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Il Big Bass Club si trovava sulla Centoventicenquesima strada nei pressi
dell’Ottava Avenue, proprio nel cuore di Harlem. Aveva la sagoma di
un contrabbasso incastonato all’interno di una parete di piastrellata.
Nella vetrinetta che fiancheggiava l’ingresso erano appese numerose
fotografie delle attrazioni che era solito ospitare.
E, nella sua foto, Linda Lou Collins aveva una tale somiglianza con
Pearl Bailey da far sorgere qualche legittimo dubbio sulla buona
fede dei gestori del locale.
L’entrata dava su una sala anch’essa a forma di contrabbasso da un
lato, il ricurvo bancone del bar; dall’altro, una sfilata di separè.
Sulle pareti erano dipinte, a mo’ di ‘murale’, le prime otto battute di
svariati successi di blues.

In fondo alla sala, un tendaggio nascondeva l’accesso a un privè il
cui unico requisito d’ammissione era il danaro. Si trattava di tutto
un altro mondo, un vero proprio night-club per i ricchi di Harlem,
unico sulla faccia della terra.
L’atmosfera era allo stesso tempo sensuale e animalesca, l’aria
pesante, densa, ricca di aromi, pungente e profumata. Il luogo
pullalava di tori che tenevano d’occhio le proprie giumente.
Tori addomesticati, certo, ma pur sempre pericolosi.
Ogni uomo aveva in tasca un coltello, e recava su di sé le cicatrici
di tante battaglie. E le mammelle di ogni giumenta erano rigonfie
di sesso, odoravano di stalla; giumente che erano state montate un’
infinità di volte e non aspettavano altro che essere montate ancora
e ancora. Tori che il più delle volte sembravano belli tranquilli,
come rinchiusi in qualche recinto. Ma la violenza era sempre nell’aria,
un’aria fragrante di fumo e di whisky.
Era un ritrovo per gente che trafficava nel vizio: papponi, giocatori
d’azzardo, delinquenti di media e piccola tacca, madame e prostitute.
Esclusa la borghesia nera, costoro erano gli unici a potersi permettere
un posto del genere.
I prezzi erano troppo alti per la classe operaia.
Ma i negri della classe media – uomini d’affari e professionisti, medici,
avvocati, dentisti e necrofori – loro sì, che si facevano vedere ogni volta
che gli saltava il ghiribizzo di far baldoria nei bassifondi.
L’ntrattenimento era un buon livello, anche se calibrato per un pubblico
nero.
Quindi, doveva essere buono per forza.
Gli avventori non facevano altro che starsene lì a sbevazzare, ascoltare
la musica e sgranocchiare pollo fritto. A divertirli, ci pensavano le
varie attrazioni del locale.
Il ballo non era previsto.

Chi voleva ballare, veniva invitato dal direttore a muovere il culo e
andarsene al Savoy Ballroom. Laggiù sì che c’era un sacco di posto.
Nessuno si azzardava a flirtare con le donne altrui.
Quando Walker spinse di lato il tendaggio del privé, Linda Lou
….stava cantando.
‘Come to me, my melancholy baby……..’

……Un corridoio sotterraneo collegava i seminterrati di tutti gli edifici
del Peter Cooper Village.
Walker entrò nella sala caldaie a tre isolati di distanza dal palazzo in
cui abitavano lui ed Eva, per poi risalire dalla scala di servizio e
raggiungere l’appartamento di Eva.
Pose l’orecchio alla porta sul retro.
Non udì alcun rumore.
Usò la chiave della donna per far scattare la serratura senza rumore.
Poi girò il pomello con la mano sinistra e aprì la porta in totale silenzio.
Ancora con la sinistra sul pomello, estrasse la pistola con la destra e la
tenne sollevata. Poi spinse in tutta fretta, la pistola spianata, ed entrò
in casa. Richiuse la porta con la stessa velocità e lo stesso silenzio
con cui l’aveva aperta.

Si fermò nell’oscurità e trattenne il respiro per ascoltare meglio.
Nessun rumore.
Si trovava nella stanzetta sul retro che serviva da lavanderia.
Avanzò quatto quatto, con la mano sinistra tesa davanti a sé.
Appoggiò l’orecchio alla porta della cucina e si mise di nuovo in ascolto.
Non poteva credere che fosse uscita.
Magari si era addormentata, pensò.
Era più da lei, restare seduta al buio e rimuniginare chissà cosa.
Aprì in silenzio la porta della cucina e, alla cieca, avanzò nella stanza.
Una seconda porta dava sul lato del soggiorno che fungeva da sala
da pranzo.
Cercò di scorgere anche la minima luce filtrare da sotto la porta, ma
l’entrata era immersa nel buio.
Quindi anche le tende erano tutte tirate, altrimenti si sarebbe visto
l’alone dei lampioni stradali, pensò.
Pose ancora l’orecchio alla porta.
Gli parve di udire un respiro.
Trattenne il fiato, e non udì più niente.
E’ una cosa che non sopporto fare, si disse.
Sarebbe stato meglio poterle sparare al buio.
Rimase immobile per parecchi minuti, aspettando che il suo sesto senso
gli fornisse eventuali indicazioni di pericolo. Ma non accadde nulla.
Aprì silenziosamente la porta e brancolò nel buio con la mano
sinistra alla ricerca dell’interruttore. La grossa piantana in fondo al
canapè si accese prima ancora che la sua mano riuscisse a sfiorare
l’interruttore.
Proprio al centro del canapè sedeva Brock, la calibro 38 d’ordinanza
dritta al cuore di Walker.
– Getta la pistola, Matt, disse atono.
Walker si bloccò come se fosse diventato di pietra.
Piano piano le sue dita mollarono la presa sul’impugnatura dell’arma,
che piombò sul tappetto con un tonfo.
Sorrise a Brock con aria da ragazzino.
– Ma CHE ASTUTO FIGLIO DI PUTTANA, disse a bassa voce.
– Sicuro, rispose Brock.
– Occhio a quel che fai, o ci lasci le penne.
– Ho anche la pistola d’ordinanza, disse Walker sorridendo.
Vuoi pure quella?
– No, rispose Brock, scuotendo il capo. Non mi spareresti mai con il
revolver d’ordinanza.
– Non essere troppo sicuro, disse Walker.
– Correrò il rischio, disse Brock, e ripose il suo revolver nella fondina.
Siediti.
Walker acchiappò una sedia da pranzo, con lo schienale rigido, e vi
si mise di traverso, proprio di fronte a Brock. Poi guardò il cognato
con un sorrisetto malinconico.
– Eva ha cantato, disse.
– Sicuro, rispose Brock. E cosa pensavi che facesse, che se ne restasse
zitta in eterno?
– Sapevo che avrebbe cantato, disse Walker, ma non che l’avrebbe
fatto così presto.
Pensavo che avrei avuto l’opportunità di sgombrare il campo.
– Sicuro, disse Brock. Di metterla a tacere per sempre.
– Era l’unica cosa da fare, rispose Walker. Così nessuno ne avrebbe
mai saputo niente.
– No, fece Brock. Io lo sapevo già da prima.
Walker lo guardò interessato.
– E’ per colpa della mia storia, ipotizzò. Sapevo che non l’avevi bevuta.
Ma sapevo anche che senza Eva non potevate farmi niente.
– No, non è per la tua storia, disse Brock. In realtà, io non avevo bevuto
neanche la prima, quella che hai rifilato al procuratore. Ma quando mi
hai raccontato la seconda versione, al Lindy’s, avevo già capito tutto.
Walker parve incuriosito.
– Razza di furbacchione.
Un vero figlio di puttana, insomma. Come hai fatto, allora?
– Ho trovato la prostituta, quella che ti sei scopato quella sera.
– Ah sì? E hai saputo dov’era? Walker gli rifilò uno sguardo offeso.
E non mi hai detto niente?
– Sicuro. Mica volevo farla ammazzare.
– E cosa sapeva?
– Sapeva che avevi la pistola. Hai minacciato di uccidere anche lei,
con quella. Dove l’hai pescata?
– L’ho presa nel museo della Omicidi,
disse Walker.
– E’ l’arma usata da Baby Face per far secco Jew Mike.
– Ah, ecco da dove veniva.
– Pensavo che tu avessi indovinato anche questo,
disse Walker.
– Certo che quella notte devo aver proprio dato fuori di testa,
aggiunse poi.
– Chissà quant’altra gente ho ammazzato….
(Chester Himes, Corri uomo corri)
