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Le desolate pianure dell’Antartide sono l’ultimo posto in cui
ci si aspetterebbe di trovare all’opera i cacciatori di meteoriti.
Eppure questa vasta distesa di ghiaccio è l’ideale per svelare
i segreti astronomici.
Se si trova una pietra in Antartide, uno solo è il luogo da cui
può essere giunta: il cielo.
Le meteoriti che cadono sul ghiaccio sono presto sepolte dalla
neve, ma se il lastrone di ghiaccio scivola verso l’oceano, por-
tando con sé le meteoriti, può incontrare ostacoli sotterranei o
sfregare contro le montagne. Le pietre sepolte possono riemer-
gere in superficie, dove sono facilmente individuabili nel bian-
core della neve.
Robert Score era membro della United States Antarctic Search
for Meteorites e alla fine del 1984 è stata incaricata, insieme ai
colleghi, di attraversare il desolato e ventoso ghiacciaio vicino
all’area dei colli Allan. Verso mezzodì del 27 dicembre, Score ha
fermato il suo gatto delle nevi per ammirare una spettacolare
formazione di ghiaccio che sembrava creata da onde congelate.
E’ qui che ha scorto una meteorite sul margine del campo di
ghiaccio.
Esaminata, la pietra si è rivelata di uno strano colore verde, a
parte questo, agli occhi della Score e dei suoi colleghi era solo
un meteorite come tante, una delle oltre cento che avevano rac-
colto in quella spedizione.
La cosa non li ha eccitati più di tanto.
Come sempre, gli scienziati hanno fatto attenzione a non con-
taminare la meteorite verde, riponendola in un’apposita busta
di nylon sterile e sigillandola con nastro di teflon.
Nessuno l’ha toccata a mani nude.
Per via del suo insolito colore verde è stata la prima meteorite di
quelle raccolte nel 1984 a essere esaminata.
In laboratorio però la pietra presentava solo una normale colora-
zione grigio opaco, ed è stata classificata come una comune dio-
genite proveniente dalla fascia degli asteroidi.
Pertanto, ALH84001 è rimasta nel cassetto per altri quattro anni
prima che se ne riconoscesse l’importanza.
Nell’estate del 1988 Eric Mitthefehldt, un geochimico che stava
conducendo un’esame sistematico delle diogeniti ha prelevato
un campione di ALH84001 per analizzarlo.
La sua curiosità è stata stimolata dalla descrizione originaria se-
condo cui la roccia conteneva alcuni minerali che di norma nel-
le diogeniti sono rari, tra i quali uno dal bizzarro nome di pla-
gioclasio.
Si sapeva anche che conteneva carbonati, ma Eric dava per scon-
tato che si trattasse di prodotti formatisi in Antartide per azione
degli agenti atmosferici.
L’iniziale analisi chimica di un campione non ha rivelato niente
di particolare. Solo nel 1990, quando lo scienziato ha cominciato
a usare una microsonda elettronica su minuscoli granuli inclusi,
la natura unica della meteorite si è lentamente manifestata.
La sonda, che spara un ristretto fascio di elettroni sulla superfi-
cie del campione e stimola l’emissione di raggi X, ha messo in
luce grosse quantità di ferro allo stato ferrico, piuttosto insolito
per le normali meteoriti.
Eric non ha approfondito la questione, attribuendo il risultato
a un errore nelle analisi, ma nel 1993 ha scritto un articolo sulle
diogeniti in cui citava i risultati anomali di ALH84001.
Una revisione dell’articolo lo ha persuaso a ricontrollare il suo
lavoro, e solo quando Eric si è convinto che l’analisi chimica era
corretta si è reso conto che forse ALH84001 non era affatto una
diogenite, bensì una meteorite marziana.
(Paul Davies, Da dove viene la vita)