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Da:
Il seguente fatto avvenne non si sa bene se all’indomani
o due giorni dopo la visita dell’Alta commissione forestale.
Il Procolo dopo cena passeggiava per la spianata davanti
alla casa.
Il crepuscolo stava per finire quando si udì il segnale della
gazza.
Il colonnello chiese a Vettore chi potesse arrivare a quell’-
ora.
Vettore rispose che non sapeva proprio.
Dopo venti minuti non era ancor giunto nessuno.
Fu allora che la gazza gridò per la seconda volta.
– Una volta può sbagliare ma due volte non è mai accadu-
to, notò Vettore.
Il colonnello, camminando su e giù per il prato aspettò tre
quarti d’ora, senza che comparisse alcuno. Finalmente de-
cise di andare a letto e incaricò Vettore di fare la guardia.
Erano le 21,30 quando egli spense la luce e si rivoltò con la
pancia in giù per addormentarsi. Proprio in quel momento
giunse per la terza volta il richiamo della gazza. Ma non
venne nessuno.
La voce si udì alle 22,30, alle 23,10, alle 24 in punto, all’1,40
alle 2,55 e alle 3,45.
Il colonnello ogni volta cominciava un’attesa nervosa, ri-
cacciando indietro il sonno. Ogni volta accendeva la luce,
guardava l’orologio d’oro. Alle 3,49, quando per la decima
volta giunse la voce dell’uccello, il colonnello balzò sul let-
to, si vestì, prese un fucile, con alcune cartucce e si avviò
per la strada verso l’albero della gazza.
Quella notte c’era la luna piena, appena calante.
Giunto al limite del bosco, benché ci fosse abbastanza luce,
il colonnello non capiva più se avesse o no oltrepassato la
pianta della gazza.
Ma d’un tratto, proprio sopra la sua testa, echeggiò il rau-
co richiamo dell’uccello.
Alzati gli occhi, il Procolo riconobbe, su uno dei rami estre-
mi, la gazza guardiana. Allora alzò il fucile, mirò e lasciò
partire il colpo.
Spentasi l’eco della detonazione, rimasero solo le grida
altissime della gazza ch’era stata colpita e si dibatteva sul
ramo.
Il colonnello comprese benissimo che erano feroci maledi-
zioni.
– Ne avevo abbastanza di questi stupidi scherzi. Non vo-
glio perdere il sonno per colpa tua, gridò Sebastiano Pro-
colo.
– Dieci volte hai dato il segnale questa notte e non è venu-
to nessuno.
– Vigliacco!,
gridava la gazza,
– Adesso mi hai ferita gravamente. No che non ti dirò chi
ho visto passare stanotte, no che non te lo dico.
– Un bel niente hai visto passare,
disse il colonnello.
– La prova ne è che ti sei messa a gridare anche quando
sono arrivato io, eppure venivo da casa.
– Mi ero un po’ addormentata, ti ho visto fermo qui sot-
to. Non ho capito chi fosse. Poteva ben essere qualcuno
venuto dal basso… Sarà lecito sbagliare una volta!
Intanto la gazza con molta fatica era scesa di ramo in
ramo, fino un quarto dell’altezza dell’albero. Per tenersi
diritta, ferita com’era, appoggiava le ali come puntelli,
cercando di nascondere la sua infermità.
Seguì un silenzio e poi cominciarono a udire dei piccoli
colpi regolari sulla base del tronco. Il colonnello si accor-
se ch’erano gocce di sangue che cadevano dall’alto.
– Chi era passato di qui? Per chi avevi dato il segnale?
Domandò ancora Sebastiano Procolo.
– Non te lo dico,
rispose la gazza,
– E’ inutile che tu insista.
Un altro silenzio.
Si udì ancora il ticchettio sul tronco.
– Forse è una ferita da niente,
osservò il colonnello.
– Non importa, non preoccupartene. Del resto un giorno
o l’altro volevo ben andarmene da questo posto maledet-
to. Ingenua che ero: pensavo che il mio servizio di segna-
lazioni fosse gradito. Ma il posto non lo posso soffrire.
Tutto è vecchio decrepito, tutto va in putrefazione. Mor-
ro è morto. E tu, come età, non scherzi, caro il mio signor
colonnello.
– Ti sparo un altro colpo se non la smetti,
fece Procolo irritato.
La gazza gorgogliò qualche cosa, senza che si potesse
capire.
La voce divenne ancora più opaca del solito e usciva a
stento.
– Mi hai ferita a tradimento,
disse infine la gazza.
– Forse dovrò morire. Lasciami allora dire una poesia.
– Una poesia?
– Sì,
fece la gazza con tristezza,
– E’ il mio unico svago. Solamente faccio fatica. Le rime
non mi riescono quasi mai. Naturalmente bisogna che
qualcuno mi stia a sentire, senò è inutile. Due volte sole
in quest’ultimo anno…
– Be’,
disse il colonnello interrompendola,
– Fa’ presto, allora…
Si ebbe un silenzio che lasciò udire il ticchettìo delle
gocce del sangue, oramai fioco e rado. La gazza si e-
resse con tutte le forze, puntellandosi con le ali. Alzò
la testa verso la luna. Poi si udì la sua rauca voce, con
dentro una specie di dolcezza:
Ricordo i giorni in cui mi dicevano:
‘Certo tu volerai molto bene
tu avrai la vita facile e lieve
molto più lunga di quelle nostre’.
Così dicevano i miei fratelli.
Io mi affrettavo a risponder loro:
‘Non io bensì voi diventerete
di un’abalità eccezionale…’
Qui la gazza si fermò, ansimando, per avvertire:
– Mi dispiace ho perso una sillaba. Accade alle volte
così, non si sa come….’
Il colonnello, con la destra, fece un indulgente segno di
tolleranza.
– Dunque,
riprese allora l’uccello,
– Eravamo rimasti…:
‘…Non io bensì voi diventerete
di un’abilità eccezionale.
Voi sì diventerete famosi.
Forse vi faranno monumenti.
Di me sarete molto più bravi
e morirete molto più tardi’.
I miei fratelli allora dicevano:
‘Perché vuoi nascondere i tuoi meriti?
Possiedi tali disposizioni
da ottenere il più grande successo’.
Allora fingevo d’irritarmi:
‘No fratelli, siete proprio voi
che trionferete un dì nelle Americhe
tra rosse nubi napoleoniche’.
Non qui finiva la discussione.
In aprile, in agosto, in settembre,
anche in dicembre, tra i freddi venti,
sempre questi eterni complimenti’.
– Hai fatto una rima!,
notò ad alta voce il colonnello dal basso.
– Sì,
rispose la gazza,
– Me ne sono accorta. Peccato che….
Sebastiano Procolo stava attento. Vide la testa della gazza
afflosciarsi come se fosse mancato il sostegno. Tutto il cor-
po si piegò da una parte, restò un momento in bilico e poi
cadde giù dal ramo, fino a che giacque sul terreno.
Il colonnello raccolse da terra l’uccello, lo soppesò in una
mano, lo adagiò nuovamente al suolo.
Quando egli se n’andò, la notte stava per finire.
(D. Buzzati, Il segreto del Bosco Vecchio)