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Le strade del…. sono infinite…. (1) (2) (3) (4) (5) (7)
Da:
Ero stomacato… stomacato a morte di quella lenta
agonia, e quando alla fine mi slegarono e mi per-
misero di sedere, ebbi l’impressione che i sensi mi
abbandonassero.
La sentenza, la temuta sentenza di morte, era sta-
ta l’ultima percezione distinta a raggiungere le mie
orecchie.
Subito dopo, il suono delle voci degli inquisitori mi
pervenne come sommerso in un confuso sognante
indefinito brusio (come in un sogno).
Questo suono vago portava al mio spirito un’idea
di (rivoluzione) cinrconvoluzione, forse per associ-
azione fantastica con il ronzare da mulino.
Ma questa sensazione durò solo per poco, poiché
quasi subito non intesi altro.
Tuttavia, per un certo tempo, vidi, ma con quale
spaventosa esagerazione!
Vedevo le labbra dei giudici ammantati di nero.
Esse mi apparivano bianche, più bianche del fo-
glio su cui traccio queste parole, e sottili sino a
divenire grottesche; sottili tanto intensa e tesa
era la loro espressione di durezza, di risoluzio-
ne immutabile, di severo disprezzo dell’umana
tortura.
Vedevo che i voleri di quel che per me era il Fa-
to, ancora uscivano da quelle labbra (anche se
innocente che venga perseguitato).
Le vidi contorcersi in un favellare di morte e
riso, le vidi foggiare le sillabe del mio nome, e
rabbrividii poiché nessun suono ne usciva.
Vidi pure, durante alcuni attimi di delirante or-
rore, il lieve, pressoché impercettibile ondeggia-
re dei cortinaggi cupi che avvolgevano le mura
della camera.
Li vidi ridere dei miei studi.
Li vidi distruggere le fotografie.
Li vidi con abiti militari brindare in osterie.
Li vidi ridere nell’attesa dell’onda che li som-
merge.
Poi il mio sguardo cadde sulle sette lunghe can-
dele ritte sulla tavola.
Da principio assumevano l’aspetto della carità e
sembravano bianchi sottili angeli che mi avrebbe-
ro salvato; ma dopo, all’improvviso, penetrò nel
mio spirito un senso di nausea mortale e sentii
ogni fibra del mio corpo percorsa da una scossa
come se avessi toccato i fili di una pila elettrica,
mentre le forme angeliche divenivano spettri
senza senso, con la testa di fiamma, e capii che
non mi sarebbero venute in aiuto.
Poi penetrò nella mia mente, come una ricca no-
ta musicale, il pensiero di quanto doveva essere
dolce riposare in una tomba.
Il pensiero arrivò piano piano, furtivamente e
sembrò che passasse molto tempo prima che po-
tessi apprezzarlo; ma proprio quando il mio spi-
rito, alla fine arrivò a sentirlo nella maniera giu-
sta e a fissarlo, le figure dei giudici (o degli scri-
bi) svanirono, quasi magicamente, davanti a me;
le lunghe candele sprofondarono nel nulla, le lo-
ro fiammelle si spensero improvvisamente e so-
pravvenne il buio più profondo e più nero; tutte
le sensazioni apparvero come inghiottite in una
pazza precipitosa discesa, simile a quella dell’a-
nima nell’Ade.
Allora silenzio, immobilità e notte furono l’Uni-
verso.
Ero svenuto, ma non direi che ogni consapevolez-
za fosse perduta. Non tenterò di definire quello
che ne rimaneva e nemmeno di descriverlo; cer-
to non si era perduta tutta.
Nel più profondo sonno – no!
Nel delirio – no!
Nello svenimento – no!
Nella morte – no!
Perfino nella tomba non è tutto perduto. Altrimen-
ti non c’è immortalità per l’uomo. Svegliandoci dal
più profondo sonno, laceriamo il tessuto della ra-
gnatela di qualche sogno.
Già qualche istante dopo non ricordiamo di aver
sognato.
Nel ritorno alla vita dopo uno svenimento vi sono
due stadi: il primo è la sensazione della propria esi-
stenza mentale e spirituale; il secondo, la sensazio-
ne dell’esistenza fisica.
Sembra probabile che se, dopo aver raggiunto il se-
condo stadio, potessimo richiamare le impressioni
del primo, troveremmo queste impressioni ricche
di memorie dell’abisso dell’al di là.
…E cos’è questo abisso?
(Edgar Allan Poe, Il pozzo e il pendolo)
….Alfred Maury si sdraiava sul lettino o si accomoda
va sulla poltrona e cercava di prendere sonno; appe-
na si addormentava, il suo assistente lo svegliava e
subito Maury gli raccontava che cosa gli era passato
per la mente.
In alcuni esperimenti, l’assistente usava un insieme
di stimoli – pronunciava alcune parole, lo solleticava
con una piuma o teneva una candela accesa vicino ai
piedi di Maury – allo scopo di saggiarne l’inflenza sul
contenuto dei sogni.
A volte, il cervello di Maury trasformava lo stimolo
in una divertente fantasia. Quando il suo assistente
gli strinò le piante dei piedi con una candela, raccon-
tò di aver sognato di essere stato catturato da una
banda di rapinatori, i quali cercavano di scoprire do-
ve avesse nascosto il denaro sottoponendolo alla tor-
tura.
Oggi sappiamo che Maury non studiò i sogni del
sonno Rem, bensì le allucinazioni ipnagogiche, che
hanno una certa somiglianza con i sogni. I suoi re-
soconti, quindi, insegnarono che in effetti le impres-
sioni sensoriali possono avere una reale influenza
sulle allucinazioni ipnagogiche.
In ‘sommeil et les reves’, pubblicato nel 1861, Mau-
ry riassume le sue osservazioni e afferma che i so-
gni non sono nient’altro che un fenomeno che ac-
compagna le impressioni sensoriali assorbite prima
e durante il sonno.
Maury respingeva del tutto la possibilità che i sogni
avessero un qualche significato. Nella sua concezio-
ne psicologica del sogno ha un senso soltanto come
ricostruzione delle impressioni arrivate alla men-
te dall’interno o dall’esterno durante il sonno: le im-
pressioni si associano all’infanzia o ad altri ricordi
e in tal modo creano la storia del sogno.
E’ del tutto possibile che il nome di Maury non si
sarebbe mai guadagnato la fama cui arrivò se non
fosse stato per un sogno particolare che marcò per
decenni il modo di concepire i sogni e la loro forma-
zione: il sogno della ghigliottina…..