MODELLO STANDARD

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modello standard

 

 

Se prendessimo alla lettera le predizioni della relatività generale,

potremmo dunque concludere che l’argomento (del testo cui faccio

riferimento) riflesso in un contesto più ampio, è privo di senso.

C’è una domanda, però, che prima dovremmo porci.

L’incompletezza dello spazio-tempo, prevista nella teoria, è una

reale proprietà fisica del nostro universo, oppure è solo una

proprietà matematica delle equazioni della relatività generale,

che non sono adatte a descrivere adeguatamente lo spazio e il

tempo in prossimità del big-bang? 

modello standard

Se prendiamo sul serio l’espansione dell’universo, ed andiamo

indietro nel tempo, dobbiamo infatti necessariamente arrivare

ad epoche quali l’intero universo attuale, con tutta la sua energia,

era concentrato all’interno di una regione spaziale estesa all’incirca

un centesimo di millimetro.

La densità d’energia dell’universo, a quell’epoca, aveva un valore 

talmente elevato da risultare inimmaginabile in base alla nostra

normale esperienza del mondo macroscopico: si calcola, con la

relatività generale, che la densità arrivava ad essere circa 10 (

elevato 80) volte più grande di quella di un nucleo atomico.

Tale densità, che prende il nome di densità limite ‘planckiana’,

segna appunto l’ingresso in un regime nel quale lo spazio ed

il tempo (insieme alla materia) devono seguire le leggi della

meccanica quantistica.

La relatività generale, invece, ignora completamente la meccanica

quantistica, e quindi può arrivare – per così dire – alle soglie del

big-bang, ma non può andare oltre, senza entrare necessariamente

in un regime nel quale le sue previsioni non sono più solide. 

modello standard

Per descrivere correttamente l’universo quando si entra nel regime

planckiano non basta dunque una teoria classica, come la relatività

generale, ma è necessaria una teoria capace di inglobare consistentemente

la meccanica quantistica e la gravitazione.

Tale teoria non esisteva all’epoca della formulazione del modello

standard.

In sua assenza, si è provato a speculare che le previsioni della relatività

generale potessero essere estese fino al suo limite estremo, e cioè

fino a descrivere la nascita dell’universo da uno stato infinitamente 

caldo, denso e curvo: la singolarità iniziale, prima della quale

non esisteva più nulla.

Secondo il ‘modello cosmologico standard’, e cioè il modello che

sta alla base dell’ipotesi del big-bang come istante iniziale, l’

universo si espande, e la curvatura decresce in maniera continua

e decelerata. 

modello standard

Se andiamo indietro nel tempo andiamo dunque verso stati di

curvatura sempre più elevata, e questa crescita continua senza

interruzioni fino allo stato di curvatura infinita, corrispondente

ad una singolarità, fissata per convenzione al tempo iniziale

t=0 oltre il quale la descrizione classica non può essere estesa.

Ma una singolarità, è spesso interpretata in un contesto scientifico

come un segnale che si stanno applicando delle leggi fisiche

al di fuori della regione in cui esse sono valide.

Per concludere, quali sono le prove e con esse le consone equazioni

e teorie per sondare quel lontanissimo passato del nostro

universo?

La risposta è la stessa che potrebbe dare un archeologo a chi gli

chiede le prove dell’esistenza di antiche civiltà: studiando i resti,

i reperti disponibili, si può cercare di risalire alle fonti e ricostruire

la storia originale.

(Così per il nostro ‘neutrino’ causa ed origine delle affermazioni di

questi giorni, per chi ha dimistichezza con la fisica, esse non appaiono

novità assoluta, ma certezza di reperti fossili, che non possono e 

non debbono essere capiti con le conoscenze attuali, perché

inapplicabili in quegli specifi ambiti, (a noi ancora sconosciuti).

Il neutrino assieme al protone e l’elettrone è ciò che rimane dopo

il ‘decadimento’, scavare nel loro ‘universo’ è l’opera di questo

nuovo tassello di archeologia cosmologica che appartiene al

nostro passato, e su ciò c’è tanto e troppo da dire soprattutto in

diversi ambiti di questo, dove diamo per scontate tante e troppe

certezze. Compreso quel Dio di cui pensiamo conoscere verbo,

pensiero e …’futuro disegno’ – curatore del blog -)

Testi consultati:

(B. Greene, La trama del cosmo. M. Gasperini, L’universo prima

del Big Bang, G. Lazzari, Il Viaggio)

 

 

modello standard

   

 

IL GENIUS E IL NEUTRINO (il limite di Einstein)

In riferimento al post leggere:

421578 

cern-neutrini-velocita-della-luce

risultato-di-ricerca.aspx?searchtxt=neutrini&sortifield=date

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il-limite-di-einstein.html

 

il genius

 

 

Materia oscura….

 

Abbiamo visto precedentemente che ci sono forti prove teoriche

e sperimentali a favore del fatto che l’universo sia costituito da

materia standard (protoni e neutroni, soprattutto, visto che gli

elettroni contano per meno dello 0,05% della massa ordinaria)

per un misero 5% del suo totale.

Il resto è costituito per un 25% dalla materia oscura e per il 70%

dall’energia oscura.

Sull’identità di queste misteriose entità nere, però, ci sono ancora

molti dubbi. L’ipotesi più naturale è che la materia oscura sia

costituita sempre da protoni e neutroni, che in qualche modo,

però, non si sono riuniti e non hanno iniziato il processo di

produzione stellare.

 

il genius

 

C’è però una considerazione di carattere teorico che rende questa

possibilità molto remota.

Grazie a molte osservazioni dettagliate, oggi sappiamo molto bene

quanto gli elementi più leggeri (idrogeno, elio, deuterio e litio)

siano abbondanti nel cosmo. I dati sperimentali si accordono con

grande precisione con quelli calcolati partendo dall’ipotesi che i

nuclei di questi elementi siano stati sintetizzarti in un certo modo

nei primi minuti di vita dell’universo, e questo è uno dei maggiori

successi della cosmologia contemporanea.

Ma tutti questi calcoli si basano sul fatto che la materia oscura non

sia fatta di protoni e neutroni, perché se così fosse queste particelle

sarebbero troppo abbondanti, il modello salterebbe e la teoria

non si accorderebbe più con la realtà osservata.

Se non è costituita da protoni e neutroni, allora, di cosa è fatta la

materia oscura?

Nessuno lo sa con precisione, ma non mancano certo le supposizioni.

I candidati sono molti, dagli assioni agli zinos, e chi proporrà il

nome voncente sarà di sicuro convocato a ritirare un certo premio

in quel di Stoccolma.

Una seria limitazione è data dal fatto che la materia oscura non è

stata mai osservata in alcun modo, nonostante non sia confinata

nello spazio profondo, ma sia distribuita ovunque nell’universo,

ivi compresa la nostra Terra.

Secondo le ipotesi più accreditate, in questo preciso istante miliardi

di particelle costituenti la materia oscura stanno trapassando il

nostro corpo. E’ ovvio dunque che il candidato ideale a questo 

ruolo deve essere in grado di passare attraverso la materia senza

interagirvi in alcun modo.

 

il genius

 

I neutrini potrebbero fare al caso nostro.

Relitti cosmici prodotti dal big-bang, le stime mostrano che dovrebbero

essercene in giro molti, circa 55 milioni per metro cubo. Se una delle

tre specie note di neutrino pesasse almeno un centomilionesimo del

protone, la loro massa complessiva paregerebbe quella della materia

oscura. 

Il modello di cui ci avvaliamo per spiegare quanto in apparenza

sembra impossibile spegare e dimostrare, si avvale del ‘modello

cosmologico standard’, che rappresenta senza esagerazioni una

delle conquiste più importanti della fisica del XX secolo.

Questo modello, fornisce una descrizione molto completa e

soddisfacente dello stato attuale del nostro universo.

Non solo: la descrizione del modello standard può essere estesa

anche all’indietro nel tempo, per ricostruire la storia passata dell’

universo, e spiegare ad esempio l’origine degli elementi che lo

componevano dal primo stadio primordiale e caldissimo di

particelle.

Il completamento naturale del modello standard, il cosiddetto

‘modello inflazionario’, spiega inoltre come si siano formati gli

enormi ammassi di materia che oggi osserviamo a partire da

microscopiche variazioni di densità della materia primordiale.

 

il genius

 

 un-sogno.html

 

 

il genius

 

PATAGONIA EXPRESS

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express.html

 

(Guardo la loro nuova rivoluzione: prostitute e giocatori

d’azzardo in ricche bische clandestine, raccomdati di casta

attaccati ai loro privilegi, puttane di alto bordo senza più

il privilegio del loro protettore, poltrone e portaborse, pappponi

e papi di chiesa….., e ricche mazzette…., povero e misero paese!)

 

patagonia express

 

 

….Per cui andiamo dico allo zaino!

Da lì parte la più australe delle linee ferroviarie, il vero Patagonia

Express, che dopo 240 chilometri di marcia, collegando città come

El Zurdo e Bellavista, arriva a Rìo Gallegos sulla costa atlantica.

Il convoglio, formato da due carrozze passeggeri e da due vagoni

merci, è trascinato da una vecchia locomotiva a carbone, fabbricata

in Giappone, agli inizi degli anni 30. 

patagonia express

Ogni carrozza passeggeri dispone di due lunghe panche di legno

che vanno da cima a fondo. A un estremo del vagone c’è una

stufa a legna, che deve essere alimentata dagli stessi passeggeri,

e su di essa una stampa con l’immagine della Vergine di Lujàn,

la loro protettrice.

Non sono molte le persone che viaggiano con me.

Solo un paio di peones di qualche estancia, che non appena si

sono sdraiati sulla panca hanno attaccato a russare, e un pastore

protestante tutto preso a ripassare i vangeli con il naso infilato

tra le pagine.

L’uomo è piegato in due e sento il desiderio di offrirgli i miei

occhiali.

‘Là c’è della legna. Guardi che non si spenga la stufa’,

consiglia il controllore.

‘Grazie. Non ho il biglietto. Volevo comprarlo a El Turbio, ma

non ne avevano’. 

patagonia express

‘Non si preoccupi. Può comprarlo alla prossima fermata. A Jaramillo’.

Un manto di neve copre i pascoli, e la pampa, sempre spruzzata

di marrone e verde, acquista una tonalità spettrale.

Così il Patagonia Express avanza su un tappeto bianco che riesce a

far assopire il pastore. La bibbia gli cade dalle mani e si chiude.

Sembra un pezzo di carbone.

Questo è il treno dei pecorai.

Alla fine di ogni inverno, centinaia di chilote a Puerto Natales,

attraversano la frontiera, e raggiungono gli allevamenti con il

Patagonia Express.

Sono uomini forti che, stanchi della povertà di Chiloé, e della

proverbiale durezza di carattere delle donne isolane, vanno a

cercare fortuna nel continente. Sono uomini forti, ma dalla vita

breve. 

A Chiloé seguono un’alimentazione a base di frutti di mare e 

patate. In Patagonia la cambiano con un’altra a base di agnello

e patate. Solo pochissimi hanno assaggiato la frutta – a meno che

non si tratti di mele – o qualche verdura. 

patagonia express

Il cancro allo stomaco è una malattia endemica fra gli abitanti

di Chiloé.

La stazione di Jaramillo è un edificio di legno dipinto di rosso.

L’architettura ha un tocco scandinavo.

Jaramillo è appena la stazione e un paio di case. 

(L. Sepulveda, Patagonia Express)

 

 

patagonia express

    

QUESTIONI PERSONALI E INTERESSI INTERNAZIONALI (negli stessi anni)

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questioni personali

 

 

In quegli stessi anni…l’Italia cos’era?

Il padrone era la Spagna, destinata a rimanere tale fino al 1715, cioè

per oltre un secolo e mezzo.

Essa si era direttamente appropriata quattro dei nostri maggiori Stati:

la Sicilia, la Sardegna, Napoli e il ducato di Milano, oltre una testa

di ponte in Maremma che chiamava Stato dei Presidi.

L’Europa del 500 aveva quasi totalmente ignorato questa epopea

…della conquista. Ma già ai primi del 600 i suoi effetti cominciavano

a farsi sentire dappertutto, anche nel nostro Paese. 

questioni personali

E per motivi evidenti.

L’Italia, pur avendovi dato avvio coi suoi navigatori, era rimasta

tagliata fuori da questa grande avventura. Ma essa faceva parte

dell’impero spagnolo che ne era invece il massimo protagonista.

Il contraccolpo era inevitabile.

I sovrani spagnoli non pensavano di costruire un impero.

Nell’affidare le tre caravelle a Colombo, re Ferdinando gli aveva

raccomandato di portare indietro quanto più oro trovava, e la

regina Isabella di convertire al cristianesimo quanti più indigeni

poteva. 

questioni personali

I loro successori ripeterono pressapoco le medesime direttive

ai soldati, ai marinai, ai funzionari e ai missionari che s’imbarcavano.

L’organizzazione dei viaggi era monopolio di un’agenzia, la

‘Casa de contrataciòn’ di Siviglia, che provvedeva a reclutare i

volontari, a noleggiare le navi e a prelevare per conto dello Stato

un’imposta sui metalli preziosi che i reduci riportavano in patria,

pari alla metà del loro valore. 

Questa era l’unica cosa che importava al governo di Madrid.

Per esso le ‘Indias’ come si seguitava a chiamare le Americhe, 

erano soltanto una riserva d’oro. 

questioni personali

Privi di carte geografiche, all’oscuro sull’estensione e ubicazione

di quelle lontane terre, i burocrati castigliani misuravano le

imprese del loro ‘conquistadores’ unicamente sui quantitativi 

di metallo che fruttavano.

Non avevano del tutto torto perché infatti quegli avventurieri

erano dei predatori, non dei colonizzatori e solo all’oro badavano.

Saccheggiata una regione, ne occupavano un’altra: ma sempre e

soltanto per farvi bottino.

Questo bottino lo trovarono dapprima già confezionato, nei forzieri

Aztèchi e Inca.

E abbiamo visto come lo incamerarono.

Ma questa fonte di di rifornimento naturalmente fece presto ad

esaurirsi. E allora occorse rifarsi alle miniere.

Ma le miniere volevano braccia che le scavassero alla ricerca dei

filoni, e gli spagnoli erano pochi e allergici al piccone. Ci misero

gli ‘indios’, che del resto erano già stati abituati al lavoro forzato

dai vecchi padroni aztechi e inca. E così nacque il sistema dell’

‘encomienda’, che assegnava a ogni colono, assieme a una vasta

area di prospezione, un certo numero di indios ridotti in servitù

della gleba. 

questioni personali

Furono le circostanze a imporre poi un’evoluzione, quando,

esauritesi, anche le miniere, i coloni adibirono i loro latifondi

all’agricoltura e all’allevamento del bestiame.

Questo non migliorò la sorte degli indios che rimasero servi 

della gleba, anche se di un’altra gleba. Ma ciò riguardava la

storia americana, ai cui testi rimandiamo il lettore.

In Europa il primo contraccolpo fu di natura economica.

La Spagna non era costituzionalmente un Paese povero perché

di risorse nelle sue viscere ne aveva e tuttora ne ha.

Ma era impoverito dalla sua politica di grandezza militare che

strappava gli uomini dai campi per farne dei soldati.

Grandi, grandissimi soldati, ma improduttivi come tutti i

soldati. Il lavoro era riservato agli scarti di leva, e perciò era

diventato, come abbiamo detto, il disprezzato monopolio degli

ebrei e dei ‘moriscos’ – i residui dell’occupazione araba forzatamente

convertiti al cristianesimo -, che l’esercito rifiutava.

(Indro Montanelli, Storia d’Italia)

 

 

questioni personali

  

   

IX LETTERA

                                                                                                         ix lettera

 nona-lettera.html

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ix lettera

 

                                                                                                        

 

 

 

 

INTERMEZZO VENATORIO (2): L’UCCELLO COMBATTENTE

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intermezzo venatorio 2: l'uccello combattente

 

 

Se vi capitasse di vederlo d’inverno, o comunque fuori dalla stagione

riproduttiva, lo prendereste magari per una pettegola, o forse per un

beccaccino o per qualche altro, qualsiasi appartenente della famiglia

degli scolopacidi, di cui la beccaccia, che appunto si chiama, lei sola,

Scolopax, è il più illustre, il più noto rappresentante.

E invece no! 

intermezzo venatorio 2: l'uccello combattente

Sotto quell’invernale aria qualsiasi cova un vero vulcano: il combattente

(Philomachus pugnax) non è per niente un ‘qualsiasi’, né tra gli

scolopax(cidi) né tra gli uccelli in generale, e io sono convinto che,

anche se tanto di lui sappiamo, quest’uccello è ancora un mistero,

un mistero intrigante. 

intermezzo venatorio 2: l'uccello combattente

Da davvero da pensare, il combattente, e a ragione.

Così voglio raccontarvi sia i fatti che i pensieri che suscita, e comincerò

col dirvi del vulcano che prepotente esplode a primavera, alla

stagione degli amori.

Il vulcano è un fatto, apparentemente, solo maschile, ed è per ciò

dei maschi che soprattutto vi parlerò. 

intermezzo venatorio 2: l'uccello combattente

Non sottovaluterei, però, il ruolo delle piccole, apparentemente

insignificanti, sempre poco vistose, femminelle.

Gli uccelli combattenti maschi sono loro i gladiatori, e le arene

sono postazioni fisse, anno dopo anno, e nel loro ambito sono

distinguibili piccoli spazi, chiamati corti, ciascuno proprietà d’

un differente maschio. 

intermezzo venatorio 2: l'uccello combattente

I maschi dunque possiedono un piccolo spazio che difendono

dall’ingresso di altri maschi, e qui stando, ciascuno nel suo, s’

impegnano in combattimenti rituali.

Sembrano appunto gladiatori in un’arena.

Innanzitutto non c’è uno uguale all’altro.

Quando di primavera tornano, lassù dal nord, nelle zone riproduttive,

i maschi vestono un’eccezionale livrea. Spunta loro un grande

collettone, e sopra questo, pure di penne e piume, due specie

di ciuffi o orecchie. E tutto ciò è mobile e sensibile ai variabili

umori dei gladiatori, che erigono o ripiegano i loro ornamenti.

E la variabilità sta nel colore di queste penne, perché di colletti

e ciuffi ce n’è a fondo nero, o rosso o grigio o bianco, più o

meno e diversamente macchiati.

(D. Mainardi, Dalla parte degli animali)

 

 

intermezzo venatorio 2: l'uccello combattente

 

6 SETTEMBRE 1599: ARRESTO DEL CAMPANELLA (il patibolo secondo Hugo)

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C’era vicino alla porta e lungo i muri qualche persona in piedi, oltre

il prete e alle guardie, e c’erano anche tre uomini.

Il primo, il più alto, il più vecchio, era grasso e con la faccia rossa.

Portava una finanziera e un cappello sformato a tricorno.

Era lui.

Era il boia, il servo della ghigliottina.

Gli altri due erano aiutanti.

Appena seduto, quelli mi si sono avvicinati da dietro, come

due gatti; ho sentito di colpo tra i capelli il freddo dell’acciaio e

nelle orecchie delle forbici.

I capelli, tagliati a casaccio, mi cadevano a ciocche sulle spalle,

e l’uomo dal tricorno li toglieva delicatamente con la grossa mano.

Intorno parlavano sottovoce.

C’era molto rumore , fuori come un fremito che ondeggiasse nell’aria.

Sulle prime ho pensato al fiume; poi da qualche risata squillante, ho

riconosciuto in quel rumore la folla.

Vicino alla finestra, un giovane intento a scrivere con la matita su un

taccuino ha chiesto ad uno dei secondini come si chiamava quello che

stavano facendo.

– La toilette del condannato, ha risposto l’altro.

Ho capito che l’indomani la cosa sarebbe stata sul giornale.

A un tratto uno dei servi mi ha tolto la giacca, l’altro ha preso le mie

mani inerti, le ha girate dietro la schiena, e io ho sentito i nodi d’una

corda chiudersi adagio attorno ai polsi stretti l’uno all’altro.

Contemporaneamente, l’altro mi disfava la cravatta.

La mia camicia batista, unico brandello di ciò che ero stato un tempo,

l’ha fatto esitare un istante; poi s’è messo a tagliare il colletto.

A quell’orrenda precauzione, al gelo dell’acciaio che mi toccava

il collo, i gomiti hanno avuto uno scatto e m’è sfuggito una specie

di ringhio sommesso.

La mano dell’esecutore ha tremato.

– Perdono signore! ha detto.

– Forse vi ho fatto male?

Questi boia sono persone dolcissime.

Fuori la folla urla inferocita e più forte.

L’omone con a faccia rossa di foruncoli mi ha offerto da respirare

un fazzoletto imbevuto d’aceto.

– Grazie, gli ho detto con la voce più ferma che ho potuto.

– Mi sento bene.

Allora uno dei due s’è inchinato e mi ha legato i piedi con una

cordicella lenta, che mi lasciava far soltanto dei brevi passi.

La corda è stata unita a quella delle mani.

Poi l’omone mi ha buttato la giacca sulle spalle e annodato insieme

le maniche sotto il mento.

Quel che doveva fare, l’aveva fatto.

Allora il prete s’è avvicinato col crocefisso.

– Andiamo, figliolo, mi ha detto.

I due aiutanti mi hanno preso per le ascelle.

Mi sono alzato, ho camminato.

Avanzavo a passi molli e malfermi, come se in ogni gamba avessi

avuto due ginocchia.

In quel momento la porta esterna s’è aperta a due battenti.

Un clamore furibondo, un’aria fredda, una luce bianca hanno fatto

irruzione fino a me nel buio.

Dal fondo dell’oscura guardiola, di colpo ho visto attraverso la

pioggia le mille facce urlanti della gente ammassati sulla rampa

del grande scalone del palazzo, a destra, al livello della soglia,

una fila di guardie a cavallo, a causa della porta bassa, non scorgevo

che le zampe anteriori e i pettorali dei cavalli; di fronte, un

distaccamento di soldati, in assetto di guerra; a sinistra, la parte

posteriore d’una carretta, contro la quale era appoggiata un’erta

scala.

Un quadro orrendo, ben incorniciato da una porta di prigione.

Avevo conservato il mio coraggio per quel momento tanto temuto.

Ho fatto tre passi, e sono apparso sulla soglia della guardiola.

– Eccolo! eccolo! ha gridato la folla.

– Esce! finalmente!

E i più vicini battevano le mani.

Un re per quanto amato non avrebbe avuto tanta festa.

(Hugo, L’ultimo giorno di un condannato a morte)

 

 

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