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… A volte qualcuno obietta che, se i criteri per questi giudizi
non sono, dopo tutto, coscienti, perché attribuiscono tali giu-
dizi alla coscienza?
In questo caso ci si lascerebbe però sfuggire l’essenza del-
le idee che sto cercando di esprimere. Non sto dicendo che
dobbiamo capire coscientemente in che modo formiamo le
nostre impressioni e giudizi coscienti.
Ciò comporterebbe proprio quella confusione di livelli a cui
ho accennato poco fa. Le ragioni che sono alla base delle
nostre impressioni coscienti sarebbero cose non accessi-
bili direttamente alla coscienza.
Esse dovrebbero essere considerate a un livello fisico più
profondo rispetto a quello dei pensieri reali di cui siamo
consapevoli.
Le impressioni coscienti stesse sono i giudizi (non algoritmici).
E’ stato in effetti un tema sotterraneo trattato precedentemen-
te, cioè nel nostro pensiero cosciente sembri esserci qualco-
sa di non algoritmico.
In particolare, concernente il Teorema di Godel, fu che, alme-
no in matematica, la contemplazione cosciente può permet-
tere talvolta di stabilire la verità di una proposizione in modo
inaccessibile a qualsiasi algoritmo.
In effetti gli algoritmi, di per sé, non sono mai in grado di sta-
bilire la verità! Sarebbe altrettanto facile far produrre a un algo-
ritmo solo delle falsità quanto fargli produrre solo delle verità.
C’è bisogno di intuizioni esterne per decidere sulla validità o
no di un algoritmo.
Sto suggerendo qui il contrassegno della coscienza sia pro-
prio questa capacità di divinare (o di distinguere ‘intuitivamen-
te’), in circostanze appropriate, la verità dalla falsità (e la bel-
lezza dalla bruttezza!).
Dovrei però chiarire qui che non intendo una qualche forma
di ‘congettura’ magica. La coscienza non è di alcun aiuto nel
tentativo di indovinare quale sarà il numero fortunato in una
lotteria (senza trucchi)!
Sto riferendomi ai giudizi che si formulano di continuo quan-
do si è in uno stato cosciente, riunendo tutti i fatti, le impres-
sioni dei sensi, le esperienze ricordate che possono essere
pertinenti, e ponderando le cose l’una rispetto all’altra, forman-
dosi addirittura, a volte, giudizi brillanti.
Anche quando, in linea di principio, sono disponibili informazio-
ni sufficienti per la formulazione del giudizio, il processo di for-
mulazione del giudizio appropriato – estraendo ciò che occorre
dalla grande congerie di dati – può essere qualcosa per cui non
esista alcun chiaro processo algoritmico (o, nel caso che esi-
sta, potrebbe non essere affatto pratico).
Forse ci troviamo in una situazione in cui, una volta che il giudi-
zio sia stato formulato, la verifica della sua esattezza potrebbe
essere compiuta con un processo algoritmico e potrebbe es-
sere più facile che non la formulazione originaria del giudizio.
(Roger Penrrose, La mente nuova dell’Imperatore)
(Fotografie di: Ole Salomonsen)