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Studiando i reperti fossili, i paleontologi hanno identificato
cinque episodi di estinzione di massa in un miliardo e mez-
zo di anni di evoluzione, il più recente dei quali avvenuto cir-
ca 65 milioni di anni fa, alla fine del Cretaceo, con la scom-
parsa dei dinosauri.
Le prime estinzioni di massa colpirono gli invertebrati ma-
rini e altre specie animali, mentre la flora subiva scarsi con-
traccolpi da questi episodi. In effetti, la diversificazione che
diede origine alle piante da fiore – che costituiscono oggi
quasi il 90% delle specie vegetali terrestri – avvenne a par-
tire dal Cretaceo; quindi sono piuttosto recenti in termini e-
volutivi.
Nell’attuale estinzione di massa, invece, le specie vegetali
subiscono perdite senza precedenti.
Uno studio su base mondiale del 1997, ha rilevato che dalle
240 mila specie esaminate, una su otto è a rischio di estin-
zione. Questo conteggio comprende specie a rischio, spe-
cie decisamente vulnerabili e specie così rare in natura o
così poco conosciute da essere minacciate dai disequili-
bri ecologici.
Oltre il 90% delle specie a rischio sono endemiche di un
solo paese, cioè introvabili in altre zone. La maggior parte
delle specie vegetali a rischio appartiene agli Stati Uniti, al-
l’Australia e al Sudafrica: questo è in parte dovuto al fatto
che la flora di questi paesi è molto più nota di quella di altri
paesi altrettanto ricchi di specie.
Sappiamo bene infatti quante piante sono diventate a ri-
schio di estinzione da quando la macchia di salvia e le pra-
terie perenni della California sono state cementificate o
coltivate, ma non sappiamo quante specie siano state per-
se mano a mano che le piantagioni di caffè e i pascoli han-
no preso il posto delle foreste dell’America Centrale, oppu-
re via via che le foreste pluviali dei bassopiani dell’Indone-
sia e della Malesia sono state sostituite da piantagioni di
palme e di alberi da taglio.
Non sono soltanto singole specie, ma intere famiglie ed eco-
sistemi a confrontarsi con l’estinzione. Le foreste di alloro del-
le Ande, le foreste di querce della Colombia, le brughiere del-
l’Australia occidentale, le foreste stagionalmente aride delle i-
sole del Pacifico della nuova Caledonia, sono state tutte so-
vrasfruttate dall’uomo.
Nel sud-est della Florida intere famiglie di piante, come quelle
a legno duro delle macchie subtropicali o quelle delle pinete dei
terreni, sono ormai circoscritte in minuscoli appezzamenti all’in-
terno di una distesa di centri suburbani, campi di canna da zuc-
chero e agrumeti. Questi residui insostituibili di ciò che era un
tempo il sud-est della Florida vengono oggi mantenuti in vita
grazie al costante controllo dell’uomo che tenta di arginare l’in-
vasità delle piante esotiche, come il pepe brasiliano e la ca-
suarina australiana.
Si ha perdita di biodiversità anche quando scompaiono cep-
pi genetici all’interno delle specie.
L’importanza della biodiversità è soprattutto evidente se si
prende in esame il problema della nostra alimentazione. Cir-
ca un terzo delle specie vegetali offre frutti, tuberi, noci, semi,
foglie, fusti o radici commestibili.
Per i nove decimi della storia umana in cui l’uomo è vissuto di
caccia e di raccolta, la cultura media doveva avere conoscen-
za di parecchie centinaia di specie di piante commestibili che
potessero fornire sostentamento. Ancora oggi gli alimenti sel-
vatici integrano la dieta di milioni di persone in tutto il mondo
rurale povero, soprattutto durante le stagioni meno favorevoli.
In Nigeria per esempio, le donne Tuareg mietono il panìco e
il miglio shama dei terreni desertici durante la migrazione sta-
gionale delle mandrie.
Nelle regioni rurali del nord-est della Tailandia, durante la sta-
gione delle piogge gli alimenti selvatici raccolti nella foresta e
ai margini dei campi forniscono la metà del cibo a disposizio-
ne dei villaggi.
Nei mercati della città di Iquito, nell’Amazzonia peruviana, si
vendono i frutti di circa 60 specie selvatiche di alberi, arbusti e
vitigni e si calcola che gli abitanti delle vicine zone rurali traggo-
no un decimo della loro alimentazione dai frutti selvatici.
Negli ultimi 5-10 millenni, l’uomo ha coltivato gran parte del pro-
prio cibo. L’agricoltura ha avuto inizio in modo indipendente nel-
le diverse regioni, via via che gli uomini cominciavano a vivere a
più stretto contatto gli uni con gli altri, abbandonando il nomadi-
smo e affidando la produzione alimentare alle piante più adatte al-
le ripetute semine e mietiture.