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Presi Betsy e corsi fino a casa, contento di non averla
venduta.
Ma mi tornò la fame.
Avrei fatto meglio a prendere i 97 centesimi?
Ormai era troppo tardi.
Mi stringevo Betsy tra le braccia e attesi.
Quando tornò la mamma le raccontai quello che era
successo.
– E tu non hai preso i soldi?,
mi disse.
– No.
– Perché?
– Non lo so,
dissi incerto.
– Non lo sai che 97 centesimi sono quasi un dollaro?,
mi disse.
Sì, dissi, contando sulle dita, 97, 98, 99,…100. Ma non
volevo vendere Betsy a gente bianca (si erano oltretut-
to radunati…intorno).
– Perché?
– Perché sono bianchi,
dissi.
– Non do la mia Betsy a dei bianchi…
– Sei uno sciocco,
disse la mamma.
Una settimana dopo Betsy andò schiacciata sotto le
ruote di un carro carbone.
Io piansi e la sotterrai nel cortile piantando una doga
di botte sulla testa della tomba.
La mamma fece questo solo commento.
– Potevi avere un dollaro e mangiarti un bell’hambur-
ger in attesa dello show.
– Adesso mangia un cane morto, se puoi.
Io non le risposi.
Avanti e indietro, nel bagnato e nella polvere, dentro casa
o fuori, i giorni e le notti cominciavano a sgranarmi tante
magiche possibilità.
Se strappavo un pelo alla coda di un cavallo e lo tappavo
in una brocca, il pelo nottetempo diventava un serpente.
Se incontrando una suora o una madre cattolica vestita
di nero sorridevo e le lasciavo vedere i denti, dovevo mo-
rire.
Se passavo tra una scala appoggiata e il muro, avrei certo
avuto una disgrazia.
Se mi baciavo un gomito, diventavo una ragazza.
Se mi prudeva l’orecchio destro, allora qualcuno parla-
va bene di me.
Se toccavo un gobbetto sulla gobba, non avrei avuto ma-
lattie.
Se mettevo uno spillo da balia sulla rotaia del treno, e il
treno ci passava, lo spillo sarebbe diventato un magnifi-
co paio di forbici nuove.
Se sentivo una voce e nessuno mi era vicino, allora erano
Iddio o il Diavolo che cercavano di palparmi.
Tutte le volte che orinavo ci sputavo dentro per buon
augurio.
Se mi prudeva il naso, qualcuno doveva venire a trovarmi.
Se canzonavo uno storpio, Iddio mi avrebbe fatto storpio.
Se nominavo il nome di Dio invano, Dio mi avrebbe ucciso
sul colpo.
Se pioveva e faceva il sole, era il diavolo che picchiava sua
moglie.
Se, in qualunque notte, le stelle scintillavano più del solito,
voleva dire che gli angeli in cielo eran felici e svolazzavano
sui pavimenti del paradiso, non essendo le stelle altro che
fori per ventilare il paradiso, lo scintillio era prodotto dagli
angeli che passavano e ripassavano sui fori per i quali l’aria
entrava nella santa dimora di Dio.
Se rompevo uno specchio, erano sette anni di guai.
Se ero buono con la mamma, sarei diventato vecchio e
ricco.
Se avevo un raffreddore e mi legavo una calza smessa e
sporca intorno alla gola prima d’andare a letto, l’indoma-
ni mattina ero guarito.
Se portavo un pezzettino di assafetida in una borsetta ap-
pesa al collo, non avrei preso malattie.
Se il mattino della domenica di Pasqua guardavo il sole
attraverso un vetro affumicato, avrei visto il sole urlare
le lodi di Dio risorto.
Se un uomo confessava qualcosa in punto di morte era la
verità; perché nessuno può guardare la morte e mentire.
Se si sputava su ogni chicco di grano seminandolo, il gra-
no veniva bello alto e faceva frutto.
Se versavo il sale, dovevo buttarne un pizzico dietro la
spalla sinistra per scacciare la mala sorte.
Se coprivo uno specchio durante un temporale, la folgo-
re non mi avrebbe colpito.
Se passavo sopra una scopa buttata a terra, avrei avuto
dei guai.
Se nel sonno passeggiavo, era Iddio che cercava di con-
durmi in qualche luogo a fare una buona azione per lui….
(Richard Wright, Ragazzo negro)