabile e che fosse
stato lui ad aver dato l’ordine specifico.
Ci sono prove che in realtà egli si oppose a questo sterminio, ma,
una volta che esso fu ordinato, applicò un’energia straordinaria
alla sua attuazione.
Alcuni medici prigionieri che avevano lavorato ad Auschwitz in quel
periodo mi dissero che quel giorno Mengele sembrava essere contem-
poraneamente dappertutto, esercitando un’attiva supervisione sull’uc-
cisione degli zingari.
Mengele aveva avuto stretti rpporti con alcuni bambini zingari, ai
quali portava di solito cibo e dolci, e a volte anche piccoli giocattoli,
e che aveva anche condotto a fare brevi passeggiate fuori del Lager.
Ogni volta che appariva nel campo degli zingari, i bambini lo saluta-
vano con calore, gridando: ‘Zio Mengele!’.
Ma quel giorno i bambini erano spaventati.
Il dottor Alexander O. descrisse la scena e l’appello di uno dei bam-
bini a Mengele:
Mengele arrivò attorno alle otto o alle sette e mezzo. Era giorno fatto.
Al suo arrivo i bambini gli si fanno attorno… Una bambina zingara di undici
o dodici anni…, la primogenita di un’intera famiglia – o forse anche di tredici,
dato che con la denutrizione a volte si cresce di meno: ‘Zio Mengele, il mio fra-
tellino sta piangendo da morire. Non sappiamo dove sia nostra madre. Piange
da morire, Zio Mengele!’. Da chi andava a cercare conforto? Da Mengele: la
persona che amava e da cui sapeva di essere amata, perché Mengele li amava.
E che cosa le rispose Mengele? ‘Perché non chiudi il becco?’.
Altri riferirono che Mengele ispezionò minuziosamente i blocchi,
scovando bambini zingari che si erano nascosti, e che trasportò
personalmente in macchina un gruppo di quei bambini alla camera
a gas, contando sulla fiducia che avevano in lui e parlando loro sino
alla fine con tenerezza e in modo rassicurante.
(R.J. Lifton)