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Il motivo del sacrificio (2)
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Il grande male
Dialoghi con Pietro Autier 2:
La testa del lupo
gli occhi di Atget:
La testa del lupo (2)
Il problema del controllo della violenza emerge ora più
che mai in tutta la sua gravità: se ‘quella strana attività
che chiamiamo guerra’ poté vedere la luce, evidentemen-
te erano già stati sviluppati meccanismi che preservano
dai comportamenti aggressivi un’area ben delimitata, i
cui confini non hanno nulla di naturale:
La guerra si sviluppa in maniera evidente tra gruppi molto
vicini, ossia tra uomini che nulla obiettivamente distingue
sul piano della razza, del linguaggio, delle abitudini cultu-
rali. Tra l’esterno nemico e l’interno amico, non c’è reale
differenza e non si capisce come dei montaggi istintuali po-
trebbero spiegare la differenza di comportamento.
(R. Girard)
Affermare che esiste un istinto naturale a preservare i
propri congiunti è evidentemente privo di senso, dal
momento che, come è ben visibile, tra gli umani l’assas-
sinio intrafamigliare esiste, anche se non è la regola.
Si deve quindi supporre che, proprio quando l’aumento
dell’aggressività mimetica ha messo ha rischio la nascen-
te specie umana, un meccanismo nuovo si sia innescato;
si tratta, secondo Girard, del fenomeno della vittimizza-
zione del capro-espiatorio:
Oltre una certa soglia di potenza mimetica, le società ‘anima-
li’ diventano impossibili. Questa soglia corrisponde dunque
alla soglia di apparizione del ‘meccanismo vittimario’; è la
soglia dell’ominizzazione.
Tale meccanismo non è del tutto assente negli animali;
Girard cita a riguardo alcune notissime osservazioni di
Lorenz:
Quando due oche avvicinandosi mostrano segnali di ostili-
tà, il più delle volte convogliano la loro aggressività reci-
proca contro un oggetto terzo.
Questo comportamento cementa il legame tra gli indi-
vidui dal punto di vista che,
scrive Lorenz, ‘l’aggressività discriminatoria verso
gli estranei e il vincolo fra i membri del gruppo si inten-
sificano a vicenda’.
Tale fenomeno può essere considerato come
il primo abbozzo del futuro meccanismo vittimario proprio
nel suo ruolo di forza ‘idraulica’ che tende a scaricare l’ag-
gressività interindividuale su terzi,
ma l’insufficiente potenza mimetica di cui sono dotati
gli animali non-umani impedisce che al processo parte-
cipi l’intero gruppo.
Non scatta cioè, negli animali, quel meccanismo che sem-
bra essere il vero segreto dell’umanità, ossia l’omicidio col-
lettivo; perché ciò accada, è necessario che la crisi dovuta
alla rivalità tra due individui sfoci in quella lotta genera-
lizzata di tutti contro tutti che, secondo l’intuizione hob-
besiana, costituisce la minaccia gravante in permanenza
sui gruppi umani.
L’inizio dell’umano deve perciò essere posto nel momen-
to di massima crisi, al culmine di quell’implosione socia-
le che colpisce un gruppo ormai incapace di conformarsi
ai ‘dominance patterns’, così efficaci per animali dotati di
una potenza mimetica inferiore.
Nulla, nella costituzione umana, mira a quest’inizio: è
altamente probabile che molti gruppi non abbiano una
soluzione né istintuale né culturale al problema e si so-
no semplicemente estinti.
Ma alcuni gruppi hanno trovato il mezzo per sopravvi-
vere proprio nel momento più difficile, ridirigendo la
violenza di tutti contro tutti verso un unico individuo.
Proprio la potenza della mimesi ha convogliato su un’-
unica vittima gli impulsi violenti: la violenza indiscri-
minata ha prodotto un fenomeno di capro-espiatorio,
ossia l’uccisione collettiva di un ‘unico’ individuio che
si è trovato a essere in condizione di estrema debolez-
za, non difeso da nessuno.
Si tratta della tesi girardiana del ‘linciaggio fondatore’,
da lui elaborata in relazione alla nascita di un ordine
culturale dopo una crisi ma applicabile anche alla na-
scita dell’umano in senso assoluto, a partire da crisi
remotissime intervenute nelle prime fasi dell’evoluzio-
ne, quando l’accresciuta potenza imitativa appena
conseguita con l’incremento delle facoltà cerebrali ha
infranto l’equilibrio sul quale si fondavano i gruppi
pre-umani.
Non vi è ragione per pensare che la violenza sia in
grado di dirigersi da sé verso l’esterno: al contrario,
la rabbia, quando ci si abbandoni a essa, è centripeta.
Più è esasperata, più tende a orientarsi verso gli esseri
più vicini e più cari, quelli che in tempi normali sono
meglio protetti dalla regola della non-violenza.
E’ fondamentale comprendere come Girard non ri-
conduca il problema del sovrappiù di aggressività
degli esseri umani a un inspiegabile ‘istinto’, a una
tendenza al male innata nell’essere umano: ‘esso fa
tutt’uno con il sovrappiù di mimetismo legato all’-
accrescimento del cervello’.
Gli umani non sono né più buoni né più malvagi de-
gli altri animali: semplicemente, imitano più inten-
samente, portando così all’estremo sia gli elementi
positivi della facoltà di apprendere dai propri simi-
li sia quelli negativi consistenti nello scatenare con-
flitti privi di soluzione pacifica.
Se le rivalità umane hanno assai di frequente quale
risultato finale l’assassinio, come è largamente con-
statabile, le teorie che postulano un accordo con cui
gli umani avrebbero deciso di sospendere la violen-
za peccano di ingenuità: nell’escalation della violen-
za la probabilità che i contendenti si siedano intor-
no ad un tavolo per fissare regole e divieti è nulla.
Porre quindi l’origine delle società umane in un ‘patto
sociale’, come hanno fatto per secoli filosofi contrat-
tualisti, è indulgere a una visione eccessivamente
razionalistica delle cose umane.
La violenza può essere fermata solo da un evento dal
forte impatto emotivo, che doni la pace al gruppo qua-
si senza che gli umani sappiano come e perché.
Il carattere congetturale di questa ricostruzione è poten-
zialmente rafforzato dall’esame dei miti fondatori dei
popoli dell’intero pianeta: all’inizio vi è, quasi sempre,
un omicidio, dal quale sono scaturite le istituzioni soci-
ali e, in primo luogo, ‘la religione’ con i suoi riti e i su-
oi divieti.
Per spiegare l’assoluta preminenza del religioso nelle
società arcaiche e, al suo interno, di riti di distruzione
quali il sacrificio, è necessario formulare l’ipotesi che
l’atto fondativo del sacro abbia coinciso con l’origine
della società stessa e sia stato un atto violento.
Possiamo cioè supporre che, all’apparire di una prima crisi
di violenza interna, il parossismo mimetico abbia portato la
collettività a far convergere l’aggressività verso un ‘unico
individuo’, ucciso unanimamente da tutti gli altri: la furia,
oramai priva di un oggetto, cessa improvvisamente, provo-
cando un mutamento emotivo talmente brusco da far con-
centrare tutta l’attenzione del gruppo sulla vittima.
Essa viene vista come responsabile dello straordinario
passaggio dall’eccitazione alla calma, assumendo così
agli occhi dei suoi linciatori uno ‘status’ del tutto ecce-
zionale, preludio alla sua collacazione in una catego-
ria differente da quella degli individui comuni.
Davanti al cadavere della vittima si ha l’inizio del sacro,
da intendersi come la categoria dell’assolutamente etero-
geneo.
L’ambivalenza dei sentimenti provati dalla vittima, pri-
ma accusata e fatta a pezzi, poi ritenuta autrice della rin-
novata concordia sociale, spiega la duplice natura del sa-
cro, al tempo stesso malefico e benefico.
La calma ritrovata può, però, essere nuovamente perdu-
ta con grande facilità; la vittimizzazione del capro-espia-
torio è insufficiente a spiegare la stabilità dei gruppi uma-
ni, a meno che non sia possibile ricavarne un meccanismo
capace di prolungare la durata dell’effetto pacificatore.
Tale pratica, attestata presso tutte le civiltà, è il sacrificio,
che può essere definito come la prima manifestazione del-
la religione e, con essa, dell’intera cultura.
La classificazione degli esseri dipende, nella prospettiva
di Girard, dalle pratiche sacrificali, prima scuola di pen-
siero dell’uomo e luogo in cui si sono forgiati gli strumen-
ti intellettuali che hanno caratterizzato la successiva e-
voluzione.
Sarà dunque qui che andrà ricercata la prima origine del
giudizio con cui l’uomo
si attribuisce le prerogative divine, tra-sceglie e separa se
stesso dalla folla delle altre creature, fa le parti agli anima-
li suoi fratelli e compagni, e distribuisce loro quella porzio-
ne di facoltà e di forze che gli piace.
(G. Mormino, L’animale come essere sacrificabile,
Nell’albergo di Adamo)