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Con il piacevole pensiero di non avere da tempo, grazie a Dio, visite
private e dunque di non avere altre seccature, Andrej Efimyic torna
a casa, si siede subito nel suo studio e comincia a leggere.
Legge moltissimo e sempre con grande piacere.
Metà del suo stipendio se ne va in acquisto di libri, tre delle sei camere
del suo appartamento sono stracolme di libri, di vecchi giornali. Ama
soprattutto opere di storia e di filosofia; di medicina legge solo la
rivista ‘Medici’, cominciando immancabilmente dall’ultimo articolo.
Legge ininterrottamente per molte ore, senza fatica.
Legge non con la velocità e l’avidità con cui un tempo leggeva Ivan
Dmitric: legge lentamente, con concentrazione, fermandosi spesso sui
passi che più gli piacciono o che non capisce.
Verso sera di solito arriva il direttore della posta.
– Lei sa bene, dice il dottore con tono pacato, scandendo le parole,
– che non c’è nulla al mondo di più interessante e importante delle
supreme manifestazioni dell’intelligenza umana.
– L’intelligenza è ciò che distingue l’uomo dagli animali, che rimanda
alla sua origine divina e un certo senso sostituisce l’immortalità, che
non esiste. Fatte queste premesse, ne deriva che l’intelligenza è l’unica
possibile fonte di godimento. Se dunque intorno a noi non vediamo
né sentiamo alcuna sua manifestazione, vuol dire che veniamo privati
di ogni godimento.
– E’ vero che esistono i libri, ma non possono sostituire la conversazione,
il rapporto vivo, diretto. Se posso fare un paragone non del tutto calzante,
i libri sono le note, la conversazione è il canto.
– Perfettamente d’accordo.
– Spesso sogno di conversare con persone intelligenti, dice improvvisamente,
interrompendo Michail Aver’janyc.
– Mio padre mi ha dato un’ottima istruzione, ma influenzato dalle idee
materialiste degli anni Sessanta, mi ha costretto a fare il medico. Ho l’
impressione che se non l’avessi ascoltato, oggi sarei al centro del movimento
intellettuale del mio paese. Probabilmente sarei docente di qualche facoltà
universitaria. Certo, anche l’intelligenza ha i suoi limiti, non è eterna ma
voi sapete perché ne sono tanto attratto.
La vita è una trappola.
Quando un uomo intelligente raggiunge maturità e consapevolezza di sé,
si sente involontariamente in trappola, senza via d’uscita: capisce di essere
stato chiamato, contro la sua volontà, per circostanze fortuite, dal non essere
all’essere….
Perché?
Vuol sapere il senso e il fine della propria esistenza, nessuno gli dà una
risposta o gli dicono stupidaggini; bussa e nessuno gli apre; poi arriva
la morte, anch’essa contro la sua volontà.
Come i carcerati, uniti da una comune sventura, si sentono sollevati quando
si trovano insieme, così nella vita diminuisce la sensazione di essere in trappola
quando le persone portate all’indagine e alla riflessione si riuniscono e si scambiano
liberamente idee e opinioni.
In questo senso dicevo che l’intelligenza è un piacere insostituibile.
– Perfettamente d’accordo.
Accompagnato l’amico Andrej Efimyic torna alla scrivania e si rimette a leggere.
Il silenzio della sera e poi della notte non è turbato da nessun suono, il tempo
pare si fermi, rimanga immobile come il dottore con il suo libro, sembra che
nulla esiste all’infuori di quel libro e della lampada con il paralume verde.
Il volto rozzo, contadinesco del dottore a poco a poco si illumina di un sorriso
intenerito, estatico di fronte ai nuovi traguardi della mente umana.
– Oh, perché l’uomo non è immortale? pensa.
– A che servono i centri e le circonvoluzioni cerebrali, a che servono la vista,
la parola, le sensazioni, il genio se tutto ciò è destinato a finire in polvere,
raffreddarsi lentamente insieme alla crosta terrestre e continuare a ruotare
senza senso e senza scopo per milioni di anni intorno al sole?
Che bisogno c’era di trarre l’uomo dal nulla con la sua elevata, quasi divina
intelligenza per poi trasformarlo di nuovo, come per scherno, in polvere?
(Anton Cechov, Il reparto n. 6)