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Se attribuiamo alla parola moralità il significato di rispetto costante
di certe convenzioni sociali e di repressione permanente degli impulsi
egoistici, è evidente che le folle sono troppo impulsive e troppo mute-
voli per essere sensibili ai problemi morali.
Ma se nel concetto di moralità intendiamo far rientrare anche il mani-
festarsi momentaneo di certe qualità, come l’abnegazione, la dedizio-
ne, il disinteresse, il sacrificio di sé, il bisogno di giustizia, possiamo
dire che le folle al contrario, sono a volte capaci di raggiungere una
moralità molto alta.
I rari psicologi che hanno studiato le folle, lo hanno fatto soltanto
dal punto di vista criminale, e, notando quanto i delitti collettivi
siano frequenti, hanno attribuito alle folle un livello morale molto
basso.
Senza dubbio.
Spesso è così.
Ma perché?
Semplicemente perché gli istinti di ferocia distruttiva sono residui
di età primitive assopiti nel fondo di ciascuno di noi.
Per l’individuo isolato sarebbe pericoloso il soddisfarli; ma per l’in-
dividuo che si trova nel mezzo di una folla irresponsabile, dove l’im-
punità è assicurata, non ci sono ostacoli alla libertà di seguire quegli
istinti.
Dato che attualmente non possiamo dare sfogo agli istinti distruttivi
sui nostri simili, ci limitiamo a soddisfarli sugli animali.
La passione per la caccia e la ferocia delle folle derivano da una mede-
sima fonte.
La folla che fa lentamente a pezzi una vittima indifesa dà prova di una
crudeltà codarda; ma non tanto dissimile, per il filosofo, da quella dei
cacciatori che si radunano a dozzine per godere lo spettacolo di un po-
vero cervo dilaniato dai cani.
Se la folla è capace di uccidere, di INCENDIARE e di commettere ogni
sorta di crimini, è pure capace di atti di sacrificio e di disinteresse molto
più elevati di quelli che son di solito compiuti dall’individuo isolato.
E’ soprattutto sull’individuo immerso nella folla che si può agire invo-
cando sentimenti di gloria, di onore, di religione o di patria.
Le folle che scioperano lo fanno molto più per obbedire a una parola
d’ordine che per un aumento di salario. L’interesse personale è di rado
un impulso potente presso le folle, mentre costituisce l’impulso quasi
esclusivo dell’individuo isolato.
Non fu certo tale impulso che guidò le folle in tante guerre, di cui il
più delle volte non intesero la ragione, e nelle quali si lasciarono tru-
cidare come allodole ipnotizzate dallo specchietto del cacciatore.
Talvolta perfino i più incalliti furfanti, per il solo fatto di essere riu-
niti in folla, fanno propri i principii della più rigorosa moralità.
La moralizzazione di un individuo per mezzo della folla non è
certo regola costante, ma la si può osservare di frequente e perfino
in circostanze molto meno gravi di quelle citate.
In teatro la folla esige dal protaganista virtù esaltanti e il pubblico,
anche se composto da individui inferiori, si mostra a volte molto
rigoroso in fatto morale.
Il gaudente di professione, lo sfruttatore di donne, il teppista beffar-
do protestano spesso per una scena un po’ arrischiata o una battuta
frivola, davvero innocua in confronto al loro abituale linguaggio.
Le folle, dunque, che spesso si abbandonano a bassi istinti, danno
a volte esempio di moralità elevata.
Se il disinteresse, la rassegnazione, la dedizione assoluta a un ideale,
chimerico o reale, sono virtù morali, si può dire che le folle possie-
dono in certi casi queste virtù a un grado che i più saggi filosofi han-
no raramente raggiunto.
Esse senza dubbio le praticano incosciamente, ma che importa?
Se le folle avessero ragionato spesso, e consultato i loro interessi im-
mediati, forse nessuna civiltà si sarebbe sviluppata sulla superficie
di questo pianeta, e l’umanità non avrebbe storia.
Non si può escludere in modo assoluto che le folle siano influenza-
bili dai ragionamenti.
Ma gli argomenti che esse impiegano ed accolgono appaiono, dal
punto di vista logico d’un ordine morale inferiore che soltanto per
analogia possono essere definiti ragionamenti.
I ragionamenti inferiori delle folle, come i ragionamenti elevati,
sono basati su associazioni: ma le idee che le folle associano, hanno
tra loro soltanto legami apparenti di somiglianza o di successione.
Si collegano tra loro come quelle di un eschimese, il quale, sapendo
per esperienza che il ghiaccio, corpo trasparente, si scioglie in bocca,
ne deduce che il vetro, corpo pure trasparente, deve ugualmente fon-
dersi in bocca; o come quelle del selvaggio che immagina di acquis-
tare il coraggio di un nemico valoroso se ne mangia il cuore; o ancora
come quelle dell’operaio il quale, sfruttato da un padrone, ne deduce
che tutti i padroni sono sfruttatori.
Associazioni di cose dissimili prive di rapporti apparenti e generaliz-
zazioni immediate di casi particolari, tali sono le caratteristiche della
logica collettiva.
Gli oratori che sanno maneggiare le folle, ricorrono sempre ad associa-
zioni di questo tipo. Sono le sole che possono avere effetto. Una catena
di ragionamenti rigorosi sarebbe totalmente incomprensibile alle folle
e per questo è concesso dire che esse non ragionano o ragionano a vuoto,
e non sono influnzabili da un ragionamento.
Talvolta, se ci limitiamo soltanto a leggerli, ci meravigliamo che certi
discorsi abbiano avuto enorme effetto sul pubblico; ma dimentichiamo
che quei discorsi furono concepiti per affascinare le collettività, e non
per essere letti da filosofi.
L’oratore in rapporto intimo con la folla sa evocare le immagini che la
seducono. Se vi riesce, il suo scopo è stato raggiunto, e un volume di
arringhe non vale le poche frasi capaci di conquistare le menti che biso-
gnava convincere.
Inutile aggiungere che l’impossibilità di ragionare nel modo giusto priva
le folle di ogni spirito critico, vale a dire della capacità di discernere la ve-
rità dall’errore e di formulare un giudizio preciso.
I giudizi che esse accettano sono sempre giudizi imposti e mai giudizi
discussi.
Da questo punto di vista sono numerosi gli individui che non sanno
elevarsi sopra il livello delle folle.
La facilità con cui certe opinioni si diffondono deve essere collegata
soprattutto all’impossibilità, per la maggior parte degli uomini, di
formarsi un’opinione personale, basata sui propri ragionamenti.
(G. Le Bon, Psicologia delle folle)