NOTTE D’INVERNO (a Filadelfia)

Precedente capitolo:

l’uomo che cadde sulla terra

Prosegue in:

(notte d’inverno) a Filadelfia


 

notte d'inverno







(Da l’uomo che cadde sulla terra)

Ritrovarono il corpo alla base della paretina.

Nella caduta esso era uscito fuori del sacco.

Lo ricomposero alla meglio. Franceschini, con l’aiuto di

due cinghie lo trascinò fin dove la neve terminava. Qui

la salma fu messa su una barella. E si fermarono di nuovo.


(Solo quando anche l’estremo picco rimase senza sole e la

notte si rovesciò a fiotti giù per i burroni, l’aviatore capì

di essere solo. Gli uomini, i paesi, il fuoco, i caldi letti, le

spiagge, le ragazze furono assurde storie di un altro mon-

do. Mangiò quel poco che aveva con sé, a gran sorsate

mandò giù il gin di una fiaschettina. Ma certo: domatti-

na qualcuno sarebbe giunto. Si accoccolò sulla cornice.

Provò a chiamare ancora ma gli echi, ora che non si ve-

deva quasi per niente, gli diede fastidio. L’alcool, la stan-

chezza, la gioventù: poco dopo prese sonno.)


Il tenente pregò Franceschini di scendere fino alla Mal-

ga Canali; di là avrebbe potuto mandare un mulo. Loro,

col morto, sarebbero intanto venuti giù adagio adagio.

Si capiva che erano terribilmente stanchi. Franceschini

andò ma dopo poco udì alle sue spalle alcune voci. Era-

no gli Americani che scendevano di corsa senza barella.

E il morto? chiese Franceschini. L’abbiamo lasciato là,

dietro a quella roccia. E quando venite a prenderlo?

Il tenente rispose: Quando peserà meno.


(Si risvegliò e vide Filadelfia. La sua città, Dio santo! Cam-

biata in modo indefinibile da come la ricordava eppure sba-

gliarsi era impossibile. Vedeva, nella notte, le facciate dei

grattacieli risplendere alla luna e dal lato opposto gli spigo-

li neri nelle vie, vedeva le strade bianche, perché mai così

bianche? vedeva piazze e monumenti, e cupole e le bizzarre

incastellature pubblicitarie in cima ai tetti, contro le stelle.

Sì, laggiù, dietro il muro della Dutchin Inc., dopo quella

selva di fumaioli, era la sua casa! Dormivano? Perché nean-

che una luce? Perché neanche una luce, una finestra accesa,

una minuscola breve riverbero di lighter? E le strade così

deserte, senza una macchina che muova attraverso candi-

di quadrivi. Scintillano qua e là, altissimi, come azzurre la-

mine di quarzo, le vetrate sui giardini pensili dei miliarda-

ri, ma anche lassù tutto è sprofondato in un pauroso sonno.

Filadelfia è morta. Un misterioso cataclisma l’ha lasciata

così, con le turbine ferme, gli ascensori congelati a metà

strada lungo le vertigini dei cementi armati, le caldaie spen-

te, i vecchi quaccheri impietriti con in mano la cornetta mu-

ta del telefono. Il freddo entra a pungiglioni negli stivali

foderati di pelliccia. Ma che cos’è questa voce che assomi-

glia a un respiro sommesso? E’ il vento, entra quasi con ti-

midezza tra i colonnati, ne cava un querulo lamento. Oppu-

re è voce umana? A momenti sembra di udire una specie

di confusa musica, come di violini di chitarre dalle recondi-

te sale dei palazzi circostanti. Sulle cuspidi supreme c’è un

polverio d’argento. Il freddo è una lama che lo taglia. E Dio,

del quale egli ha sentito tanto parlare, dov’è Dio? Non è

Filadelfia, maledizione, questa E’ L’ULTIMA SCHIFOSA

FOSSA DELLA TERRA.)

(Prosegue in a Filadelfia)

(D. Buzzati, I fuorilegge della montagna, Notte

d’Inverno a Filadelfia)





 

notte d'inverno


UNA LAPIDE (per Bessie)

Precedenti capitoli:

 

una lapide


1) le notti del Klan    

2) Bessie                       

3) e i kkk                      

4) 26 settembre 1937 


 

una lapide






(Da 26 settembre 1937)

Nel luglio del 1970, una casalinga nera di Filadelfia scrisse

una lettera al ‘Philadelphia Enquirer’s Action Line’ per at-

tirare l’attenzione dell’opinione pubblica sulla questione

della tomba senza lapide di Bessie Smith.

L’Enquirer contattò una serie di persone per raccogliere

fondi.

Bastarono due telefonate: Janis Joplin e Juanita Green si of-

frirono di coprire l’intera somma. Janis Joplin morì pochi

mesi dopo aver donato i soldi per la lapide. Juanita Green,

da bambina, ogni sabato faceva la cameriera a casa di Bes-

sie e la ricordava mentre cantava e cucinava la trippa di

maiale bollita con gli scalogni, infarinata e fritta.

Juanita Green crescendo era diventata la presidentessa del-

la sezione Nord di Filadelfia del NAACP (Associazione

Nazionale per il Progresso della Gente di Colore) e la pro-

prietaria di due case di riposo.

Janis Joplin era sempre stata una grande ammiratrice di

Bessie Smith e la sua musica era stata molto influenzata

da quella dell’Imperatrice.

Nelle canzoni della Joplin si sente chiaramente l’eco di

Bessie. L’Imperatrice sarebbe stata deliziata dalle due

donatrici: una cameriera che era diventata proprietaria

di due case di riposo e una cantante blues, morta pochi

mesi dopo aver sborsato i soldi per la sua lapide.

La cerimonia della posa della lapide si tenne venerdì

7 agosto 1970.

John Hammond, l’uomo che aveva arrangiato i pezzi

incisi da Bessie per la Okeh Records e che aveva diffu-

so le false voci sulle circostanze della sua morte, coprì

la lapide con il suo vecchio cappotto. Quando l’indumen-

to venne tolto, i presenti lessero:


La più grande cantante blues del mondo, non smetterà

mai di cantare. Bessie Smith 1894-1937.


(Prosegue in: per bessie)




 

una lapide

DA COME INSEGNA QUELL’UOMO

Precedenti capitoli:

(ordine e disordine):

così fra i geni della foresta mi volli ritirare/

e la natura con dio ammirare/

per scoprire che lui e’ diverso/

da come insegna quell’uomo/

(è Dio che lo dice nulla io invento

 quanto da Lui detto)/

Prosegue in:

ordine e disordine


 

da come insegna quell'uomo








(Da per scoprire che lui e’ diverso)

Il sistema dei cerchi concentrici, con progressiva trasmuta-

zione dal bene al male via via che dal centro ci si allontana

verso la periferia del sistema stesso.

E con una gerarchizzazione precisa all’interno di ciascun

‘cerchio’, come accade nel caso dei figli, dei servi e degli

animali, che riguardo al corpo sono i primi proprietà del

padre, gli altri proprietà del padrone.

Indubbiamente il centro del sistema è la città – anzi, la cit-

tà cattolica -, che serve da similitudine per far comprende-

re l’intero sistema divino:


La giustizia divina è nell’intero universo come la legge

pubblica nella città.


Il ‘Malleus’ presenta così una visione, un’architettura del

mondo, diretta erede del ROMANO-CENTRISMO (corrot-

to e di pura apparenza anche nelle sue forme …più espli-

citamente democratiche….) tipico della cultura dell’anti-

ca Roma Imperiale, ove l’ordine e razionalità del centro

finisce per contrapporsi la progressiva ‘feritas’ delle aree

 più esterne, e delle regioni montane e selvagge in parti-

colare.

E un criterio tutto politico è introdotto nella definizione

del crimine per eresia e stregoneria, equiparati al crimine

di lesa maestà: ‘infatti stregoni (e sciamani) offendono in

modo analogo la maestà divina’.

L’ordine e l’unità sono il bene, specie l’unità della Chiesa

(o delle Chiese), perciò il Diavolo, fin dalla sua caduta

‘cerca di spezzare l’unità della Chiesa’.

Anche il Diavolo sembra avere uno scopo politico.

Spezzare l’unità della Chiesa significa aprire la via ai ne-

mici dell’ordine politico (basta guardare l’ordine politico

maturato fino ad oggi dalla nostra cultura detta…laica-

cattolica…), nemici esterni e nemici interni.

Ma in concetto stesso di ‘unità della Chiesa’ è imminen-

temente politico, appartiene non certo al vangelo del Cri-

sto bensì ad una Chiesa storica che nel suo concreto dive-

nire è venuta ampliando a dismisura la sua aspirazione

al ‘dominium’ in ogni ambito della vita individuale e

sociale, una forza politica potente e terrena, molto terre-

na e poco, troppo poco spirituale.

L’ORDINE URBANOCENTRICO & ROMANO(centrico)

& INDROCENTRICO, cioè cattolico, ha i suoi nemici seco-

lari (demoni invisibili con cui combatte una guerra con

l’assurda pretesa della rappresenta(zione) della retta-ra-

gione nel teatro immutato della tradizione. I suoi ‘apo-

stoli’ dottori di Chiesa o dottori di quella ragione o razio-

cinio irrimediabilmente nemico di quel primitivo mon-

do magico da cui sia la fede che la scienza hanno preso

le dovute distanze. Rinnegando tutto ciò che è primitivo

nella genetica umana….):

i rustici, i selvaggi ‘pilosi’ delle foreste, i lupi mannari,

le donne che con tutte le loro imperfezioni ontologiche,

procurano turbativa al sistema maschile, perché nelle

donne ‘c’è un difetto di capacità mnemonica, perciò in

loro è naturale il non voler essere governate’.

Il non voler essere governate dipende dal deficit di me-

moria del cervello femminile (ed anche maschile…).

Folli, dunque, tutti coloro poco propensi all’obbedienza…….

(Mornese/Astori, L’eresia delle streghe)






 

da come insegna quell'uomo

BESSIE E I KKK

Prosegue in:

e i kkk &

le notti del Klan


 

bessie








La capacità di ricorrere ai pugni si rivelò ammirevole per

Bessie Smith.

Come ad esempio, quando affrontò da sola il Ku Klux Klan.

Si trattava del Klan creato nel XX secolo, organizzato nel 1915

dal colonnello William J. Simmons, predicatore e promotore

delle confraternite.

Nel 1920, i membri del Klan, alimentati dal patriottismo e da

una romantica nostalgia per il vecchio Sud, erano più di quat-

tro milioni, in tutto il Paese.

 

bessie


Il commercio delle tuniche bianche con cappuccio, divenne

un grande affare. Il simbolo del nuovo Klan era una croce di

fuoco.

Gli uomini del Klan, con le loro vesti bianche, facevano marce

e parate, e durante la notte, in tutto il Paese, bruciavano le cro-

ci di fuoco.

Segretamente i membri del Klan facevano attentati dinamitar-

di, sparavano, frustavano, e linciavano terrorizzando la comu-

nità nera del Sud.

Ma Bessie non aveva paura nemmeno del Ku Klux Klan.

 

bessie


Ecco come è andata.

Era una giornata piuttosto afosa e solo da poco aveva comin-

ciato a rinfrescare, la luna era alta nel cielo.

Era stata innalzata la tenda del blues…..

La gente era giunta da ogni parte a dorso del mulo, in treno, in

macchina, con il carro. Erano venuti per ascoltare la voce della

donna che suonavano nei loro fonografi.

 

bessie


La donna che parlava sempre chiaro, che parlava la loro stes-

sa lingua.

Andando verso la tenda, passando per la stazione, avevano

visto il suo famoso treno giallo come il sole che brilla nel cielo,

con la grande scritta verde.

Quel treno era davvero una bomba.

Loro non avevano viaggiato così in grande stile, ma si erano

portati un bel po’ di provviste, cibo e alcol in abbondanza per

…..il blues….

Cosce di pollo, zampetti di maiale, pane di mais, pomodori.

Era il luglio del 1927, a Concord, North Carolina. Nella tenda

c’era un enorme frastuono e non si trovavano quasi i posti a

sedere…..

Non si capiva più dove finiva una persona e ne cominciava

un’altra…. (prosegue in e i kkk)





 

bessie


IL CIMITERO ROSSO

Prosegue in:

la ballata dell’uomo che se ne è andato &

il cimitero di guerra nella grammatica della vita


 

il cimitero rosso







Ci sono delle pietre che durante la notte si aprono come fiori.

Laggiù nel cimitero rosso in cui Bessie ossessiona i suoi ammiratori.

Ci sono delle pietre che fremono e piangono nel cuore della notte.

Laggiù nel cimitero rosso in cui Bessie ossessiona i suoi ammiratori.


Perché ricordo il blues?

Ho cinque, sei o sette anni e sono nel giardino sul retro;

la finestra è spalancata;

la sua voce si diffonde a rallentatore nell’aria pesante dell’estate.

Fagottini alla marmellata. Cuochi. Salsicce. Padelle.


All’interno della casa in cui sono me stessa,

la sua voce occupa molte stanze.

Nella migliore di tutte le stanze,

qualcosa ha cambiato la forma del mio silenzio.

Perché ricordo la sua voce e non quella di  mia madre?

Perché ricordo il blues?


La voce di mia madre. Com’era?

Un sasso piatto da far rimbalzare. Una vecchia roccia.

Erba molto, molto alta. Asfalto. Vento. Grandine.


Cotone. Lino. Sale. Melassa.

Credo fosse una pesca.

L’ho sentita tutta fino al nocciolo rugoso.


Scendo le scale della casa dei miei genitori.

Ho cinque, sei o sette anni. Sui muri c’è una spessa carta da parati

Che accarezzo sempre, passando di fiore in fiore.

Lei sta cantando. (Hanno mai messo altri dischi?)

Il piede di mio padre batte il tempo sul pavimento.


Cristo, gli sento dire, che voce che ha.

Prendo in mano la copertina del disco. E ora, tutto accade a rallentatore.

Le mie mani l’afferrano, scorrono su di essa, la stringono ancora.

Prendo la copertina e le mie dita coprono tutto il suo viso.

Il suo viso nero. Il suo magnifico volto nero.

Che voce. Le scarpe di lui ballano sul pavimento.


Ci sono delle pietre che durante la notte si aprono come fiori.

Laggiù nel cimitero rosso in cui Bessie ossessiona i suoi ammiratori.

Ci sono pietre che fremono e piangono nel cuore della notte.

Laggiù nel cimitero rosso in cui Bessie ossessiona i suoi ammiratori.

(J. Kay, Bessie Smith)




 

il cimitero rosso


RITRATTI

Prosegue in:

il cimitero di guerra nella grammatica della vita &

demonomania

Foto del blog:

carlo….

bevilacqua!






RIGONI STERN : Tu mi riporti ad un tempo, finito di scrivere

‘Il sergente nella neve’, dopo essere stato pubblicato, venivo

quasi considerato uno scrittore.

PAOLINI : E che ti succedeva?

RIGONI STERN : Mi succedeva che mi arrivavano delle voci

strane.

C’erano dei professori che leggevano ‘Il sargente’ e dicevano:

” Ma guarda questo come si permette di scrivere, i topi!, punto

esclamativo e basta, dice il lepre”, insomma passavano il libro

con una matita rossa e blu, per divertirsi poi magari a farmi

dire come io, ignorante qual ero, mi fossi permesso di scrivere

un libro.

Lasciavo dire, non me ne importava niente perchè vedevo che

quando questo libro lo avevano portato a Carlo il pastore, Carlo

il pastore si era messo a leggerlo con tanto interesse e con tanto

amore, e capiva tutto quel che avevo scritto.

(Ritatti, Mario Rigoni Stern, Fandango libri)





 

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E LA SUA FINE RICORDARE

 e la sua fine ricordare

 

Precedenti capitoli:

un cristo percio’ voglio oggi raccontare

Prosegue in:

caccia e pesca

(ma se ben ricordo vi era anche un uomo che pensava solo al volo)

Foto del blog:

e la sua fine ricordare

Libri, dialoghi…& blog…

frammenti in rima

i miei libri

 

e la sua fine ricordare

 

 

  





….Allo studio però aggiunsi una spietata, continua, inesorabile

osservazione sugli uomini, sugli animali, le piante, su tutto ciò

che – in una parola – circonda l’uomo.

Il libro della vita: questo è il libro dei libri!

Tutti gli altri non hanno per scopo che insegnare a leggere que-

sto. Libri onesti, s’intende, ché i disonesti hanno opposto fine.

La meditazione di questo gran libro determinò le mie azioni ed

i miei principi; sprezzai il motto ‘Ognuno per sé e Dio per tutti’,

mi schierai dalla parte dei deboli, giammai come è religione ora…,

dei forti e contro i deboli! …Dei poveri, degli oppressi, dei sem-

plici e dei perseguitati, compresi che in nome di Dio, della Leg-

ge, della Patria, della Libertà, delle più pure astrazioni della

mente, dei più alti ideali umani, si perpetrano e si continueran-

no a perpetrare i più feroci delitti, fino al giorno che, acquista-

ta la luce, non sarà più possibile ai pochi di far commettere il

male, in nome del bene, ai più.

Compresi che non impunemente l’uomo calpesta le inedite leg-

gi né può violare i vincoli che lo legano all’universo.

Compresi che i monti, i mari, i fiumi chiamati confini naturali,

si sono formati antecedentemente all’uomo, per un complesso

di processi fisici e chimici, e non per dividere i popoli.

Ebbi fede nella fratellanza, nell’amore universale.

Ritenni che chi benefica o danneggia un uomo, benefica o dan-

neggia la specie. Cercai la mia libertà nella libertà di tutti, la

mia felicità nella felecità di tutti.

Compresi che l’uguaglianza di fatto, nelle necessità umane, di 

diritti e di doveri, è l’unica base morale su cui può reggere l’

umano consorzio.

Strappai il mio pane con l’onesto sudore della mia fronte; non

ho una goccia di sangue sulle mie mani, né sulla mia coscien-

za.

Ora?

A Trentatré anni, sono candidato alla galera, e alla morte.

Né me ne meraviglierei se così non fosse…..

(B. Vanzetti, Non piangete la mia morte)


 

 

 

e la sua fine ricordare

 

CIOE’ DELL’UNIVERSO E DEI MONDI

 

Precedente capitolo:

et innumerabilibus


 

cioe' dell'universo e dei mondi,cioe' dell'universo e dei mondi

 

 






….Ella è nuda, non stipata tutt’intorno da manate d’erba, e,

nuda, lancia da tutto il corpo luce; gran torto sarebbe che

questo santo corpo fosse velato, essa stessa fa fede a se stes-

sa, e c’è ordine che ne siano lontano il naso schizzinoso, la

fronte rugosa, il sopracciglio e la pendente barba, e quanti

indumenti richiede come proprii l’ignoranza, fedi, titoli,

parti. 

 

cioe' dell'universo e dei mondi


Avidamente ella aspetta colui che s’appressa, generosa gli corre

incontro, l’accoglie col suo bacio, rinfrancandolo mentre trepida,

e accarezzatolo con volto sereno, concepisce intensamente i fuo-

chi che lentamente egli ha introdotto in lei.

Quali ricchezze d’Oriente, che l’onda del mare cela, e i deserti d’-

Arabia tengono, e i monti stringono nell’alvo profondo, e la terra

dall’amplesso tenace, scaldandole nelle sue vene occulte, nega a

ogni arte o studio umano di poter preparare, quali ricchezze tu

stimerai, o mortale, paragonate a tanto onore? 

 

cioe' dell'universo e dei mondi


La fortuna non potrà rendere migliore alcuno, ché la morte tutto

travolgerà e consumerà col suo piede, e riprenderanno le loro sedi

antiche quante cose nate porta nella sua volante corsa la ruota del

tempo: il miglior fine al fato mortale consiste in ciò solo, vivere

d’una vita partecipe alla natura degli Dèi, vita nella quale tu

incorrerai quando t’avrà abbracciato questa diva, sicché tu valga

a sdegnare i sogni del volgo miserando, immerso nelle sorde onde

del fiume letèo. 

 

cioe' dell'universo e dei mondi


Quelli che credono d’essere svegli quando seguono fantasmi, e

vane immagini volgono nell’animo, finzioni di sciocca insania,

miseri, e stancano i divi Fauni e i Satiri e i Centauri mezzo fiere

e mezzo uomini, che niente possono e niente anche sono; i quali

una volta ebbero anche una vile e morta vita, empi vasi di spiriti

nocenti, perché nuova materia di guerra si presentasse all’orbe

devoto e ilare.

La grandissima turba che il dèmone cattivo agita con le immagi-

ni e la speranza, lotta per il nettare del cielo e l’ambrosia di Giove,


 cioe' dell'universo e dei mondi


che gli uomini privi di senno e di mente considerano come unici

strumenti di vita eterna, si sfoga vanamente, urge per meglio 

affrettarsi, serbando inviolati i mandati del prete, va a prender-

si dagli orti dell’Erebo le portate e il vino della stoltezza, quale 

produce la vigna d’Averno coltivata, presso le fosche rive, dall’-

altro cacodèmone.

Dopo, la plebe irrisa e mal nutritasi dello stigio fungo, vacillan-

do ebbra dopo le tazze della venefica Circe, così consumerà, ne-

gletta da Dio, la vita eterna.

(G. Bruno, De Immenso et Innumerabilibus)



 

 

 

cioe' dell'universo e dei mondi

 

DE IMMENSO ET INNUMERABILIBUS


Prosegue in:

et innumerabilibus


 

de immenso

 

 





Parlare istruiti dagli occhi d’un altro, vedere coll’altrui parola,

frenar la mente con uno stolto fantasma, questo è vera sofia e

sapienza prima.

Costoro, se la ragione non m’inganna, io crederei di dover ab-

bandonare e spregiare per un’alta legge, come quelli che Dio

non vuol fortunati per sorte migliore.

Ed è stato provveduto anche a loro, e così bisogna far che ri-

mangono, né curino la dubbia mèta e l’incerto scopo quantun-

que sia ottima per se stessa. 

 

de immenso


Non si consiglia a nessuno di sforzarsi con troppo ardore

oltre le proprie forze e dirigersi fuori dei propri confini,

quasi sottoscrivendo senza giudizio né ragione.

Chi non ha giudizio deve vivere coi molti, essendo incapace

di vivere nobilitato coi pochi. Scegliti il pastore che la fortu-

na ti segnerà, percorri senza pericolo le vestigia del gregge a

te congenere.

Non ti piaccia, o amico, la libera caverna della volpe, non imi-

tare i remoti rifugi dei cervi, non osare sdraiarti nell’antro del

fiero leone, o infelice, perché non sei celebre per miglior seme,

sei desipiente, tardo, imbelle per fauci, unghia e bocca, non hai

astuzie né corsa veloce, e nessuna forza ti fu messa nell’animo

o nel torpido cuore. 

 

de immenso


Non a te fu aperta la via per cui tu ti volga all’orbe della

luce: per la qual cosa attieniti al modo di sentire approvato

dai più, e al numero dei plaudenti e confamulanti, e trionfi

la fama d’un autore principe.

E sii, così, contento di poche cose, come se queste fossero tut-

te; ché abbastanza sei ricco, perché non hai nessun senso del-

la tua povertà;  e sei sano, perché non hai nessuna idea del tuo

morbo.

(G. Bruno, De Immenso et Innumerabilibus)




 

 

de immenso