IL POPOLO DEGLI ABISSI

Altre pagine dello stesso autore:

il-giorno-dell-incoronazione.html &

l-uomo-e-la-natura-ciao-bellezza-14.html

Prosegue in:

il-popolo-degli-abissi-2.html

paginedistoria.myblog.it

 

 

 

 

 

 

In una società decisamente materialistica e fondata sulla proprietà,

non sull’anima, è inevitabile che la proprietà sia più pregiata dell’

anima e che i crimini contro la proprietà siano considerati molto

più gravi dei crimini contro la persona.

Ridurre la propria moglie in poltiglia e romperle qualche costola

è un reato insignificante rispetto a dormire all’aperto sotto le stelle

perché non si hanno soldi per un letto.

Un ragazzino che ruba qualche pera a una florida compagnia ferro-

viaria costituisce per la società una minaccia molto più grande del

giovane energumeno che aggredisce senza motivo un vecchio di

settant’anni. E la ragazza che per prendere una stanza in affitto finge

di avere un lavoro commette una violazione così grave che deve es-

sere severamente punita, se non si vuole che lei e quelle come lei

facciano crollare con fragore l’intero edificio della proprietà.

Se si fosse messa a passeggiare per Piccadilly e lo Strand dopo mez-

zanotte, la polizia non l’avrebbe importunata e lei avrebbe avuto di

che pagarsi l’affitto.

Alcuni esempi che seguono sono tratti dai rapporti dei tribunali per

reati minori di una sola settimana.

Tribunale per reati minori di Widnes:

Davanti ai consiglieri Gossage e Neil. Thomas Lynch, accusato di

ubriachezza molesta e di aggressione contro un agente.

L’imputato ha impedito l’arresto di una donna, ha preso ha calci un

agente e gli ha tirato delle pietre. Multa di 3 scellini e 6 pence per il

primo reato, di 10 scellini più le spese per l’aggressione.

Tribunale per reati minori di Shaftesbury:

Davanti al sindaco, il signor A.T. Carpanter. Thomas Baker, accusato

di aver dormito all’aperto. Quattordici giorni.

Tribunale per reati minori del borgo di Reading:

Davanti ai signori W.B. Monck, F.B. Parfitt, H. M. Wallis e G. Gillagan.

Alfred Masters, di 16 anni, accusato di aver dormito all’aperto e di non

avere mezzi visibili di sussistenza. Sette giorni.

Tribunale per reati minori della contea di Southampton:

Davanti all’ammiraglio J.C. Rowley, al signor H.H. Culme-Seymour e

ad altri magistrati.  Henry Thorrington, accusato di aver dormito all’

aperto. Sette giorni.

(Jack London, Il popolo degli abissi)

 

 

 

 

 

giulianolazzari1.jpg

 

IL GIRO DELLA MORTE DEL DOTTOR CLARK

Prosegue in:

la-cauzione.html 

 

 

il giro della morte del dottor clark

 

 

 

 

 

 

Mi sono chiesto spesso cosa avrebbe fatto il babbo se avesse

saputo che proprio in quell’anno avevo anche bevuto il mio

primo sorso di whisky.

Era successo durante le nostre vacanze estive a Muskegon.

Mi avevano dato dei piccoli sorsi di birra anche da bambino.

Molte persone in quegli anni pensavano che la birra fosse una

bevanda sana, a metà tra un tonico e una medicina.

Le attribuivano persino una integrità morale, parlando di un’

onesto boccale di birra’.

Ma per il whisky era diverso.

 

BusterKeaton_in-a-bar.jpeg

 

Come ci dicevano i preti e gli editoriali dei giornali, il whisky

era il male in persona, e sembrava che venisse distillato all’infer-

no.

Il mio primo bicchiere me lo feci con un amico di Bluffton, Lex

Neal. A quei tempi aveva 19 anni, due più di me, poi diventò un

autore di testi di canzoni, e scrisse anche le gag per me. Era stato

appena lasciato dalla bellezza locale, ed ero indignato più io che

lui.

Ma non mi ricordo più il suo nome.

Mi ricordo che era la figlia del Commissario per gli Acquedotti

della Contea di Muskegon.

– Ti proverò che sono un amico vero,

gli dissi,

– non facendoti ubriacare da solo. Mi ubriacherò anche io.

Sembrava un giorno perfetto. Oltre alla tragedia amorosa di Lex, la

nostra squadra di baseball aveva perso l’ennesima partita. Né io né

 

Picnic 3.JPG

 

Lex avevamo il coraggio di chiedere una bottiglia di whisky nell’

unico bar di Bluffton, la Pasco’s Tavern. Chiedemmo al signor Fe-

eney, il proprietario di un campeggio per turisti, di comprarla per

noi.

L’impresa presentava però una difficoltà, perché il campeggio –

che poi erano baracche e tende per chi voleva fare dei pcnic – era

su un rialzo del terreno alto venti metri. Si arrivava al campeggio

di Feeney salendo una traballante scala a pioli. Quando il gentile

Feeney tornò con il whisky, io e Lex bevemmo tutta la bottiglia in

due scambiandoci riflessioni filosofiche sulla perfida natura delle

donne.

Ci promettemmo anche reciprocamente di non sposarci mai, per

quanto fossero belle le ragazze che volevano intrappolarci.

Al calar della sera io ero cotto. Ma Lex, forse perché aveva avuto

qualche altra esperienza con il whisky, era in condizioni un po’

migliori delle mie.

Fece del suo meglio per aiutarmi a scendere dalla scala a pioli di

Feeney. Ma era una notte senza luna, e dopo uno scalino o due

 

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caddi giù senza farmi male, perché la sabbia era soffice e coperta

da erba molto folta. La mia caduta fece capire a Lex che non ero

in grado di andare a casa. Mi portò a casa sua dove la madre, una

vecchia fragile donna del Sud che fumava con una pipa di tutolo,

mi mise a letto e mi aiutò, il mattino dopo, a superare i postumi

della terribile sbornia.

Dopo quell’esperienza non ho bevuto mai più il whisky fino a

quando, anni dopo, non andai soldato nella Prima guerra mon-

diale.

Per circa dieci anni la mia vita seguì lo stesso andamento, fatto di

estati di sogno a Booth Tarkington e di inverni passati a fare il clown

in giro per la nazione. Mi è sempre piaciuto esibirmi. Ma era un lavo-

ro duro, e c’erano dei momenti in cui non era molto divertente.

Per esempio capitò, era una mattina di lunedì, che dovemmo allun-

gare a un’ora e mezza il nostro show di 17 minuti mentre lo spettacolo

che veniva dopo di noi sistemava l’attrezzatura dietro le quinte.

Quell’attrezzatura era difficile da montare, lo show era una acrobazia

motociclistica chiamata ‘Il Giro della Morte del dottor Clark’.

 

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Era un’immensa sfera fatta di strisce di acciaio poste a poca distanza

l’una dall’altra. Un motociclista vi entrava dentro, cominciava andando

piano nella parte inferiore della sfera, poi accelereva e saliva sempre

più in alto. L’apice dello spettacolo veniva quando cominciava a fare

il giro della morte, a testa in giù, dentro la sfera….

(Buster Keaton, Memorie a rotta di collo)

 

 

 

 

 

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DAL ‘BATTERIO’ A PASTEUR (11)

Precedente capitolo:

ora-torniamo-indietro-ad-una-remota-onda-10.html

Prosegue in:

dal-batterio-a-pasteur-12.html

 

 

 

 

 

 

Da una lettera di Pasteur a Raulin:

 

Credo ad un’influenza cosmica asimmetrica che presiede

naturalmente, costantemente, all’organizzazione molecolare

dei principi immediatamente essenziali alla vita, e che di 

conseguenza le specie dei regni della vita sono, nella loro

struttura, nelle loro forme, nelle disposizioni dei loro tessu-

ti, in relazione con i movimenti dell’universo.

 

Si tratta solo di confidenze da cui noi possiamo solamente

notare come esse non siano riservate ai vecchi maestri vene-

rati, come lo erano una volta quelle fatte al fisico e astrono-

mo J. B. Biot o, più di recente quelle di Dumas.

Pasteur ora le estende ai giovani collaboratori. Ma la sua au-

dacia si concretizza solo nel momento in cui renderà di do-

minio pubblico la sua convinzione nell’origine cosmica dell’

asimmetria molecolare. 

Ha scelto di farlo in una nota destinata all’Accademia delle

scienze. Dichiara:

 

Azioni asimmetriche presiedono, lungo il corso della vita,

all’elaborazione di veri principi asimmetrici. Quale può es-

sere la natura di queste azioni asimmetriche? Penso, da parte

mia che siano d’ordine cosmico. L’universo è un insieme asim-

metrico, e sono persuaso che la vita come a noi si manifesta, è

funzione dell’asimmetria dell’universo o delle conseguenze

che essa comporta….. Il movimento della luce solare è asim-

metrico. Mai un raggio luminoso colpisce con una linea dritta

la foglia dove la vita vegetale crea la materia organica. 

 

In alcune annotazioni personali che rimarranno inedite per 

quasi un secolo, ha precisato il proprio pensiero con parole

ancora più precise:

 

La causa dell’asimmetria molecolare di prodotti organici natu-

rali è forse interamente nel movimento solare. Le vibrazioni lu-

minose hanno la facoltà di decomporre le molecole di gas carbo-

nico e queste vibrazioni si muovono da est verso ovest. E’ un 

caso che la direzione di questo movimento sia nella stessa dire-

zione che prendono gli atomi di carbone e di ossigeno nel mo-

mento in cui uscendo dalla combinazione CO2, entrano nelle

molecole dette cellulose, acido tartarico, etc?

 

E ancora, immaginando che la scienza possa un giorno inter-

venire nell’asimmetria molecolare, aggiunge:

 

Chi può dire cosa diventerebbero le specie vegetali o animali,

se fosse possibile sostituire nelle cellule viventi la cellulosa, l’-

albumina e i loro consimili con i loro inversi? (cioè immagini

fedeli, ma non sovrapponibili, come quelle che potrebbe resti-

tuire uno specchio). 

 

Nonostante non indietreggi davanti a problemi così ardui, 

Pasteur si proibisce di dare una risposta, definendo le conse-

guenze possibili delle manipolazioni appena immaginate.

Innanzitutto, si spaventa di concepire un’azione umana che

sconvolgerebbe l’ordine della creazione e arrivasse perciò a

negare l’esistenza del Creatore. 

Sente persino il bisogno di predicare la fede religiosa e la do-

cilità di spirito che ne deriva subito dopo aver formulato que-

ste ipotesi. Si tratta, in gran parte, del discorso che pronuncia

in occasione della consegna dei premi, al collegio d’Arbois.

 

Protesto energicamente contro l’intromissione della scienza

nei problemi che riguardano l’origine e la fine delle cose. 

Sfortunatamente, esiste oggi una corrente di libero pensiero,

nella eccezione negativa del termine, che vorrebbe a tutti i

costi fare entrare la scienza in questi problemi….. La scienza

non deve assolutamente preoccuparsi delle conseguenze fi-

losofiche delle sue ricerche……….

(Prosegue….)

 

 

 

 

 

dal batterio a pasteur 11

       

L’ERRORE DI EINSTEIN (a proposito di un esperimento) (9)

Precedente capitolo:

ma-e-un-onda-o-una-particella-8.html

Prosegue in:

ora-torniamo-indietro-ad-una-remota-onda-10.html

Aggiornamento sulla questione del neutrino:

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Il mio ultimo libro…

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Il contrario di una verità qualsiasi è falso,

ma il contrario di una verità profonda….

è un’altra verità profonda.

(N. Bohr)

 

 

l'errore di einstein 9

 

 

 

 

 

 

 

Finora abbiamo visto una serie di esperimenti che ci hanno

illustrato diverse manifestazioni fondamentali della mecca-

nica quantistica.

Abbiamo mostrato che il nostro mondo è governato da leggi

che comprendono stranezze come la ‘casualità’, la ‘sovrapposi-

zione’ e l’ ‘entanglement’ e che siamo in difficoltà se tentiamo

di conciliare queste affermazioni con il nostro cosiddetto buon

senso.

Ragione per cui il rapporto che si crea fra teoria e senso comu-

ne, è una ‘costante’ nell’evoluzione di qualsivoglia ricerca scien-

tifica.

L’affermazione di Richard Feynman a tal proposito, è degna di

nota:

Credo di poter sostenere con sicurezza che oggi nessuno capisce

la meccanica quantistica.

 

l'errore di einstein 9

 

Proprio il dibattito, confronto, e successiva ‘coniugazione’ di 

due principi così diversi, ha suscitato, e sotto certi aspetti, conti-

nua a suscitare un costante ‘dialogo’, per interpretare, vedere, e

capire l’Universo e con esso la natura che ci circonda.

E con essa un probabile architetto.

Gli addetti ai lavori sanno, che fin dall’inizio, Einstein aveva ri-

conosciuto seri problemi concettuali emersi con la nuova teoria 

quantistica e che, soprattutto, non volesse accettarne il ruolo im-

portante.

Non stupisce che Einstein fosse convinto della necessità di trova-

re una spiegazione più profonda per i fenomeni quantistici e che

fosse del tutto in disaccordo con la visione di Bohr. 

 

l'errore di einstein 9

 

In particolare, naturalmemente, non poteva accettare l’idea che e-

sistessero grandezze fisiche – quindi proprietà di particelle e siste-

mi – non solo a noi sconosciute, ma intrinsecamente non determina-

te; non poteva accettare il fatto che, per esempio nel caso della dop-

pia fenditura, osservare la figura di interferenza ci pregiudichi del

tutto la grandezza complementare, cioè la traiettoria assunta dalla

particella, che non è nemmeno concepibile come proprietà della par-

ticella stessa. 

Einstein cercò di confutare queste argomentazioni negandone le

basi. Nel tentativo di dimostrare che in alcuni casi era possibile

trovare due grandezze complementari insieme, propose alcuni

esperimenti concettuali molto raffinati.

I dibattiti tra Einstein e Bohr si svolsero principalmente nell’am-

bito di vari congressi tra il 1927 e il 1930. Anni dopo Bohr trascris-

se queste discussioni, dal suo punto di vista, nell’articolo ‘Discus-

sions with Einstein’, pubblicato nel 1948 nella bellissima raccolta

‘Albert Einstein: Philopher-Scientist’.

 

l'errore di einstein 9

 

……Da un lato abbiamo bisogno di un’idea forte, un principio pri-

mo su cui costruire la nostra teoria. Dall’altro dobbiamo risponde-

re a una domanda che sorge subito spontanea e che alla fine si di-

mostra il vero nocciolo della questione: che cosa significano le sco-

perte della fisica quantistica per la nostra concezione del mondo?

In altre parole: poiché la nostra visione del mondo, legata alla quo-

tidianità, non si trova d’accordo con la fisica quantistica, è forse

possibile che il cosiddetto ‘buon senso’ non sia poi così buono, e

che dobbiamo cambiare qualcosa nella nostra visione del mondo?

…Sicuramente!

Prima di dedicarci al compito di trovare un principio fondamenta-

le della fisica quantistica, diamo uno sguardo al ruolo che questi

principi di base hanno avuto in fisica. 

La storia ci ha mostrato con sempre maggior chiarezza che al mon-

do esistono poche idee fondamentali, incredibilmente semplici e

razionali, sulle quali si può costruire un intero edificio teorico.

Questi principi così fondamentali che devono valere sempre e dap-

pertutto: se fossero confutati, l’intero edificio concettuale crollereb-

be.

 

l'errore di einstein 9

 

Prendiamo come esempio la teoria della relatività di Einstein, anzi

le due teorie della relatività….., bene, entrambi questi principi fonda-

mentali, sui quali si basano la relatività ristretta e quella generale,

presentano una caratteristica interessante. 

In fondo l’importante è ciò che si può, o in questo caso…non si può,

dire in base all’osservazione. Per l’appunto non è possibile, nemme-

no tramite gli esperimenti più avanzati, stabilire senza guardare fuo-

ri dal finestrino la velocità del treno su cui si viaggia; e allo stesso

modo non è possibile conoscere la natura dell’accelerazione che si

subisce. Questi principi fondamentali hanno inoltre in comune il

fatto di essere molto semplici e, per così dire, razionali – ma natu-

ralmente ciò che ci appare razionale può forse dipendere da un

pregiudizio.

 

l'errore di einstein 9

 

Armati di questi esempi, andiamo ora alla ricerca di un’idea fonda-

mentale dello stesso tenore sulla quale fondare la fisica quantistica. 

Dobbiamo però distinguere questo principio dall’assiomatizzazio-

ne, già consolidata, della fisica quantistica, che è data da una serie

di presupposti fondamentali per il calcolo, spesso di natura forma-

le.

Uno di questi è per esempio l’assioma secondo il quale gli stati quan-

tistici sono definiti in uno spazio molto astratto, il cosiddetto spazio

di Hilbert; un altro importante è quello che formalizza il meccanismo

della sovrapposizione. Questi assiomi sono adatti a dare una base so-

lida alla struttura matematica della fisica quantistica, ma sono tutt’

altro che intuitivi o immediatamente chiari, e quindi non sono ciò

che (pensiamo) cercare nella semplicità prima enunciata (alla base

del tutto). 

Proprio le basi di questa semplicità vanno discusse.

Come fu allora il problema teorico di porsi difronte ad un esperi-

mento. Quando vogliamo trovare un’affermazione fondamentale

che sia semplice, ci sembra razionale e, se possibile, che si allacci

direttamente, a ciò che (riteniamo) osservabile.

 

l'errore di einstein 9

 

Naturalmente non è da escludere la possibilità che non riusciremo

a trovare alcun principio fondamentale. Forse il mondo è davvero

troppo complesso perché la mente umana possa afferrarlo in tutti

i casi.

Comunque è già di per sé stupefacente il fatto che sia possibile sco-

prire dei principi. Perché il mondo si lascia in certi casi ridurre a 

pochi principi fondamentali e non è così complesso da renderci sem-

pre e comunque impotenti a spiegarlo?

L’idea che il mondo sia decisamente troppo complicato è sempre

stata molto diffusa, ed è tuttora condivisa da molti.

La nascita delle religioni monoteiste può essere considerata un pri-

mo tentativo per cercare di venirne a capo. Forse non è poi così stra-

no che le scienze moderne siano nate in Europa, in una civiltà che 

interpreta la divinità, nella tradizione giudaico-cristiana, in modo

‘semplice’, come un Dio unico e solo!!

(A. Zeilinger, il velo di Einstein)

 

 

 

 

 

 

l'errore di einstein 9

       

C’E’ MOLTA STRADA DA FARE (per comprendere la natura) (7)

Precedente capitolo:

un-mondo-allo-specchio-6.html

Prosegue in:

ma-e-un-onda-o-una-particella-8.html

In riferimento all’esperimento dei neutrini leggi anche:

i-neutrini-non-sono-piu-veloci-della-luce_C12.aspx & 

http://blog.focus.it/quantum-beat/2012/02/22/neutrini-puo-essere-un-errore/

Aggiornamento alle ore 18,30:

ereditato-opera-neutrini-19415.html


 

 

c'è molta strada da fare 7

  

 

 

 

 

Se si vuol capire la Natura la strada è questa…

Prendiamo una luce monocromatica molto flebile (un fotone al-

la volta) che viaggia dalla sorgente in S al rilevatore in D. 

Tra la sorgente e rilevatore interponiamo uno schermo in cui vi

sono 2 piccolissimi fori, in A e in B, distanti tra loro alcuni milli-

metri.

Sia A allineato con S e con D, mentre B, trovandosi lateralmente,

non è sulla stessa linea. 

Quando il foro in B è chiuso, il rilevatore in D ticchetta con una

certa frequenza, corrispondente al numero di fotoni che arrivano

attraverso A: mettiamo che faccia una media un ‘clic’ ogni 100 fo-

toni partiti da S.

Se si chiude il foro A e si apre quello in B, il contatore ticchetta in

media quasi con la stessa frequenza, dato che i fori sono molti pic-

coli. 

Quando entrambi i fori sopo aperti, otteniamo una risposta compli-

cata perché si verifica interferenza: per certe distanze tra i due fori

il numero di scatti del rilevatore è maggiore del 2% che ci si aspet-

ta; per distanze anche pochissimo diverse non si verifica alcun scat-

to.

Verrebbe spontaneo pensare che l’apertura di un secondo foro deb-

ba sempre aumentare la quantità di luce che arriva nel rilevatore,

ma nella realtà non accade così.

Pertanto è sbagliato dire che la luce viaggia ‘seguendo questo

percorso oppure quest’altro’.

Io stesso mi sorprendo talvolta a dire: ” O andrà di qua o andrà di

là”, ma nel dire così devo tenere a mente che in realtà sto parlando

di ampiezze da sommare: il fotone ha un’ampiezza relativa a un

percorso e un’ampiezza relativa all’altro percorso. Se le 2 ampiezze

sono opposte non arriva luce nel punto considerato, anche quando,

come nel nostro caso, entrambi i fori sono aperti.

Ed ecco un’ulteriore complcazione nello strano comportamento del-

la Natura.

Supponiamo di mettere, in A e in B, oppurtuni rivelatori che indichi-

no attraverso quale dei 2 fori passa il fotone quando sono entrambi

aperti.

Poiché la probabilità che un fotone vada da S a D dipende dalla

distanza tra i fori, il fotone deve per forza dividersi in 2 furtivamen-

te e poi ricomporsi di nuovo.

Giusto?

Secondo questa ipotesi, i rivelatori in A e in B dovrebbero sempre

scattare insieme, mentre il rivelatore in D dovrebbe scattare con pro-

babilità da 0 al 4%, a seconda della distaza tra i fori A e B.

Invece, nella realtà, i rivelatori in A e in B non scattano mai assieme:

o scatta A o scatta B.

Il fotone non si divide in 2: o segue un percorso o segue l’altro.

Inoltre in presenza dei rivelatori A e B il rivelatore in D scatta esat-

tamente il 2% delle volte, la semplice somma delle probabilità per i

percorsi A e B: 1% + 1%. 

Tale valore non è influenzato dalla distanza tra A e B; l’interferenza

scompare se si pongono dei rivelatori in A e in B!

La Natura ha congegnato le cose così bene che non riusciremo mai a

capire dove sta il trucco: inserendo gli strumenti opportuni possiamo

stabilire qual’è il percorso seguito dalla luce, ma i bellissimi effetti di

interferenza scompaiono.

Se non ci sono strumenti rivelatori, gli effetti di interferenza ritornano!

Decisamente molto strano!

( R. P. Feynman, QED)

 

 

 

 

 

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UN MONDO ALLO SPECCHIO (5)

Precedenti capitoli:

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un-mondo-allo-specchio-6.html

Il mio ultimo libro: 

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un mondo allo specchio

 

 

 

 

 

 

 

Fu senza dubbio per amore di simmetria che sin dalla fine del

XIX secolo Arthur Schuster, un fisico britannico immaginò l’esi-

stenza di un mondo specchio di antimateria, i cui atomi aveva-

no proprietà esattamente opposte – ma in che senso opposte?

– a quelle degli atomi della materia ordinaria.

Intuizione generale, ma senza prospettive per il futuro in assen-

za di un formalismo che ne potesse sostenere l’elaborazione. La

vera costruzione dell’antimateria avrebbe dovuto attendere an-

cora trant’anni finché  la meccanica quantistica cercò di coniugar-

si con la relatività ristretta.

 

un mondo allo specchio

 

Mentre la meccanica classica di Newton descrive oggetti capaci

di spostarsi a velocità arbitrariamente grandi, la meccanica rela-

tivistica, al contrario, stabilisce che non si può andare più rapidi

della velocità della luce (???….).

La meccanica newtoniana è dunque solo un’approssimazione del-

le meccanica relativistica, quella della velocità deboli rispetto al-

la velocità della luce. Allo stesso modo, la meccanica classica di

Newton, quella delle certezze, è solo un’approssimazione di quel-

la quantistica, che è una meccanica delle probabilità.

Mentre nella meccanica di Newton gli oggetti hanno una velocità

e una posizione perfettamente definite, la meccanica quantistica ri- 

conosce che tale certezza non è assoluta, e anzi può essere del tut-

to impossibile parlare simultaneamente della velocità e della po-

sizione di una molecola. 

 

un mondo allo specchio

 

La relatività ideata da Einstein aveva avuto all’epoca una buona

accoglienza. Fu dunque assolutamente naturale, verso la fine de-

gli anni venti, per il fisico britannico Paul Dirac, lanciarsi alla ri-

cerca di una equazione che predicesse il comportamento degli e-

lettroni, e che fosse quantistica pur basandosi sulle equazioni del-

la relatività ristretta e non su quelle della meccanica newtoniana.

Se infatti si voleva che l’edificio della fisica conservasse la sua coe-

renza, diventava urgente cercare di costruire un’equazione che re-

golasse insieme il sistema quantistico e quello relativistico.

Dirac era guidato dalla ricerca della simmetria.

Dal momento che era previsto dalle sue equazioni, secondo lui

quel mondo specchio doveva esistere da qualche parte e avere lo

stesso rilievo del mondo della materia: 

Se accettiamo la visione di una completa simmetria fra cariche po-

sitive e negative nelle leggi fondamentali della natura, allora dob-

biamo considerare accidentale il fatto che la Terra contenga perlo-

più elettroni negativi e protoni positivi. Può darsi infatti che esista-

no altrettante stelle di due tipi. I due tipi di stelle avrebbero esatta-

mente lo stesso spettro luminoso e non ci sarebbe modo di distin-

guerle con gli attuali metodi astronomici. 

 

un mondo allo specchio

 

Dirac enuncia qui due questioni fondamentali: se la teoria non è in

grado di distinguere fra materia e antimateria, ed esiste un mondo

di antimateria equivalente al nostro, allora dove si nasconde?

E come si deve discutere con i  mondi lontani per sapere in anticipo

se l’incontro tra i ‘rappresentanti’ dei due mondi porterà ad abbracci

fraterni o viceversa a una castrofica esplosione?

Secondo Dirac, il problema principale posto dalle risoluzioni di ener-

gia era legato all’instabilità del vuoto che sembra implicare la loro

esistenza: in effetti, queste equazioni suggeriscono che, senza fornire

energia, ossia in modo completamente gratuito, si potrebbe produrre

una coppia di molecole – l’una di energia positiva, l’altra di energia

negativa – contrapposte e di grandezza indeterminata. 

 

un mondo allo specchio

 

In altri termini, niente impedirebbe al vuoto, la cui energia è nulla

di essere instabile, mentre in realtà chiunque sa che non si ha niente

senza niente, e che senza apporti esterni il vuoto resta disperatamente

vuoto….. 

(…prosegue ……)

 

 

 

 

 

 

un mondo allo specchio

  

FRAMMENTI IN RIMA

 

Prosegue in:

Pagine di storia in rima

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Pietro Autier (fotoblog)

Libri, pensieri, dialoghi, rime e poesie….

i miei libri

Un sito:

Giuliano Lazzari &

Dialoghi con Pietro Autier 2

 

 

frammenti in rima

 

 

 

 

 

 

Approfitto (come rarissimamente mi sono permesso…), per

presentare, con l’unico mezzo in mio potere, (la casta non

concede vita autonoma ad iniziative ‘diverse e utopistiche),

l’ultimo mio libro.

Un’idea diversa, forse qualcuno potrebbe pensare con acume

storico, ‘vino vecchio in otri nuove’ di sapere. Forse apparten-

go ad ugual utopia con il motivo di una graduale evoluzione

nel vasto mondo creato, …perché in esso fummo anche pagani.

Comporre un libro in rima, …non è cosa facile, riproporre cioè

la natura, il sapere, gioie e dolori, passioni, morte e resurrezio-

ni, di ogni granello di sabbia…, soffio di vento, fiocco di neve,

ghiaccio e fuoco…., e con loro i pensieri di ogni mondo morto

e poi…rinato,…. non è ‘impresa’ facile.

Ogni frammento, eretico e non, è parte del vasto mondo Crea-

to, nell’utopia che lo si possa ricomporre là dove a molti, forse

troppi…, è stato impossibile farlo.

Ho provato quindi ad interpretare quei pensieri, passioni, u-

miliazioni, mortificazioni, ….morte e resurrezioni, chiusi nel-

la ragione della vita; e nello stesso tempo comprendere i mo-

tivi di un radicale rifiuto in essa…, che a mio parere sono irri-

mediabilmente legati ad aspetti di natura antropologica, mai

esaminati prima.

Si sono letti tanti ‘tomi’ in riferimento all’uomo posto nella co-

stante riflessione di Dio, e le cose del creato, e altrattanti tomi

fra coloro che credono in questo Dio (o altro Dio…) e chi inve-

ce, si professa ateo.

Tanti libri Eretici e non, ortodossi e non….

Veri o falsi, ma tutti colmi di qualche verità nuova, forsanche

Dio o chi per lui non l’avesse mai detta, dall’alto della sua infi-

nita intelligenza,  ha benedetto e protetto, dall’alto di ciò che

ancora non comprendiamo.

E dall’alto di questa intuizione ho esaminato un aspetto, a mio,

o suo avviso…, importante e trascurato, il contesto geografico,

sociale ed umano dove queste idee fiorivano, dove ogni singo-

lo embrione e le successive evoluzioni e mutazioni…, si sono

sviluppati in seno al concetto costante di vita.

Non mi dilungo ulteriormente con inutili sermoni, lascio all’u-

topia’ di questo libro ‘gnostico’ la possibilità di vivere assieme

ai tanti a cui, colpa l’intollerenza, l’arroganza, la superbia, e…

non per ultima l’ignoranza, non è stato concesso esprimere la

propria Creazione riflessa nella visione del mondo, e questo…

nell’Universo.

Concludo la breve presentazione con due ‘Frammenti’ di Tom-

maso, scusandomi altresì la breve parentesi che mi sono permes-

so fra i tanti Post a voi proposti di altrettanti innumerevoli autori

in questo blog e quello di Pietro…, a cui ho dato la possibiltà di

parola, ragione, decoro, ….e di cui mai sono stato ripagato.

 

                                  Giuliano Lazzari per Pietro Autier

 

 

 

 

Vangelo di Tomaso:

 

(13) Gesù disse ai suoi discepoli:

‘Fatemi un paragone, ditemi a chi rassomiglio’.

Simon Pietro gli rispose:

‘Sei simile a un angelo giusto’.

Matteo gli rispose:

‘Maestro sei simile a un saggio filosofo’.

Tomaso gli rispose:

‘Maestro, la mia bocca è assolutamente incapace 

di dire a chi sei simile’.

Gesù gli disse:

‘Io non sono il tuo maestro, giacché hai bevuto e

ti sei inebriato alla fonte gorgogliante che io ho

misurato’. 

E lo prese in disparte e gli disse tre parole.

Allorché Tomaso ritornò dai suoi compagni, questi

gli domandarono:

‘Che cosa ti ha detto Gesù?’.

Tomaso rispose:

‘Se vi dicessi una delle parole che egli mi ha detto,

voi dareste mano alle pietre per lapidarmi, e dalle

pietre uscirebbe fuoco e vi brucerebbe’.

 

(18) I discepoli di Gesù dissero:

‘Manifestaci quale sarà la nostra fine’.

Gesù rispose:

‘Avete scoperto il principio voi che vi interessate della

fine? Infatti nel luogo ove è il principio, là sarà pure

la fine. Beato colui che sarà presente nel principio!

Costui conoscerà la fine e non gusterà la morte’.

 

 

 

 

 

frammenti in rima

           

QUELLI DELLO SPIELBERG (Antonio Salvotti un inquisitore al servizio dell’Impero….) (1)

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Prosegue in:

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Alcune lettere del Silvio Pellico:

Epistolario

 

quelli dello spielberg 1




 

 

 

 

….Sullo scorcio del 1820, quando cioè la polizia del Lombardo-

Veneto abbandonò i criteri di tolleranza che aveva fin allora se-

guito, (per compiacere altri interessi…), un nome cominciò a

circolare su tutte le bocche, pronunciato con un misto di rispet-

to, di paura e di odio: quello dell’Inquisitore Antonio Salvotti.

I patrioti lo dipingevano come un rinnegato senza scrupoli, che

sottoponeva gl’imputati a ogni sorta di torture per strappargli

le confessioni al solo scopo di mettersi in buona luce (con i suoi

padroni e signori…) presso il governo imperiale, e nello stesso

tempo assicurarsi una certa carriera e adeguata agiatezza. 

 

quelli dello spielberg 1


Salvotti era un magistrato che si era messo al servizio dell’Im-

pero austriaco perché nell’Austria ci credeva, cioè credeva nel

sistema politico di cui l’Austria rappresentava il puntello e la

garanzia…ed il tornaconto economico (pur virtualmente attento

nell’apparenza, alle fragili vicissitudini della povera Italia).

Secondo qualcuno vi spiegò zelo (ben al di là di un normale

magistrato che persegue presunti reati….). 

Il processo che lo mise in luce fu quello a carico di 34 carbona-

ri, fra cui alcuni nobili e tre sacerdoti, arrestati nel 19. A fare i

loro nomi era stato il capo della ‘vendita’ a cui appartenevano,

Villa. 

Costui non era un traditore; lo diventò per debolezza sotto l’

interrogatorio, in cui spiattellò tutto e giunse perfino ad offrir-

si come delatore della polizia.

Dal carcere in cui si trovavano rinchiusi, ma da cui potevano 

comunicare con l’esterno, gli altri riuscirono a fabbricarsi degli

alibi con lettere retrodatate. Ma Salvotti nella profonda sua per-

fidia al guinzaglio del suo signore e padrone, smontò loro ogni

possibilità di sopravvivenza in quella terra di sudditanza. Li

condusse uno per uno alla confessione.

 

quelli dello spielberg 1

 

Non si può infierire contro questi uomini che pagarono con la

galera le loro colpe. Il tribunale grazie al suo operato, pronun-

ciò contro gli stessi suoi connazionali ben otto condanne a morte!

Nell’ottobre di quello stesso anno 1820, la polizia con delazioni

sommarie, come i precedenti casi, trasse in arresto un altro indi-

ziato, lo studente di musica Pietro Maroncelli. Costui aveva già

conosciuto la prigione nella sua Forlì che apparteneva agli Stati

della Chiesa, se l’era cavata con l’esilio perché le autorità papa-

line si erano fatte di lui la stessa opinione che Salvotti si era fat-

ta di Villa e compagni.

Sebbene traumatizzato da quell’avventura, appena arrivato a

Milano non solo si era rimesso a cospirare, ma aveva attratto nel-

la Carboneria anche un altro giovane di cui era diventato grande

amico: Silvio Pellico.

 

quelli dello spielberg 1


Silvio Pellico era un intellettuale che aveva abbandonato Torino

per sottrarsi alla sua asfissiante atmosfera. A Milano aveva cono-

sciuto Foscolo, di cui era da sempre un fervente ammiratore e n’

era diventato praticamente il segretario.

Un giorno gli aveva dato in visione il testo di una tragedia, la

‘Francesca da Rimini’, in cui c’erano degli altisonanti appelli al-

la patria. Foscolo li aveva apprezzati, ma non aveva apprezzato

tutto il resto, e gli aveva consigliato di mettere quel dramma in

un cassetto e di non pensarci più.

Mortificato nelle sue ambizioni, Pellico lo diede in lettura alla

più grande attrice del tempo, Carlotta Marchionni, che lo aveva

rappresentato. Contrariamente alle previsioni del Foscolo, Pel-

lico ottenne un grande successo, e raggiunse la notorietà meri-

tata.

 

quelli dello spielberg 1


Carlotta conviveva con una cugina, Teresa, che per questo tutti

credevano sua sorella e che era corteggiata da Pellico, mentre

Carlotta era corteggiata da Maroncelli.

Fu così che l’arte si sposò alla cospirazione.

Pellico, che vi era predisposto dalla sua fede patriottica e demo-

cratica, vi si buttò a capofitto con piena fiducia nel suo iniziatore

che non ne meritava molta: non già per la sua disonestà, ma per

la sua avventatezza e faciloneria. Lo dimostra il fatto che, quan-

do lo arrestarono, gli trovarono addosso delle carte che compro-

mettevano irreparabilmente parecchie altre persone, fra cui an-

che il Pellico.

Salvotti non si fece attendere, e da buon cane fedele al padrone

accorse verso le ‘eretiche’ pagine di cospirazione patriottica ai

danni dell’Imperatore.

 

quelli dello spielberg 1


Maroncelli, il musicista, capitolò in soli due interrogatori, e fi-

nì per l’ammettere tutte le proprie colpe coinvolgendovi anche

un certo Canova che, a sua volta, per una fitta rete di delazioni,

confermò anche la complicità del Pellico. 

Pellico, braccato fino sulle montagne del Piemonte, non si per-

se d’animo e per Salvotti fu una vera manna. Ora aveva in mano

tutti gli esponenti della cospirazione. Alcuni avvertiti in tempo,

si misero in salvo con la fuga, ma tutti gli altri furono arrestati. 

(prosegue….)







 

quelli dello spielberg 1

              

I LIBRI SPIATI

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Prosegue in:

intermezzo-artico.html

 

 

  

 

 

Il bibliofilo raccoglie libri per avere una biblioteca. 

Sembra ovvio, ma la biblioteca non è una somma di libri, è un

organismo di libri, è un organismo vivente con una vita auto-

noma.

Una biblioteca di casa non è solo un luogo in cui si raccolgono li-

bri: è anche un luogo che li legge per conto nostro. 

Mi spiego.

Credo che sia capitato a tutti coloro che hanno in casa un numero

abbastanza alto di libri di vivere per anni con il rimorso di non 

averne letti alcuni, che per anni ci hanno fissato dagli scaffali co-

me a ricordarci il nostro peccato di omissione. 

A maggior ragione accade con una biblioteca di libri rari, che ta-

lora sono scritti in latino o addirittura in lingue ignote.

….Naturalmente il bibliofilo, anche e specie colui che colleziona

libri contemporanei, è esposto all’insidia dell’imbecille che ti en-

tra in casa, vede tutti quegli scaffali, e pronuncia:

– Quanti libri! ….. Li hai letti tutti?

L’esperienza quotidiana ci dice che questa domanda viene fatta

anche da persone dal quoziente intellettivo più che soddisfacen-

te.

Di fronte a questo oltraggio esistono, a mia scienza, tre risposte 

standard.

La prima blocca il visitatore e interrompe ogni rapporto, ed è:

– Non ne ho letto nessuno, altrimenti perché li terrei qui?

Essa però gratifica l’importuno solleticando il suo senso di su-

periorità e non vedo perchè si debba rendergli questo favore.

La seconda risposta piomba l’importunato in uno stato d’inferio-

rità:

– Di più, signore, molti di più!

La terza è una variazione della seconda e la uso quando voglio

che il visitatore cada in preda a doloroso stupore.

 – No,

gli dico, 

– quelli che ho già letto li tengo all’università, questi sono quelli

che debbo leggere entro la settimana prossima…..

(U. Eco, La memoria vegetale, Ed. Rovello, Milano)


 

 

 

 

 

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