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…Il tempo,
finalmente, mi liberò delle paurose borse e mi ristabilii.
Ogni evento parlava a me una lingua misteriosa.
E i momenti della vita rivelarono a poco a poco il loro
significato segreto.
Vi fu la meraviglia che provai quando vidi per la prima
volta una coppia di cavalli pezzati bianchi e neri grossi
come montagne, caracollare giù per una strada polve-
rosa in mezzo a nuvole di polvere argillosa.
Vi fu la gioia che provai nel vedere lunghe e diritte file di
ortaggi rossi e verdi che si perdevano nel sole fino all’oriz-
zonte luminoso.
Vi fu il languido, fresco bacio sensuale della rugiada che
sentii sulle guance e sugli stinchi, quando corsi per i verdi
sentieri del giardino in un mattino presto.
Vi fu il vago senso dell’infinito quando guardai giù, alle
gialle, sognanti acque del Mississippi dai picchi verdeg-
gianti di Natchez.
Vi furono gli echi di nostalgia che sentii nelle strida degli
stormi d’anatre selvatiche in volo verso sud, contro un te-
tro cielo autunnale.
Vi fu la struggente malinconia del pungente odore della
legna d’hickory quando brucia.
Vi fu l’imbarazzante, impossibile desiderio d’imitare la
piccola superbia dei passeri che si voltavano e si dimena-
vano nella rossa polvere delle strade di campagna.
Vi fu il vivo desiderio di sapere suscitatomi dalla vista
d’una solitaria formica che trascinava un fardello verso
un misterioso viaggio.
Vi fu lo sdegno che m’invase quando torturai un delica-
to gamberetto bluastro che si raggomitolò terrorizzato
nel fondo melmoso d’una latta arruginita.
Vi fu la gloria dolente di masse di nubi accese di porpo-
ra da un sole invisibile.
Vi fu il liquido allarme che vidi nel bagliore rossosan-
gue del tramonto nei vetri delle casette imbiancate.
Vi fu il languore che sentii quando udii lo stormire del-
le foglie verdi con un rumore di pioggia.
Vi fu l’incomprensibile segreto racchiuso in un bianchic-
cio fungo velenoso nascosto nella buia ombra d’un ceppo
fradicio.
Vi fu la sensazione della morte senza esser morto che pro-
vai alla vista d’una gallina che saltellò qua e là, ciecamen-
te, dopo che mio padre le aveva spezzato il collo con un
rapido torcer di polso.
Vi fu la grande allegria che mi prese quando capii che Dio
s’era divertito con i gatti e i cani nel farli lambire il latte e
l’acqua con la lingua.
Vi fu la sete che mi prese nell’osservare il succo limpido e
dolce che sgorgava dalla canna da zucchero mentre veni-
va schiacciata.
Vi fu il cocente panico che mi salì in gola e mi scorse per
le vene quando vidi per la prima volta le pigre, flessuose
spire d’un serpente turchino addormentato al sole.
Vi fu l’ammutolita stupefazione nel vedere un maiale
tratto nel cuore immerso nell’acqua bollente, raschiato,
spaccato, sventrato e appeso aperto e sanguinante.
Vi fu l’amore che provai per la muta regalità delle alte
querce vestite di muschio.
Vi fu il senso di crudeltà cosmica quando vidi le tavole
contorte d’una baracca di legno, che erano state contrat-
te dal sole estivo.
Vi fu la saliva che m’empì la bocca ogni volta che sentii
l’odore di polvere argillosa impastata di pioggia fresca.
Vi fu l’oscura sensazione di fame quando respirai l’odo-
re dell’erba tagliata di fresco e stillante umore.
E vi fu il muto terrore che m’invase i sensi quando im-
mensi pulviscoli dorati scendevano verso terra dai cieli
carichi di stelle nelle notti silenziose…..
(Richard Wright, Ragazzo negro)