Precedenti capitoli (circa la ‘questio’):
l’eresia del lettore ed i limiti della cultura (13/14)
‘nummus non parit nummos’ (17/18)
Prosegue in:
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Nel detto anno del signore, mille trecento ventidue,
rispose frate Ubertino da Casale, dinanzi a messere
Giovanni detto, papa ventidue, e dinanzi alli cardi-
nali e a molte altre persone aletterate, alla quistione
che s’era mossa intra li frati minori e li predicatori,
della povertà di Cristo, dicendo così:
Non è da rispondere semplicemente, afermativamen-
te, o vero negativamente, ma per doppia distinzione
la verità della fede è da essere eletta, e la resia è da
essere rifiutata; e primamente è da distinguere di Cri-
sto e degli appostoli suoi, che essi furono in duplice
stato, perciò che furono universali prelati della chie-
sa del nuovo testamento, et in questo modo ebbero
quanto ad autoritade di dispensazione e di distribu-
zione per dare a’ poveri e a’ ministri della chiesa, si
come delgli appostoli, nel quarto capitolo; e negare
e dire che in questo modo non n’avessero, sarebbe
cosa eretica.
E di questo non corre la prima quistione, imperò
che niuno in questo senso l’à negato, e per questa
autoritade della prelazione si dice che Cristo ebbe
li loculi.
Secondamente Cristo, e gli suoi appostoli, si posso-
no considerare singulari persone, fondamento del-
la religiosa perfezione, e perfetti dispregiatori del
mondo; e la gloria d’esso mondo calcanti, e li con-
sigli di Cristo di sopravanzamento di perfezione,
in sé medesimi osservanti, e danti lucidi, cioè chi-
ari esempli a tutti quelgli che volgliono essere per-
fetti.
E se s’adomanda se in in questo modo ebbero, è da
distinguere di due modi d’avere, delle quali lo pri-
mo e civile e mondano; il quale modo d’avere, le
leggi imperiali lo definiscono ne l’istituta de verum
dominio; lege ea in bonis nostris, due sue parti dimo-
strando in queste parole ea in honis nostris.
Nostri sono detti quelgli beni nelgli quali abiamo
le eccezione e la difensione, e non avendoli, cioè
essendoci tolti, abiamo le repetizione.
E così si manifesta che colui che à alcuna cosa ci-
vilmente e mondanamente, puote la cosa sua da
colui che gliele vuol torre, e radomandarla a colui
che la tiene sotto il giudice imperiale.
Et in questo modo, dire, che Cristo e li suoi appo-
stoli ebbero le cose mondane, è cosa eretica, impe-
rò ch’è contra il santo evangelio; conciò sia cosa
che Cristo, re pacifico, il quale fece gli appostoli
suoi figlioli di pace, separò loro da ogni litigio
mondano, dicendo in san Matteo, nel quinto capi-
tolo: ‘e colui, il quale vuole teco in giudicio conten-
dere e la tonica tua torre, lasciagli anche lo man-
tello’.
E santo Luca, nel sesto capitolo, dice così: ‘a colui
che ti toglie il vestimento, eziando la gonella nol-
gli volere vietare: e a colui che ti toglie le cose tue,
non gliele radomandare’.
Nelle quali parole Cristo rimuove da se ongni do-
minio e signoria, perciò che fece quello che insegnò;
e questo medesimo impuose a’suoi appostoli; rimuo-
vere, cioè due modi di ragionare, civile e mondana
cioè, la difensione della cosa che l’uomo à, e la repe-
tezione che à perduta; ed in questo modo d’avere,
propiamente si dice avere nella cosa propietade et
signoria.
E Cristo e gli suoi appostoli, in questo modo non n’-
ebbero. Onde santo Piero per se e per tutti gli appo-
stoli, disse, si come vero povero, nel ventiquattro ca-
pitolo di santo Matteo: ‘eco che noi abiamo lasciato
ongni cosa et abiamo seguito te ecc.’.
Dire adunque, che Cristo e gli suoi appostoli in que-
sto modo ebbono in comune et in ispeziale propietà
e dominio, è cosa eretica e blasfemia.
Per altro modo si possono avere le cose temporali,
quanto a ragione della natura e della comune carità…
(Prosegue…..)
(Storia di Fra’ Michele Minorita)
(Doppiamente arso da lo foco delle notti bianche…..)