I COLORI DEL DIO PIUMATO

 

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i colori del dio piumato

 

 

Il quetzal conserva la sua bellezza anche da morto.

Così (anche se spennato come vuole l’indole dei più) lo descriveva

tecnicamente l’ornitologo Ridgeway, che poté osservare solo esemplari

impagliati: ” Le penne delle ali sono in gran parte nascoste dalle

copritrici, lunghe, sfrangiate, di color verde-dorato, simili a penne

d’oca, le cui estremità, oltrepassano il bordo esterno delle ali, e

spiccano mirabilmente sul cremisi che si intravede fra esse.

Le estremità delle nere remiganti, lasciate scoperte dalle penne

copritrici contrastano col verde del dorso, ai cui lati si tengono

quando sono in posizione di riposo.

Le scure penne centrali della coda sono interamente nascoste

dalle lunghe copritrici superiori di essa, le quali sono di color

verde-dorato con iridiscenza azzurra o viola con sfrangiature

soffici e sciolte.

Le due copritrici mediane più lunghe superano in lunghezza

l’intero corpo dell’uccello e si estendono ben oltre della coda,

che ha lunghezza normale.

Sciolte e sottili, esse s’incrociano al di sopra della punta della coda,

e quindi, gradatamente divergendo, formano un lugo ed aggraziato

strascico curvilineo, il quale pende verticalmente quando

l’uccello sta appollaiato vivacemente in orizzontale quando esso

è in volo.

Le penne caudali esterne, di color bianco puro, contrastano col

ventre cremisi quando si guardi l’uccello frontalmente o dal basso

verso l’alto.

Completano lo splendore della livrea i riflessi azzurroviolacei del

piumaggio, che ha brillantezza metallica”.

Il quetzal non è più grande di un piccione; ma, per colore e bellezza,

esso supera ogni altro volatile. Stupefacente è la lunga coda.

In sé, essa è nera e bianca, ma di sotto si diparte a cascata una serie

di penne verdi, una più lunga dell’altra.

Queste penne lunghe oltre un metro, di color verde-dorato, sono

quelle che i sacerdoti aztechi usavano per i loro fantastici copricapi,

e che, per l’appunto, ornavano il grande copricapo di Montezuma

ricevuto da Hernàn Cortés.

Tutti noi stavamo là seduti, inconsapevoli, sulle prime del costante

gocciolio dell’acqua. Era pomeriggio, ormai, e, al dire di Chon, le

nubi stavano calando sulla montana per ‘dormire’.

Il quetzal sembrava non curarsi di noi: pesantemente appollaiato

sul ramo, appariva immobile.

Unico indizio di vita, il basso chioccolio da metronomo che ne

faceva sussultare il corpo, e il rapido battito della lunga coda

che accompagnava ogni verso.

Poi lo spettacolo finì.

Una nube più grossa delle altre ci calò lentamente davanti come

un sipario, oscurando la foresta. Fradici, ci alzammo per riprendere

il sentiero del ritorno.

Ma il sentiero adesso era un ruscello gorgogliante.

Gli uccelli cessarono di cantare per andare in cerca di qualche

riparo asciutto.

Le farfalle volarono a rifugiarsi sotto le foglie più grandi.

Gli immensi alberi diventarono ombre indistinte. Sopra lo sgocciolio,

ora lieve ora scrosciante, della pioggia si levava un unico suono:

il fracasso delle scimmie urlatrici.

(V.V. Hagen, Alla ricerca del sacro Quetzal)

 

 

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