Prosegue in:
(gente) sconosciuta &
dialoghi con Pietro Autier 2:
14 aprile una esecuzione &
gli occhi di Atget:
14 aprile una esecuzione (seconda parte)

– C’è stato un incidente.
Poi entrammo in casa, tutti e tre.
Attraversammo la cucina e vidi una borsettina da donna sul
pavimento, e il telefono con i figli tagliati.
Lo sceriffo aveva una pistola al fianco e quando cominciaro-
no a salire le scale per andare nella stanza di Nancy, notai
che ci teneva sopra la mano, pronto ad estrarla.
– Be’, era una cosa orrenda. Quella meravigliosa ragazza…
Ma sarebbe stato impossibile riconoscerla.
Le avevano sparato alla nuca tenendo l’arma a pochi cen-
timetri.
Giaceva sul fianco, voltata verso il muro, e la parete era
sporca di sangue. Le coperte erano ben rimboccate. Lo sce-
riffo Robinson le tirò indietro e vedemmo che indossava un
accappatoio da bagno, il pigiama, calzini e pantofole, come
se, al momento del fatto, non fosse andata a letto.
Aveva le mani legate dietro la schiena e le caviglie erano
assicurate con una corda come quelle che si usano per le
veneziane.

Lo sceriffo chiese: ” E’ questa Nancy Clutter?” lui non aveva
mai visto la ragazza prima.
E io risposi:” Sì, sì, è Nancy”.
– Uscimmo di nuovo nel corridoio e ci guardammo attorno.

Tutte le altre porte erano chiuse.
Ne aprimmo una, era quella del bagno. C’era qualcosa di
strano. Capii che era quella sedia, una sedia da sala da
pranzo, che appariva fuori luogo in un bagno. La porta ac-
canto….fummo tutti daccordo nel dire che doveva essere la
stanza di Kenyon.

Un mucchio di cianfrusaglie da ragazzo sparse in giro.
E riconobbi gli occhiali di Kenyon, su uno scaffale vicino al
letto. Ma il letto era vuoto, anche se sembrava che qualcuno
ci avesse dormito. Così andammo fino in fondo al corridoio,
all’ultima porta, e là, sul suo letto trovammo la signora Clut-
ter. Anche lei era stata legata. Ma in modo diverso, con le
mani davanti così che pareva che stesse pregando, e in una
mano teneva, stringeva un fazzoletto.

O forse era un Kleenex. La corda che le serrava i polsi conti-
nuava fino alle caviglie, legate insieme, quindi scendeva fi-
no in fondo al letto dove era assicurata all’asse, un lavoro
molto complicato, fatto ad arte.
Pensate al tempo che avrà richiesto!
E la donna stesa là, pazza di terrore. Be’, aveva indosso dei
preziosi, due anelli, e questa è una delle ragioni per cui ho
sempre scartato il movente della rapina… e una vestaglia,
una camicia da notte e dei calzini bianchi.
Le avevano chiuso la bocca con del nastro adesivo, ma le
avevano sparato a bruciapelo, a lato del capo, e l’esplosio-
ne, l’urto violento, avevano staccato il nastro.
Aveva gli occhi aperti.
Sbarrati.
Come se stesse guardando ancora l’assassino.
Perché non poteva aver evitato di guardarlo mentre pren-
deva la mira.
Nessuno disse nulla.

Eravamo troppo sbigottiti.
Ricordo che lo sceriffo si guardò attorno per vedere se po-
teva trovare la cartuccia esplosa.
Ma chiunque fosse stato, era troppo scaltro e controllato
per lasciare dietro di sé un simile indizio.
– Naturalmente ci chiedevamo dove fosse il signor Clut-
ter.
E Kenyon? Lo sceriffo disse: ” Proviamo dabbasso”.
Per primacosa andammo a cercare nella camera da letto
principale, quella dove dormiva il signor Clutter.
Le coperte erano buttate indietro, e abbandonato là, vicino
ai piedi del letto, c’era un portafogli da cui uscivano parec-
chie carte, alla rinfusa, come se qualcuno avesse rovistato
alla ricerca di un foglio particolare, una cambiale, una di-
chiarazione di debito.
Il fatto che non ci fosse denaro non significava nulla.
Era il portafogli del signor Clutter e lui non portava mai de-
naro con sé. Lo sapevo perfino io che ero a Holcomb da poco
più di due mesi. Un’altra cosa che sapevo era che né il signor
Clutter né Kenyon ci vedevano un accidenti, senza occhiali.

E là posati su un cassettone, c’erano gli occhiali del signor
Clutter. Così immaginai che, dovunque si trovassero, non
c’erano di loro volontà. Guardammo dappertutto e ogni
cosa era esattamente come doveva essere, nessun segno di
lotta, nulla fuori posto. Tranne nell’ufficio, dove il ricevito-
re del telefono era staccato e i cavi tagliati, come per l’ap-
parecchio in cucina.
Lo sceriffo Robinson trovò acuni fucili in un armadio e
li annusò per vedere se erano stati usati recentemente.
Disse di no e, non ho mai visto un individuo più sconcer-
tato, aggiunse: ” Dove diavolo può essere Herb?”
A quel punto sentimmo dei passi. Qualcuno che risaliva
le scale del seminterrato. “Chi è?” chiese lo sceriffo, come
se fosse pronto a far fuoco. E una voce rispose: “Sono io,
Wendle”.

Si trattava di Wendle Meiser, il vicesceriffo. A quanto pa-
reva era venuto alla casa e non ci aveva visto, così era an-
dato a controllare nel seminterrato. Lo sceriffo gli disse, e
faceva quasi pena: ” Wendle, non so cosa pensare. Ci sono
due cadaveri di sopra”.
” Be'”, disse lui, Wendle, “di sotto ce n’è un altro”.
Così lo seguimmo dabbasso, nel seminterrato. O lo si pote-
va chiamare sala dei giuochi. Non era buio, c’erano delle fi-
nestre che lasciavano entrare molta luce. Kenyon era in un
angolo, steso su un divano. Gli avevano chiuso la bocca con
del nastro adesivo ed era legato mani e piedi, come la ma-
dre: con lo stesso sistema complicato della fune che riuni-
va mani e piedi era assicurata attorno a un braccio del di-
vano. In un certo senso è lui che ricordo con maggiore or-
rore, Kenyon. Forse perché era il più riconoscibile, quello
che assomigliava di più a se stesso…..anche se gli avevano
sparato in faccia, dritto in faccia.

Indossava una maglietta e blue jeans, come se si fosse ve-
stito in tutta fretta, infilandosi le prime cose che gli erano
capitate per le mani. Aveva il capo appoggiato ad un paio
di cuscini, come se glieli avessero ficcati sotto la testa per
avere un bersaglio più facile.
– Poi lo sceriffo chiese: ” Dove si va da quella?” indicando
un’altra porta del seminterrato.
Lo sceriffo entrò per primo ma all’interno non ci si vede-
va a un palmo, poi il signor Ewalt trovò l’interruttore del-
la luce.
Era la stanza delle caldaie, faceva molto caldo.
Da queste parti la gente si limita a installare in casa una
caldaia e quindi pompa il combustibile direttamente sul
terreno. Non gli costa niente, ecco perché le case sono sur-
riscaldate.
Be’, diedi un’occhiata al signor Clutter, ed era difficile guar-
darlo una seconda volta. Capii che dei semplici colpi d’ar-
ma da fuoco non potevano giustifiare tutto quel sangue.
E non mi sbagliavo.
Gli avevano sparato, certo, come a Kenyon, puntandogli l’-
arma dritto contro il viso. Ma probabilmente lui era già
morto. O almeno stava morendo. Perché aveva per di più la
gola tagliata.
Indossava un pigiama a righe, nient’altro. Gli avevano sigil-
lato la bocca con il solito sistema, passandogli il nastro ade-
sivo fin dietro il capo.

Aveva le caviglie legate, ma non le mani, o meglio era
riuscito, Dio sa come, forse per la rabbia o il dolore, a spez-
zare la corda che gli imprigionava i polsi.
Giaceva abbandonato davanti alla caldaia. Su una grossa
scatola di cartone che pareva essere stata messa là appo-
sta. A fargli da materasso.
Lo sceriffo disse: ” Guarda qui, Wendle.” stava indicando
un’impronta sanguigna. Sulla scatola. L’impronta di una
mezza suola con due cerchi: due buchi al centro degli oc-
chi. Poi uno di noi….il signor Ewalt?, non ricordo, indicò
qualcos’altro. Una cosa che non riesco a dimenticare.
Sopra di noi c’era un tubo per il vapore, e da questo pas-
sava, annodato, un pezzo di corda, del tipo usato dall’as-
sasino.
Ovviamente a un certo punto il signor Clutter era stato
legato lassù, appeso per le mani poi la corda era stata
recisa.
Ma perché? Per torturarlo?
Credo che non lo sapremo mai. Non sapremo mai chi è
stato, o perché, o cosa è accaduto quella notte in quella
casa.
L’orrore.
Erano morti.
Un’intera famiglia.
Persone buone, gentili, gente che conoscevo….assassinate.
Pure bisognava crederlo, perché era proprio vero.
(Truman Capote, A sangue freddo)