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Il più celebre malvivente che attirò l’attenzione della
polizia nel periodo del 1860 fu Albert E. Hicks, comu-
nemente noto come Hicksey, un gangster e ladro indi-
pendente che viveva con la moglie ed il figlio al nume-
ro 129 di Cedar Street, non lontano dalla vecchia Trini-
ty Church e a meno di due isolati dal fiume Hudson.
Passava quasi tutto il suo tempo nelle bettole del lito-
rale del Fourth Ward e, pur non facendo parte di nes-
suna delle grandi gang, si schierava saltuariamente
sotto la bandiera di un capo le cui attività promettes-
sero eccitazione e bottino.
In una notte di marzo del 1860, avendo bevuto ecces-
sivamente in una sala da ballo di Water Street, Hicks
prese alloggio nella pensione di un arruolatore fraudo-
lento di Cherry Street, confidando che la propria repu-
tazione lo avrebbe protetto.
Ma l’arruolatore non rispettava nessuno.
Aggiunse del laudano al rum contenuto nel bicchiere
della staffa di Hicks e, in piena notte, si infilò nella sua
camera e con uno ‘stung-shot’ rese più profondo il son-
no dell’ospite.
Il mattino dopo Hicks, svegliandosi, si ritrovò a bordo
dello sloop E.A. Johnson diretto a Deep Creek, Virginia,
per un carico di ostriche; era stato regolarmente imbar-
cato come marinaio sotto il nome di William Johnson.
Oltre al gangster arruolato con l’inganno, l’effettivo del
vascello comprendeva il comandante, il capitano Burr,
e due fratelli, Smith e Oliver Watts.
L’E. A. Jhonson salpò dal porto di New York con Hicks
sdraiato nel castello di prua e impegnato nel tentativo
di riacquistare completamente la lucidità mentale.
Cinque giorni dopo lo sloop venne rinvenuto abbando-
nato in mare, a poche miglia da Staten Island, dalla go-
letta Telegraph di Ney London, Connecticut. La goletta
incontrò il rimorchiatore a vapore Ceres che trascinò la
Jhonson fino al Fulton Market Slip, all’estremità meridio-
nale di Manhattan. Si era palesemente scontrata con un
altra imbarcazione perché il suo bompresso e il taglia-
mare erano rimasti gravemente danneggiati e i marinai
che salirono a bordo per fissarvi una cima di rimorchio
riferirono che sui suoi ponti regnava il caos più totale.
Dopo che venne ormeggiata al molo, il coroner Schirmer
e il capitano Weed del secondo distretto di polizia saliro-
no a bordo per esaminarla.
Trovarono le vele slegate sul ponte e notarono che la
scialuppa solitamente assicurata a poppa era scomparsa.
Nella cabina soffitto, pavimento, cuccette, sedie e tavolo
erano macchiati di sangue così come le lenzuola, i docu-
menti nautici e i vari capi di vestiario disseminati nel lo-
cale.
Sul pavimento della cabina e sul tavolato del ponte spic-
cavano segni indicanti che un corpo pesante era stato tra-
scinato da una parte, e il parapetto era chiazzato di san-
gue. Sul ponte, sotto il parapetto, c’erano quattro dita e
un pollice, con accanto un’accetta insanguinata.
Il giorno dopo Andrew Kelly e John Burke, inquilini del-
la pensione di Cedar Street, si presentarono alla stazione
di polizia per riferire al capitano Weed che, 24 ore prima
che lo sloop venisse rimorchiato nel porto, Hicks era rien-
trato con un’ingente somma di denaro e aveva risposto
in modo evasivo a chi gli chiedeva come se la fosse pro-
curata.
Quella notte Hicks impacchettò i suoi beni mobili e lasciò
la città con la moglie e il figlio. L’agente di ronda Nevins
li rintracciò in una pensioncina di Providence, Long Islan-
d, e con l’aiuto della polizia locale arrestò l’intera famiglia.
Vennero ricondotti a New York, dove la signora Hicks e il
figlio furono rilasciati, ma Albert Hicks venne trattenuto
in vista di ulteriori indagini perché fornì versioni contrad-
dittorie a proposito dei soldi.
Un accurato esame dei suoi effetti personali portò alla
luce un orologio che venne identificato come appartenen-
te al capitano Burr e un dagherrotipo che una giovane don-
na aveva dato a Oliver Watts prima che lo sloop salpasse.
Hicks negò decisamente di chiamarsi Jhonson o di essere
mai stato a bordo del vascello, ma non riuscì a spiegare co-
me mai l’orologio e il ritratto si trovassero in suo possesso.
(Prosegue….)