OBSESSOS (9)

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Obsessos (7/8) &

Viaggi Onirici… (una passeggiata…) &

L’albero….

Prosegue in:

Obsessos (10)

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Obsessos (9)  &  (10)

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In un giorno opaco, caldo e nebbioso, verso la fine di novembre

durante lo strano interregno delle stagioni che in America viene

denominato estate indiana, il signor Bedloe partì come di consu-

eto per le colline. Passò tutto il giorno ed egli non era ancora tor-

nato. Erano quasi le otto di sera e, seriamente preoccupati per la

sua prolungata assenza, ci accingevamo a metterci alla sua ricer-

ca quando improvvisamente riapparve tra noi in condizioni di salu-

te non peggiori del solito, ma molto più animato del consueto.

Il resoconto che fece della sua escursione e degli eventi che gli a-

vevano fatto ritardare il ritorno, fu veramente singolare. ‘Ricorderà’,

disse, ‘che erano all’incirca le nove del mattino quando ho lasciato

Charlottesville.

Indirizzai subito i miei passi verso le montagne e alle dieci circa en-

travo in una gola che era assolutamente nuova per me. Seguivo con

grande interesse i tornanti del passo. Lo scenario che presentava da

ogni lato, sebbene non potesse definirsi esattamente grandioso ave-

va un’aria indescrivibile e un aspetto per me delizioso di tetra desola-

zione. Il luogo solitario sembrava assolutamente vergine….’.

‘Mi alzai’, continuò Bedloe, guardando il dottore con una espressione

di profondo stupore, ‘mi alzai come lei ha detto, e discesi in città. Sulla

mia strada incontrai una gran quantità di gente che affollava ogni stra-

da, tutti nella stessa direzione, mostrando la massima eccitazione in

ogni atto.

Tutto ad un tratto, per un inspiegabile impulso, mi trovai personalmen-

te impegnato in quanto stava accadendo.

Mi sembrava di dover  giocare un ruolo primario senza capire esatta-

mente di che cosa si trattava. Sentii, tuttavia, di provare un sentimento

di profonda animosità contro tutta la folla che mi circondava. Sgusciai

via dalla loro stretta e rapidamente, seguendo un percorso periferico,

raggiunsi la città e vi entrai.

Qui regnavano la più grande agitazione e la più animata disputa…..

Una freccia o una lancia mi colpì sopra la tempia destra, vacillai e cad-

di.

Un terribile male si impadronì di me in un istante. Lottai… annaspai…

morii….

‘Non potrà ora testardamente insistere a dire’, dissi sorridendo, ‘che

tutta la sua avventura non era un sogno.

Non vorrà sostenere di essere morto?’.

Dicendo queste parole, mi aspettavo in realtà una qualche vivace re-

azione da parte di Bedoloe, ma con mia sorpresa, egli esitò, diventò pau-

rosamente pallido e rimase silenzioso.

Gurdai verso Templeton.

Sedeva eretto e rigido sulla sedia… i suoi denti battevano e gli occhi

sembravano volergli uscire dalle orbite.

‘Continui’, intimò con voce roca a Bedloe….

‘Per molti minuti’, continuò quest’ultimo, ‘il mio unico sentimento – l’unica

sensazione – fu di buio, di nullità con la consapevolezza della morte. Suc-

cessivamente sembrò che la mia anima fosse scossa da una violenta, im-

provvisa scarica, come una scarica elettrica.  Quest’ultima la sentii – non

la vidi.

Poco dopo mi sembrò di alzarmi da terra, ma non avevo una presenza cor-

porea, visibile, udibile o palpabile.

La folla era sparita, il tumulto era cessato, la città era in relativa quiete.

Al mio fianco giaceva il mio cadavere, con la freccia nella tempia, e tutta la

testa molto gonfia e sfigurata.  Tutte queste cose io le sentivo, non le vede-

vo.

Non mi interessava niente, perfino il cadavere era un oggetto che non mi in-

teressava. Non avevo alcuna volontà, mi sembrava fossi costretto a muo-

vermi e volteggiando nell’aria veleggiai fuori della città, ripercorrendo il sen-

tiero periferico attraverso il quale ero entrato in essa.

Quando raggiunsi quel punto della gola in mezzo alle montagne, nel quale

avevo incontrato la iena, sentii nuovamente una scossa elettrica; ritornaro-

no le sensazioni del peso, della volontà, dell’esistere. Tornai ad essere me

stesso quale ero in origine e rivolsi i miei passi per tornare rapidamente a

casa…

Ma il passato non aveva affatto perduto la vividezza della realtà….

E nemmeno ora posso costringermi neanche per un istante a considerar-

lo un sogno…’…….

 

 

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… A cosa serve la Storia se non imparare dagli… orrori e ceneri del nostro

passato! Chi sordo e cieco verso di essa non potrà mai sperare in un giu-

sto progresso umano e civile. La civiltà si fonda non tanto sul progresso ma

sul grado di percezione del nostro passato, sul grado di consapevolezza dei

nostri errori…. Costruire il nostro domani sulla stratificazione di ciò che è

stato e mai sarà più, questa è la migliore geologia che il Nostro Dio….

Primo o Secondo di questa nostra umile Storia… comanda e spera…. 

 

macello valtellina

 

… Sono i Grigioni discendenti da quei Reti che, devoti a libera morte, difese-

ro l’indipendenza loro contro le armi di Roma, stando a scirocco della Sviz-

zera, nelle valli che sorgono il Reno e l’Inn, e dove molti Romani rifuggirono

al cader dell’antichità, siccome l’attesta la lingua che ancor vi si parla, detta

ladina e romancia.

Fra le turbinose vicende che mutarono faccia all’Europa, subirono anch’es-

si le leggi della prepotente feudalità e il dominio dei vescovi di Coira e d’una

folla di signorotti che, possedendo appena poche pertiche di paese, si arro-

gavano però la sovranità indipendente, guerreggiavano coi vicini, opprime-

vano i sudditi, svaligiavano i viandanti.

 

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Ai costoro opposero i popoli la concordia dei voleri. Insorti, furono però mo-

derati dall’essersi posti alla loro testa il vescovo di Coira, gli abati di San

Gallo e di Dissentis, sotto cui la direzione si formò la ‘lega Caddea’. Gli al-

tri preti ne presero coraggio a domandare ai loro signori giustizia e sicurez-

za. I quali signori, accoltisi intorno ad un acero che si venera presso Truns,

fra Hanz e l’abadia di Dissentis, e sospesi i loro grigi gabbani al ferrato ba-

stone infisso nelle rupi, giurarono d’essere buoni e leali federati, e così for-

mossi la ‘lega grigia’ che diede agli altri il nome di Grigioni.

 

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Ciascuna lega restava divisa in comuni, ognuno dei quali regolava i propri

affari interni e mandava deputati alla dieta, talché il governo fu quivi più de-

mocratico che in qualsiasi luogo e possedeva quel voto universale, che og-

gi vuol considerarsi come la miglior espressione della libertà. Ogni valle, in-

fatti, ogni terra, ogni parrocchia, si conservò stato indipendente, con gover-

no proprio, diritti, privilegi.

… Giovanni Comander, arciprete della cattedrale in Coira, Enrico Spreiter,

Giovanni Blasius, Andrea Fabritz e Filippo Salutz avevano propagato fra i

Grigioni le dottrine di Zuinglio e di Calvino, e ben presto la Riforma si stabi-

lì in codesti luoghi. Invano gli Svizzeri fedeli tentarono rimettervi il cattolici-

 

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smo; invano della Riforma disgustarono gli Anabattisti ed altri trascenden-

ti, dai quali Lutero e Zuinglio erano esecrati non meno che il papa: nella

dieta d’Hanz fu stabilito che a tutti fosse libero professare la religione cat-

tolica o l’evangelica; e questo restò fino ad oggi lo statuto dei Grigioni.

Ogni parrocchia ebbe il diritto di scegliersi i pastori; sciolti gli obblighi ere-

ditati di far celebrare messe e anniversari; non si ricevessero più frati nei

monasteri, non si mandasse denaro a Roma per annate o dispense o

che altro motivo.

(Prosegue…..)

 

 

 

 

 

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OBSESSOS (8)

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Obsessos (7)

Prosegue in:

Obsessos (9) &

Viaggi onirici & Sogni: l’albero

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Selezione dal Baculus Daemonum

 

Del modo di riconoscere gli indemoniati

 

(L’esorcista) potrà riconoscere la presenza d’uno spirito (maligno)

quando sentirà la vittima parlare o conoscere ciò che è stato detto

in altro luogo, o sapere cose che non avrebbe potuto sapere, come

ad esempio nel caso di cose lontane ed occulte.

Riconoscerà con più probabilità (l’indemoniamento) quando vedrà

tremare sotto la sua mano la persona, quasi fosse colpita, quando

pronuncia le sacre parole, o fare torsioni; (esprimere) dolori, movi-

menti o furori insoliti e subitanei, o inorridire e detestare le cose

divine, come i Sacramenti e massimamente (quello) dell’Eucare-

stia, della Confessione e i nomi dei Santi e le Orazioni divine.

Vedrà inoltre gli indemoniati piangere senza sapere perché stan-

no piangendo….

Rispondere a quelli che lo interrogano con ira, indignazione e ag-

gressività contraria alle normali consuetudini.

….Non parlare, essendovi costretto…

…Stringere i denti e rifiutarsi di mangiare….

…Dire molte cose, ma non riconoscere che la minima parte di ciò

che ha voluto esprimere…

….Rimanere come privo di sensi…

…Percuotere coi pugni, lacerarsi le vesti e strapparsi i capelli…

…Essere invaso da terrore improvviso, e all’improvviso il terrore

sparisce.

….Imitare il verso di diversi animali.

…Far stridere i denti e mostrare segni di cane rabbioso.

….Protendersi sui precipizi.

Dagli indemoniati inoltre sono percepite o udite varie cose sovran-

naturali.

Sente attraverso il corpo uno scorrere di formiche, un saltare di rane,

un serpeggiare di vipere, pesci che nuotano, mosche che volano.

Sotto la mano consacrata imposta loro sul capo, o durante la sacra

lettura, avvertono un senso di freddo o di calore intensissimi, o di

peso.

Gridano se imponi loro sul capo e sul corpo certe reliquie di Santi,

anche se lo fai di nascosto, e dicono di toglierle perché puzzano, o

pesano, o si slanciano rabbiosi contro il ministro o contro i presenti.

Hanno in odio ogni cosa spirituale, fuggono al cospetto del sacerdo-

te e particolarmente dell’esorcista.

Non vogliono entrare in Chiesa e, se entrano, scappano, o provano

fastidio delle corone e dei libri spirituali, e non vogliono guardare

né baciare gli oggetti benedetti e le immagini dei Santi; le gettano

via e ci sputano sopra.

Quando leggi gli Evangeli, gli Esorcismi, la Passione di Cristo e

simili, gli indemoniati si prostrano turbati e compiono altre azioni

disordinate.

Manifestano le cose segrete, interpretano le cose difficili, parlano

in latino pur essendo ignoranti e così via.

Si ricordi tuttavia che questi sintomi possono manifestarsi anche

nell’affatturato (maleficiato).

 

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(Commento del curatore del blog: In questo secondo capitolo del ‘Baculus

Daemonum’, non scelto a caso, fonte di ispirazione per talune considera-

zioni in Storia di un Eretico, il successivo Dialoghi con Pietro Autier,

ed Il Viaggio, sono evidenziate chiaramente tutte le sintomatologie che

diverranno patrimonio futuro di studio sia della moderna (o antica) cri-

minologia di Lombroso, sia contestualmente della moderna pratica psi-

chiatrica di Freud e Jung.

In tutti e tre i casi citati, l”indemoniato’ prima, il ‘paziente’ poi, e suc-

cessivamente il ‘dissidente’, presentano il profilo ‘schizzoide’ qui enun-

ciato.

Nello studio di tali soggetti sono volutamente trascurati fattori antropo-

logici-ambientali, che cederanno il passo alla uguale volontà classificatri-

ce ed ‘ortodossa’, nella pretesa assente allo ‘gnosticismo’, di porre la dif-

ferenza fra ciò che è reputato normale e ciò che non lo è, nel concetto este-

so e infinito del principio della vita, trascurando in questa visione il suo

vero propagarsi dagli esordi dell’Universo, fino al suo ‘specchio’ qui sul-

la nostra ‘Terra’; che come appunto detto, finiranno per cedere il passo

alla volontà ‘eugenetica’ con la convinzione necessaria e sufficiente del

perfezionamento attraverso la selezione forzata.

La storia conosce questa prerogativa umana che esula dal contesto

‘creatore’ della Natura e sfocia nella pura persecuzione sia essa na-

zista o comunista, per quel che ci riguarda vi è poca differenza.

La realtà storica ed antropologica rimossa dal cattolicesimo, e dal-

la pratica medica, di fatto ha cancellato ogni diversa chiave inter-

pretativa.

Si noterà in seguito come, su uguali fondamenta la psichiatria e con

essa la psicologia, tende, oltre che ad evidenziare le premesse bio-chi-

miche (prima disconosciute), trascurate dai suoi predecessori, anche

a rilevare medesimi comportamenti, convinta di superare, nello stes-

so ‘humus’ culturale, barriere sociali di epoche lontane tra loro.

Nella realtà dei fatti la miopia dei Padri della Chiesa ed i suoi Dotto-

ri, riflessa nella moderna pratica medica risponde ad ugual cecità di

eminenti Dottori di prestigiose Università (odierne).

Trascurando in tutti i casi citati prima e dopo il malessere origina-

rio dal quale il presunto male, come un frutto malsano, o peggio come

qui evidenziato, ‘indemoniato’, scaturisce isolato dal naturale conte-

sto che in realtà lo origina.

Il limite della visione dell’uomo riflessa nel contesto sociale che lo giu-

dica e classifica è l’anello evolutivo nel quale la società ‘Riconosce’ e

si ‘Riconosce’, omettendo o peggio sacrificando all’altare del ‘progres-

so’ e del ‘compromesso’, altre chiavi interpretative fondamentali per

cogliere il problema nella sua interezza, se di problema si tratta, nella

sua veredicità culturale e sociale.

Rousseau da buon pedagogo offrì una possibile soluzione, che rima-

ne fondamento trascurato, per cercare, da umile profano, altre veri-

tà fin qui ben celate.)

 

 

 

 

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OBSESSOS: (6) (Baculus Daemonum l’humus culturale di quell’uomo… saputo & arguto)

Precedente capitolo:

 Sogni (5)

Prosegue in:

Obsessos (7)

Da:

i miei libri 

 

 

baculus daemonum

 

 

 

 

 

Questo manuale della prima metà del sec. XVII era stato scrit-

to ad uso degli esorcisti.

Gli esorcisti erano null’altro che zelanti e valenti ‘dottori’ di

Chiesa specializzati in pratiche dottrinali per la salvezza dell’-

anima e con essa la salvaguardia di ogni pericolo proveniente

da ogni diversa dottrina voce di ogni possibile dèmone o an-

cor peggio Diavolo tentatore.

Custodi dello Spirito, questi ‘dottori’ curavano la loro infatica-

bile opera come il solo vero rimedio contro le tentazioni del

Maligno.

Con i secoli ugual ‘dottori’ non dissimili dai loro antenati, pra-

ticano ancora la loro scienza, o meglio, il controllo dello Spirito

incarnato nell’inconscio e subconscio, per ottenere medesimi

risultati, la genetica culturale o meglio l’humus che impregna il

loro fervore è il medesimo.

Frutto di una cultura rimasta irrimediabilmente legata a queste

ed altre pratiche ‘Medievali’. 

 

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Il libro in oggetto, ‘Baculus Daemonum’ è stato rinvenuto nella Biblio-

teca del Convento di San Giuseppe, dei Padri Cappuccini di Leones-

sa, sui monti reatini.

Si tratta di un’opera interessante poiché, oltre alle formule rituali

da usare caso per caso su ‘indemoniati‘ o ‘vittime di maleficio‘, offre,

in forma compendiaria, un’accurata sintomatologia della possessio-

ne diabolica; esamina la dinamica dell’invasamento (obsessio); pas-

sa in rassegna i mezzi tecnici per contrastarne gli effetti e giungere

alla guarigione; enumera i rischi ai quali l’esorcista si espone ed a-

nalizza disposizioni psichiche e spirituali (morali, religiose) per e-

vitare che il contatto col lato notturno del sacro si trasformi in con-

tatto distruttivo.

 

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Non si tratta di una disquisizione teologica sulla presenza del dia-

volo nella vita quotidiana (anche se il contesto che l’ha originata,

si colloca in un ben preciso periodo storico), ma di un vero e pro-

prio strumento (un bastone appunto) da usarsi in caso di bisogno.

Ed è da credere, considerando il periodo storico che le occasioni

non siano mancate.

Dal punto di vista della medicina tradizionale, che prevede l’ori-

gine sovrannaturale di certe malattie, inoltre, il libro è un tratta-

to di ‘medicina teurgica’.

L’autore è un sacerdote di Gubbio, sottolinea l’azione degli stre-

goni (malefici) e delle streghe (malefiche) nel procurare magica-

mente mali tramite l’alleanza o ‘patto’ col diavolo.

Quando il libro fu scritto si combattevano ancora le ultime bat-

taglie della grande crociata contro eretici e streghe.

 

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Due anni dopo la pubblicazione del libro in questione, nel 1620,

la Chiesa prendeva ufficialmente posizione contro la persecuzione

delle streghe ed eretici degenerata in carneficina con una ‘Intenzio-

ne’ diretta al Sant’Uffizio.

In Francia il reato di stregoneria venne soppresso nel 1672.

In Inghilterra la persecuzione durò almeno fino alla metà del 1600.

In Germania continuò fino al secolo dei lumi.

In Svizzera l’ultima condanna a morte fu eseguita sette anni dopo

la Rivoluzione francese.

Il titolo completo del testo rinvenuto, e del quale presenterò una

selezione di brani, è il seguente (tradotto):

 

BASTONE

DEI DEMONI

SCONGIURI

DEGLI SPIRITI MALIGNI

 

Ottimi, e efficacia sperimentata e mirabile, dei quali la conoscenza

spetta propriamente al Sacerdote.

In parte dedotti dalla vita di S. Ubaldo Vescovo e Confessore Canonico

Regolare Lateranense e in parte sperimentati dall’Autore nella Chiesa

di detto Santo.

Con una singolare istruzione sull’espulsione dei maligni spiriti.

Autore R.P.D. Carlo Oliviero da Vicenza, Predicatore e Cittadino di

Gubbio, Canonico Regolare del Salvatore Lateranense, dell’Ordine di

S. Agostino e professore nell’arte Esorcistica.

(prosegue…)

 

 

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SOGNI (2)

Precedente capitolo:

Sogni

Prosegue in:

Sogni (3)

  

 

sogni 2

 

 

 

 

 

 Sono ormai passati decenni da quando praticavo un certo

allenamento nell’arte di ricordarmi dei miei sogni notturni,

di riprodurli mnemonicamente, a volte persino di trascri-

verli e di investigarli nei loro significati alla luce dei metodi

appresi allora, oppure di seguire le loro tracce e concentrar-

mi nel loro ascolto sino a farne scaturire una sorta di solle-

citazione, di affinamento dell’istinto, un monito o incorag-

giamento, ma in ogni caso una maggiore familiarità con i

domini del sogno, un’osmosi tra conscio e inconscio mi-

gliore di quella che in genere si possiede.

La conoscenza di alcuni libri di psicologia, e della stessa 

prassi psicoanalitica che avevo sperimentato, era stata qual-

cosa di più di un avvenimento sensazionale, era stata un

confronto con delle potenze reali.

Ma come accade anche per l’impegno più intensivo nel sa-

pere, per il geniale e appassionante insegnamento tramite

l’uomo o i libri, così, col passare degli anni, è accaduto an-

che per questo confronto col mondo dei sogni e dell’incon-

scio: la vita continuava ponendo nuove e sempre rinnovate

esigenze e questioni, quello che di quei primi confronti

aveva prodotto una scossa, una sensazione, perdette di

novità e forza di coinvolgimento, il sistema dell’esperienza

psicoanalitica non poteva continuare a essere praticato co-

me fine a se stesso, ma venne inquadrato, venne a volte

dimenticato o sopraffatto da nuove esigenze della vita, pur

senza perdere del tutto la sua intima efficacia e la sua forza,

così come nella vita di una persona giovane la prima lettura

di Holderlin, Goethe, Nietzsche, la prima conoscenza dell’-

altro sesso, il primo palpito di emozione provocato da  sol-

lecitazioni ed esigenze sociali e politiche dev’essere coordi-

nato col passato e con il restante patrimonio di esperienze.

(H. Hesse, La Natura ci parla)

 

 

 

 

 

sogni 2

 

VIAGGI ONIRICI: Dagon (6)

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Precedenti capitoli:

Viaggi onirici (4/5)

Prosegue in:

Il doppio mostruoso &

Sogni paradossali: vermi elettrici & pecore nere (7/8)

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Viaggi onirici (1)  &  (2)

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DAGON

 

Scrivo in uno stato di tensione insostenibile.

Fra poco sarà l’alba e, allora, io non esisterò più.

Privo d’ogni mezzo, privo della droga che – sola – mi ha

consentito fino ad oggi di sopravvivere ai miei incubi, non

mi rimane altro modo per sottrarmi al tormento: mi getterò

dall’alta finestra di questa soffitta, nella squallida strada sot-

tostante.

Tuttavia io non sono un debole.

E’ vero sono schiavo della morfina, ma non sono un degenerato.

Quando avrete finito di leggere quello che, tra i brividi della feb-

bre, sto scrivendo, forse riuscirete a comprendere le mie ragioni.

 

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La mia vicenda ebbe inizio in una delle zone più aperte e meno

frequentate dell’immenso Oceano Pacifico, quando la nave mer-

cantile inglese sulla quale ero imbarcato venne catturata da un

vascello corsaro tedesco.

La Guerra Mondiale era allora ai suoi inizi, e il comportamento

sul mare dei tedeschi non era ancora arrivato al livello di atroci-

tà che raggiunse più tardi.

Noi prigionieri fummo perciò trattati con ogni riguardo, e la sor-

veglianza cui eravamo sottoposti era così allentata che, dopo soli

cinque giorni dalla cattura, riuscii a fuggire.

Mi trovai solo, su una piccola imbarcazione, in mezzo all’oceano

sconfinato. Avevo però con me cibo ed acqua sufficienti per un

lungo periodo.

 

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Per molti giorni andai alla deriva, senza avere la minima idea del-

la mia posizione. Possedevo soltanto poche rudimentali nozioni

di navigazione: bastanti, tuttavia, per presumere, mediante l’osser-

vazione del sole e delle stelle, che mi trovassi di poco a sud dell’-

equatore.

Della longitudine non avevo la minima idea, né riuscivo a scorge-

re alcuna isola o litorale. Non c’era una sola nuvola in cielo e conti-

nuavo a farmi trascinare dalle correnti sotto il sole incandescente

sperando nel passaggio di una nave, o che il mare mi gettasse sul-

la spiaggia di qualche terra abitabile.

Ma i giorni si susseguivano senza che riuscissi a vedere né navi né

terre, e cominciavo a disperare solo com’ero in quell’immensa, az-

zurra, ondulante uniformità.

 

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Quando si verificò il mutamento stavo dormendo profondamente.

Ciò che successe in realtà, non lo saprò mai: da giorni ero preda di

un sopore continuo, popolato di sogni spaventosi. In quel momen-

to di veglia, mi scoprii quasi sommerso dalla distesa minacciosa di

una palude grigiastra, che si allargava tutt’intorno, a perdita d’oc-

chio, in monotone ondulazioni.

A breve distanza da me, era incagliata la mia barca. 

Sarebbe naturale attendersi che, di fronte ad un cambiamento di sce-

na così straordinario ed inaspettato, la mia prima reazione fosse di

stupore.  Invece, più che meravigliato, mi sentii preda di un orrore

indescrivibile.

Nell’aria velenosa e nel suolo putrescente, avvertivo infatti qualcosa

di sinistro che mi ghiacciava il sangue. L’ambiente era reso fedito dal-

le carcasse di pesci in decomposizione, e da altre cose meno ricono-

scibili che affioravano dalla melma immonda di quella palude senza

fine.

 

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Nessun suono giungeva alle mie orecchie, e null’altro si vedeva se

non la sconfinata distesa di fango nerastro. Ma erano proprio quel

silenzio totale e l’assoluta uniformità di quel paesaggio ad oppri-

mermi con un senso di orrore e di disgusto.

Il sole sfolgorava in un cielo simile ad una lastra di piombo nella

sua crudezza senza nubi. Sembrava quasi che riflettesse la palude

d’inchiostro nella quale mi trovavo prigioniero.

Strisciando faticosamente, raggiunsi la mia barca incagliata e, men-

tre avanzavo, mi convinsi che c’era una sola spiegazione per lo sta-

to in cui mi trovavo: a causa di qualche misterioso movimento vul-

canico, una parte del fondo marino era risalita in superficie, ripor-

tando alla luce regioni che per innumerevoli milioni di anni erano

rimaste celate nella tenebra insondabile degli abissi oceanici.

Tanto vasta era l’esistenza della nuova terra sollevatasi sotto di me,

che non mi era possibile, per quanto affinassi l’udito, cogliere nep-

pure il più tenue e lontano rumore del mare.

Melma e cose morte si estendevano a perdita d’occhio, e non c’era-

no uccelli marini in cerca di preda fra le carcasse. Cupo e pensoso,

rimasi per ore rannicchiato nella mia barca.

 

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Il suo scafo, coricato su un fianco, mi offriva riparo dai raggi cocen-

ti del sole che si spostavano nel cielo. A mano a mano che il giorno

si dipanava, il terreno intorno a me perdeva un poco della sua vi-

scosità, promettendo di indurirsi abbastanza perché, di lì a poco,

potessi camminarvi senza fatica.

Quella notte dormii solo a tratti, e il giorno successivo preparai un

fagotto da portare sulle spalle, carico di provviste e d’acqua, deciso

a mettermi in cammino in cerca del mare scomparso e di un impro-

babile soccorso.

Il terzo giorno, il terreno era abbastanza solido da potervi cammi-

nare sopra agevolmente. Il fetore del pesce decomposto mi nause-

ava, ma non era certo quella la maggiore delle mie preoccupazio-

ni.

Mi incamminai dunque verso una destinazione ignota e, per tutto

il giorno, continuai ad avanzare faticosamente verso ovest, diretto

ad una lontana altura che, come avevo scoperto era l’unico rilievo

che dominasse quel deserto ondulato.

Scesa la notte, sostai e ripresi il cammino il giorno seguente, sem-

pre nella medesima direzione. L’altura tuttavia, non sembrava più

vicina di quando l’avevo scorta per la prima volta.

 

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Era ormai quasi notte quando riuscii a raggiungerne la base; e al-

lora mi si rivelò molto più alta di quanto non mi fosse apparsa

quando la osservavo da lontano, nella piattezza uniforme del

terreno.

Troppo esausto per tentarne la scalata, mi sistemai per passare

la notte, e mi addormentai. Non so perché i miei incubi fossero

così orrendi.

So soltanto che la falce della luna calante non era ancora alta nel

cielo, verso est, quando mi svegliai madido di sudore gelato, de-

ciso a non riprendere sonno.

Le visioni che avevo avuto erano troppo spaventose perché po-

tessi sopportarle di nuovo, solo in quella desolazione tenebro-

sa.

Il chiarore della luna, tuttavia, mi fece riprendere animo, e allora

compresi che ero stato sciocco a voler viaggiare di giorno. Senza

il fulgore ardente del sole, il cammino sarebbe stato più facile.

In quel momento, infatti, mi sentivo più riposato e disposto a

tentare la scalata che mi aveva scoraggiato al tramonto.

Ripresi quindi il viaggio, diretto verso la cima dell’altura.

L’uniformità monotona di quella distesa ondulata era per me, co-

me ho detto, fonte di un orrore sottile ed indefinibile. Ma ben più

grande fu il mio orrore, giunto sulla vetta e gettato uno sguardo

in basso dall’altro versante, mi trovai sospeso su un baratro im-

menso, i cui recessi profondi e macchiati di tenebra la luna non

era arrivata a illuminare.

 

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Mentre cercavo di affondare lo sguardo in quel caos oscuro, mi

sentii orrendamente solo sull’orlo estremo del mondo. Nel mio

terrore, lampeggiarono improvvisi ricordi del ‘Paradiso perdu-

to’, il poema di Milton letto in gioventù, e della scalata di Satana

attraverso i regni delle tenebre, immensi e senza forma.

Quando la luna fu alta nel cielo, mi accorsi però che il terreno ai

miei piedi non era scosceso come avevo immaginato. Nella par-

te iniziale, molte sporgenze rocciose fornivano punti di appog-

gio per un’eventuale discesa: poi, ad un certo punto, il pendio

diminuiva.

Spinto da un impulso che si sottrae ad ogni analisi, cominciai

la discesa del primo tratto, il più difficile, per fermarmi sulla

china ripida che seguiva.

Lì, la mia attenzione fu catturata da una paurosa massa che,

dalla parte opposta dell’abisso, si alzava diritta per una tren-

tina di metri.

 

dg11

 

Si trattava di un monolite biancastro che risplendeva nel chia-

rore della luna nuova in ascesa nel cielo. Era soltanto un gi-

gantesco blocco di pietra: mi rassicurai in fretta. Ma non pote-

vo riconoscere che la sua sagoma e la sua collocazione non e-

rano in alcun modo ascrivibili all’opera della sola natura.

Un’osservazione più attenta suscitò in me sentimenti diversi

e inesprimibili: dovetti arrendermi all’idea che, malgrado le

sue dimensioni ciclopiche e la sua posizione in un abisso che

si era spalancato sul fondo del mare agli albori Terra, quel

monolite titanico aveva senza dubbio conosciuto l’opera del-

l’uomo, e l’adorazione religiosa di popoli ignoti.

Sbigottito, e tuttavia pervaso da quel brivido di piacere che

ben conoscono gli scienziati e gli archeologi di fronte all’im-

ponderabile, scrutai con maggiore attenzione ciò che mi sta-

va attorno.

 

dg12

 

La luna che ormai era quasi giunta allo zenith, faceva piove-

re una luce vivida e irreale sopra i picchi torreggianti che so-

vrastavano la voragine, permettendomi di scorgere, sul fon-

do, un’ampia distesa d’acqua che si allargava in un senso e

nell’altro, quasi lambendomi i piedi sul pendio in cui mi tro-

vavo, e bagnando con piccole onde la base del titanico mo-

nolite al di là della voragine.

Sulla superficie dell’immensa pietra potevo ora distinguere

alcune iscrizioni e delle rozze figure scolpite. Le scritte erano

in geroglifici che mi risultavano ignoti, ma che in un certo sen-

so erano riconoscibili, perché si rifacevano a simbolismi figu-

rativi dal valore universale.

Tra forme confuse, scorgevo le immagini di pesci, anguille,

polipi, crostacei, molluschi, balene ed esseri simili. Altre in-

cisioni, delineavano creature marine ignote al nostro mondo.

Creature le cui forme in decomposizione – mi resi conto – io

avevo osservato nella palude di melma nera sorta dal fondo

dell’oceano.

Furono i bassorilievi, tuttavia, ad esercitare su di me il fasci-

no maggiore. Perfettamente visibili grazie alla loro smisurata

grandezza, una serie di sculture sull’altra riva esibivano for-

me che avrebbero suscitato l’invidia di Gustave Doré.

 

dg13

 

Forse (ma non ne sono sicuro), volevano raffigurare degli u-

omini; più probabilmente, una specie particolare di uomini.

Erano creature ritratte mentre nuotavano come pesci nelle pro-

fondità di qualche grotta sottomarina, o mentre rendevano de-

voto omaggio ad altari monolitici sommersi anch’essi dalle a-

cque.

Il loro aspetto non oso descriverlo.

Edgar Allan Poe o Bulwer Lytton non avrebbero saputo im-

maginare nulla di più grottesco: figure nel loro insieme an-

cora diabolicamente umane, malgrado le mani ed i piedi pal-

mati, le labbra orribilmente rigonfie e flaccide, gli occhi vi-

trei e sporgenti, ed altre caratteristiche ancora più orribili da

ricordare.

 

dg16

 

Inoltre – fatto curioso – le loro raffigurazioni erano del tutto

sproporzionate rispetto all’ambiente: una di esse per esem-

pio, era rappresentata nell’atto di uccidere una balena che

appariva poco più grande di lei.

Il loro aspetto grottesco e le loro dimensioni bizzarre non mi

sfuggirono; conclusi, che si trattava senza dubbio delle divi-

nità immaginarie di qualche comunità primordiale, ignorata

da tutti, i cui ultimi discendenti erano scomparsi dal nostro

pianeta migliaia di anni prima che nascesse il progenitore

dell’uomo di Piltdown o dell’uomo di Neanderthal.

Ero perso in fantasticherie su quel passato così remoto da

superare tutte le più ardite teorie antropologiche, immerso

nella luce lunare che creava riflessi sull’acqua silente, quan-

do, d’improvviso, la vidi.

Con un solo lieve risucchio a testimonianza della sua emer-

sione, la cosa incredibile scivolò fuori dall’acqua tenebrosa

davanti ai miei occhi. Titanica e repellente, la mostruosa

creatura si lanciò verso il monolite, poi lo cinse con le sue

gigantesche braccia coperte di squame, curvando la testa

orribile e emettendo urla ritmate.

Fu in quel momento, credo, che caddi in preda alla follia.  

 

dg14

                                                            

Della mia frenetica risalita su per il pendio roccioso, e del

mio viaggio verso la barca incagliata, rammento ben poco.

Credo di ricordarmi che cantai a lungo, e risi convulsamen-

te quando non mi riuscì più di cantare.

Ho la vaga reminiscenza di una grande tempesta scoppiata

poco dopo che ebbi raggiunto la barca. So di certo che udii

grandi fragori di tuono, e gli altri ululati che la natura leva

al cielo nei suoi momenti più selvaggi.

Quando emersi dalla tenebra, mi ritrovai in una stanza d’o-

spedale a San Francisco, dove ero stato portato da una nave

americana che aveva avvistato la mia barca in mezzo all’o-

ceano.

A quanto pare, nel delirio avevo parlato molto, ma nessuno,

ovviamente aveva prestato soverchia attenzione a ciò che di-

cevo. Di maremoti o altri sconvolgimenti tellurici nella zona

del Pacifico in cui ero stato raccolto, i miei salvatori non sa-

pevano nulla.

 

dg15

 

Né io ritenni opportuno ripetere anche da sveglio ciò che sen-

za dubbio avevo già raccontato durante il delirio: nessuno,

peraltro, mi avrebbe creduto.

Un giorno, venni in contatto on un etnologo famoso, e gli fe-

ci alcune domande sull’antica leggenda filistea di Dagon, il

Dio-Pesce. Ma mi resi conto subito che lo studioso non era

in grado di uscire dal ristretto campo delle curiosità libre-

sche, e non spinsi oltre la mia indagine.

 

dg17

 

E’ di notte che vedo quella creatura orrenda, specie quando

la luna è falcata. Ho cercato soccorso nella morfina, ma la

droga mi ha donato un sollievo temporaneo.

Alla fine, non ho ottenuto altro risultato che aggiungere la

sua schiavitù a quella del mostruoso ricordo. Ormai, non

mi resta che porre la parola fine a tutto ciò, dopo aver avu-

to il coraggio di scrivere quanto ho visto per l’informazio-

ne – o il divertito disprezzo – dei miei simili.

Mi domando spesso se non può essere stata tutta un’allu-

cinazione, la conseguenza di una febbre provocata dal so-

le ardente mentre deliravo nella barca, preda delle corren-

ti.

Me lo chiedo: ma, sempre, l’incubo mi risponde di no, rin-

novandosi ogni volta più orrendamente vivido. Non pos-

so pensare all’oceano senza rabbrividire all’idea delle cre-

ature senza nome, simili a noi, che in questo medesimo

istante strisciano e si dibattono nel fango dei suoi abissi;

che adorano con riti blasfemi i loro remoti idoli di pietra,

o sono intente a scolpire i propri ripugnanti ritratti su

sommersi obelischi di granito verdastro.

 

dg10

 

Penso al giorno, forse vicino, in cui le loro gigantesche

braccia squamose si leveranno dai flutti per trascinare

sul fondo, nei loro artigli immondi, quanto resta dell’-

insignificante genere umano sfibrato dalla guerra.

Quel giorno, forse, i continenti stessi si inabisseranno e

il fondo oscuro dell’oceano salirà alla luce in un catacli-

sma cosmico.

La mia fine è giunta.

Sento un rumore sordo alla porta, come se un’enorme ma-

no viscida stesse raspando contro di essa….

Ma quella mano, mio Dio, non mi troverà….

(Lovecraft, Dagon)

 

 

 

 

21 (2)

H.P LOVECRAFT

 

h.p. lovecraft (providence 20 agosto 1890,providence 15 marzo 1937)

 

 

Precedenti capitoli:

Viaggi onirici (1)  &  (2)

Prosegue in:

Contro il mondo &

Viaggi onirici (3)  &  (4)

Foto del blog:

Drolerie (1)  &  (2)   

Da:

i miei libri

 

  

(….. I politici possono sempre imparare qualcosa

 

 di nuovo dall’alto del loro pulpito……

 

…..E che Dio ci risparmi dai loro sermoni,

 

loro o della ‘famiglia’ e ‘casta’ di appartenenza…….)

  

  

A Robert Erwin Howard

  

Caro R.E.H.,

Nessun sistema di governo potrà restituire all’individuo quella

pressoché illimitata possibilità d’azione e d’iniziativa che esiste-

va nel mondo agricolo-artigianale di un tempo: è questa una

conseguenza inevitabile della crescita demografica- che provoca

una sempre maggiore interazione tra gli individui – e di un siste-

ma industriale meccanizzato che impedisce l’iniziativa impren-

ditoriale all’individuo medio privo di assistenza, ma consente al

contrario un’attività produttiva virtualmente illimitata all’indi-

viduo o gruppo dotato di ampia disponibilità di macchinari e di

risorse utili al lavoro.

Questi due fattori sono perfettamente naturali, e dunque inevita-

bili: non li si potrà eliminare.

Non ha senso fermarsi e rimpiangere la scomparsa dell’epoca d’-

oro dell’individualismo.

La crescita della densità demografica e l’avvento della meccaniz-

zazione nella produzione industriale sono due fenomeni ormai

consolidati: non possiamo che adattare le nostre abitudini e i

nostri stili di vita a queste realtà ineluttabili.

Logicamente, non lotteremo contro queste nuove realtà in sé, ma

contro il loro abuso. Potremo quindi legittimamente opporci a che

la crescita demografica e la produzione di massa vengano prese a

pretesto per attuare misure unilaterali.

Se la maggior parte della popolazione dovrà modificare il proprio

atteggiamento a causa delle nuove condizioni che sono maturate,

lo stesso dovrà fare il mondo dell’industria e degli affari.

L’illimitata libertà d’azione non è un principio che vada necessa-

riamente difeso come  sacro o inviolabile: tutte le civiltà, in misura

variabile, lo adottano – a causa dell’infinito arricchimento dell’esi-

stenza che esso comporta.

Ma analogamente, l’illimitata iniziativa individuale, che porti a

una logica del profitto non regolamentato, non è a sua volta alcun-

ché di sacro o inviolabile.

Se la situazione della società moderna fa sì che la politica econo-

mica liberista si rilevi dannosa sul piano sociale – provocando, ad

esempio, la concentrazione delle risorse nelle mani di pochi e il

generale peggioramento delle  condizioni di vita della maggio-

ranza – allora questa politica di ricerca del profitto, e  l’iniziati-

va individuale priva di regole, devono essere respinte. 

L’obiettivo di un buon governo non è quello di realizzare ideali

astratti come quelli di ‘libertà’ o di ‘buona amministrazione’,

bensì, più semplicemente, di assicurare un’equa distribuzione

delle risorse esistenti e di trovare il giusto equilibrio tra il sod-

disfacimento dei normali istinti e bisogni della popolazione e

il mantenimento del sistema, senza far sprofondare le persone

in uno stato di miseria peggiore rispetto a quello che potrebbero

sopportare sotto quel sistema e le sue leggi. 

La completa libertà d’azione, e l’iniziativa non regolamentata

in campo economico e nella ricerca del profitto, probabilmente

non saranno più ammissibili in futuro – e un’aculata politica

conservatrice potrebbe rivelarsi più efficace di un avventato

radicalismo.

Una moderna nazione civile è perfettamente in grado di salva-

guardare la libertà di pensiero, di opinione, di ricerca scientifi-

ca, e di espressione artistica, nonostante la Russia abbia deciso

di ripudiarle.

Sarebbe come affermare che alcuni piaceri della vita debbano

essere eliminati, solo perché esistono categorie di persone che

non riescono ad apprezzarli.

Se tutto il patrimonio culturale che abbiamo erididato ci fosse

portato via, quale altra ragione di vita rimarrebbe?

E’ questa la critica principale che muovo alla Russia sovietica.

L’ultimo, irrinunciabile baluardo d’indipendenza individuale

per il quale vale la pena lottare fino in fondo è ‘la libertà di pen-

siero, opinione, ricerca, ed espressione artistica’.

Sono questi i principi realmente costitutivi della personalità nel

senso migliore del termine: senza di essi, la tanto decantata liber-

tà fisica del selvaggio non ha alcun valore.

Invece, se quei principi sono garantiti, non può esistere schiavitù. 

Ma naturalmente la libertà fisica presenta gradazioni, e di queste

è ancora necessario e opportuno discutere.

Quando affermo che alla libertà stessa dell’individuo occorre più

freno, non intendo auspicare che vengano poste continue limita-

zioni agli spostamenti quotidiani delle persone, o che in qualun-

que periodo della sua vita il cittadino debba rendersi disponibi-

le alla chiamata alle armi o a trasferirsi in territori lontani per

lavorare nelle industrie statali che ne fanno richiesta – come in-

vece è previsto dal programma sovietico.

Queste sono misure estreme, assolutamente non necessarie e

intollerabili, poiché rendono virtualmente impossibile il sod-

disfacimento degli istinti primari – e non è ragionevole consi-

derarle misure richieste dalle attuali (e probabilmente future)

condizioni dell’industria.

Ci vuole sempre moderazione, e non possiamo trasformare

le pur necessarie misure di riduzione della libertà individuale

in una scusa per introdurre arbitrarie e ingiustificate restrizio-

ni, perché in tal modo scadremmo nella TIRANNIDE. 

HPL

(21 gennaio 1933)

 

(H.P. Lovecraft, L’orrore della realtà, lettere)

 

 

 

 

 

h.p. lovecraft (providence 20 agosto 1890,providence 15 marzo 1937)


IL RICCO E IL POVERO (breve ritratto della disuguaglianza civile)(1)

 

Prosegue in:

Il ricco e il povero (2) &

Un altro Universo &

L’oca

Foto del blog:

Il sabato (1)  &  (2)

Da:

 i miei libri

 

 

Uscendo di casa, sospiro

la campagna e la solitudine…

Non vedo che l’avversione

sul viso degli uomini

….e la natura mi sorride sempre…(ottava passeggiata)

 

 

il ricco e il povero 1

 

 

 

 

 

Se si prende in esame in che maniera aumentino i bisogni di

uno Stato, ci si renderà conto che spesso ciò avviene più o

meno nella stessa maniera in cui avviene per i privati, più

per un incremento di desideri inutili che una vera necessità

e che spesso la spesa non viene aumentata che per avere un

pretesto per aumentare le entrate, cosicché lo Stato finirebbe

talvolta col guadagnarci se rinunziasse all’esser ricco, e que-

sta apparente ricchezza gli è in fondo più onerosa di quanto

non sarebbe la stessa povertà.

E’ vero che si può sperare di tenere i popoli in uno stato di 

più stretta dipendenza, dandogli con una mano ciò che gli

è stato preso con l’altra; e tale è stata la politica utilizzata

da Giuseppe cogli Egiziani; ma questo è un vano sofisma,

tanto più dannoso per lo Stato in quanto il denaro non rien-

tra più attraverso le stesse mani da cui è uscito, e con princi-

pi del genere non si fa che arricchire fannulloni di uomini

utili.

Il piacere della conquista è una delle cause più evidenti e

più pericolose di questo incremento. Questo piacere, spes-

so generato da un’ambizione di specie differente da quella

che pare preannunciare, non è sempre ciò che sembra esse-

re, e il suo vero movente non è tanto il desiderio apparen-

te di ingrandire la nazione quanto quello nascosto di au-

mentare all’interno il potere dei capi, coll’ausilio di trup-

pe potenziate e approfittando del diversivo offerto dagli

obiettivi guerreschi nelle menti dei cittadini.

Se c’è un punto, almeno, su cui non vi sono dubbi, è che

non c’è niente di così miserabile e oppresso dei popoli

conquistatori e che i loro successi non fanno che aumen-

tare la loro miseria: quand’anche non ce l’insegnasse la

storia, la ragione stessa sarebbe in grado di dimostrarci

che più uno Stato è grande e più le spese diventano in

proporzione forti e onerose; perché è necessario che tut-

te le province forniscano il loro contributo alle spese del-

l’amminastrazione generale e che ognuna, oltre a questo,

faccia per la propria una spesa pari a quella che dovreb-

be sostenere se fosse indipendente.

A ciò va aggiunto che tutte le fortune vengono acquisite

in un luogo e consumate in un altro; e ciò rompe assai

presto l’equilibrio tra prodotto e consumo e impoverisce

molti paesi per arricchire una sola città.

Altro motivo di aumento delle necessità pubbliche che è 

collegato al precedente: a un certo momento si può arri-

vare al punto che i cittadini, non sentendosi più interes-

sati alla causa comune, porrebbero fine al loro ruolo di

difensori della patria e in cui i magistrati preferirebbero

comandare a mercenari piuttosto che a uomini liberi, non

foss’altro che per utilizzare a tempo e luogo i primi per

assoggettare meglio gli altri. 

(J.J. Rousseau, Discorso sull’economia politica)

 

 

 

 

 

il ricco e il povero 1

  

IL NAUFRAGIO DELLA BALENIERA ESSEX….

balena1.jpg

 

 

 

 

 

Prosegue in:

Un altro Universo

 

 

 

 

 

Dalla metà di novembre alla metà di dicembre il vento si

mantenne in direzione ovest, consentendoci di prosegui-

re di un buon tratto, finché all’improvviso mutò corso

nuovamente, frustando ogni nostra speranza.

Verso i primi giorni di dicembre mutò ancora verso ove-

st, poi d’improvviso nei giorni seguenti spirò verso est

mantenendosi lieve e variabile fino al giorno 8.

Le nostre sofferenze sembravano giunte al termine; in

breve tempo ci attendeva una morte terribile; la fame si

fece violenta e atroce, e ci preparammo ad una rapida fi-

ne dei nostri patimenti; avevamo grandi difficoltà di pa-

rola e di ragionamento e ci consideravamo ormai gli uo-

mini più disgraziati e reietti dell’intero genere umano.

 

ivan3.JPG

 

Isaac Cole, un membro dell’equipaggio, sin dal giorno prima

si era accasciato sul fondo della barca, in preda alla dispera-

zione, attendendo, rassegnato, la morte.

Era evidente che per lui non c’erano più speranze; diceva di

avere la mente ottenebrata, di essere assolutamente privo di

aspettative, diceva di considerare pura follia il perdurare in

una lotta contro quello che, ormai senza dubbio, pareva in

nostro destino.

Lo redarguii per quanto mi consentissero le mie scarse forze

fisiche e mentali; ciò che dissi sembrò fargli un grande effet-

to: compì un improvviso, immane sforzo per sollevasi e stri-

sciare fino al fiocco gridando con fermezza che non avrebbe

mai ceduto alla rassegnazione, che sarebbe vissuto quanto

tutti gli altri, ma, ahimé!

 

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lo sforzo non nasceva che da un delirio momentaneo che ben pre-

sto lo abbandonò in uno stato totale abbattimento.

Quel giorno la ragione gli si sconvolse e, intorno alle nove del

mattino, egli diede in pietose manifestazioni di follia: parlava in

modo incoerente di tutto, invocando acqua e un panno per asciu-

garsi di nuovo, istipudito, sul fondo della scialuppa, chiudendo

gli occhi come morto.

 

ivan7bis.jpg

 

Intorno alle dieci, ci accorgemmo che non parlava più; lo collo-

cammo alla meglio su una tavola che mettemmo sui sedili del-

la barca, quindi, dopo averlo coperto con qualche vecchio indu-

mento lo abbandonammo al suo destino.

Giacque in preda ad atroci sofferenze del corpo e dell’anima, la-

mentandosi pietosamente fino alle quattro, quando spirò tra le

più orrende convulsioni che mai mi fu dato di vedere.

Tenemmo così la salma per l’intera notte, e il mattino seguente i

miei due compagni si apprestavano a prepararlo per il mare,

quando, dopo averci riflettuto per le lunghe ore notturne, li in-

terrogai sulla dolorosa possibilità di tenere il corpo come cibo!

Le nostre provviste non potevano durare                                             owen1.jpg

più di tre giorni ed era assai poco

probabile che in quell’arco di tempo

trovassimo modo di salvarci, prima

che la fame ci costringesse a tirare a

sorte tra noi.

La proposta fu accolta dall’unanime

consenso e ci mettemmo subito al

lavoro per salvaguardare

il corpo dalla decomposizione.

Separammo gli arti dal tronco e spolpammo le ossa, poi

aprimmo il torace e ne estraemmo il cuore, quindi lo ri-

chiudemmo, lo ricucimmo quanto meglio ci riuscì e lo

gettammo in mare.

Iniziammo a soddisfare i nostri bisogni più immediati

cibandoci del cuore, che divorammo con bramosia, quin-

di mangiammo alcuni brandelli di carne.

Sistemammo il resto, tagliato in sottili strisce, sulla barca,

affinché si seccasse al sole; accendemmo un fuoco e ne ar-

rostimmo una parte per il giorno appresso.

Questa fu la fine che riservammo al nostro compagno di

sofferenze; il doloroso

ricordo di questo gesto arreca ora alla mia mente alcune

tra le idee più spiacevoli e rivoltanti che sia in grado di

concepire. Non sapevamo, allora, chi sarebbe stato il pros-

simo a subire quella sorte, di morire ucciso e divorato co-

me quel povero infelice.

Ogni sentimento umano rabbrividisce di fronte ad un simi-

le spettacolo. Non ho parole per esprimere il dolore delle

nostre anime in quell’atroce circostanza.

 

ivan4.jpg

 

La mattina seguente, scoprimmo che la carne si stava deterio-

rando e andava assumendo un colore verdastro, per quanto

tutti gli sforzi nel mangiare quel cibo, la cosa ci indusse a

decidere di cuocerla immediatamente per impedire che di-

ventasse tanto putrida da non poter più essere consumata:

così facemmo, preservandone l’edibilità per sei o sette gior-

ni; in quel periodo non toccammo le provviste di pane, quel-

lo infatti non si sarebbe deteriorato e doveva costituire il no-

stro mezzo di sostentamento per gli ultimi momenti.

Intorno alle tre di quello stesso pomeriggio si levò una forte

brezza da nord-ovest e avanzammo di un buon tratto, se si

considera che procedevamo ormai con solo le vele: il vento

si mantenne fino al 14 -15, poi mutò corso nuovamente.

Riuscimmo a sopravvivere spartendoci con parsimonia pic-

coli lembi di carne da consumare con acqua salata. Per il 14,

i nostri corpi si erano tanto ripresi da consentirci di compi-

ere alcuni tentativi di manovra ai remi; benché erano setti-

mane che manovravamo, ma una nuova manovra, un movi-

mento, poteva ristabilire le sorti; ci demmo il turno e riu-

scimmo a percorrere un buon tratto.

Il 15 la carne era terminata, e fummo costretti a tornare alle

ultime forme di pane. Negli ultimi due giorni i nostri arti si

erano gonfiati e dolevano terribilmente. Secondo i nostri cal-

coli, ci trovammo ancora a distanza di trecento miglia da ter-

ra con soli tre giorni di razionamento alimentari, ed un’uni-

ca scialuppa.

Qualcuno, non ricordo chi, propose di mangiare anche quel-

la……

(Resoconto del più straordinario e doloroso, NAUFRAGIO

DELLA BALENIERA ESSEX di Nantucket, che fu attaccata e

poi distrutta da un grande CAPODOGLIO, nell’Oceano Paci-

fico, con il resoconto delle sofferenze senza confronto del ca-

pitano, e dell’equipaggio durante gli interminabili giorni in

mare aperto, negli anni di Nostro Signore 1819 – 1820, di O-

WEN CHASE, primo Ufficiale del suddetto vascello)

 

 

 

 

 

mobydick10.jpg

 

LE MARIONETTE

le marionette

 

Prosegue in:

Mentre morivo &

Dio ride

Foto del blog:

Esther

Bubley &

Vardaman (1)  &  (2)

Da:

i miei libri

 

 

 

 

‘Lasciamoli andare a letto’, disse dopo un po’.

‘Se questa è l’ultima sera che andrà a letto, lasciamolo dormire

in pace.

Ma noi due, signore, non potremo certo prender sonno, e che

cosa faremo?

Il mio maggiordomo mi dice che qui alla locanda c’è una com-

pagnia di marionette, e siccome i carrettieri tornano da Pisa che

sul tardi, ci sarà uno spettacolo a quest’ora.

Perché non vi andiamo?

Anche Augusto sentiva che il sonno gli sarebbe riuscito difficile;

anzi mai s’era trovato così sveglio, né così gradevolmente.

Il suo stesso corpo gli pareva più leggero, quasi fosse tornato fan-

ciullo.

Gioiosamente come un cercatore d’oro che improvvisamente sco-

pra nella roccia una vena del prezioso metallo, egli si rese conto

d’esser capitato su una vena di vicende. Anche la compagnia della

nera fanciulla lo soddisfaceva particolarmente, e si domandava se

ciò non fosse dovuto in parte, al fatto ch’ella vestiva come lui quei

lunghi calzoni neri che gli parevano l’indumento normale d’ogni

essere umano.

I fronzoli e gli strascichi con i quali in genere le donne accentuano

la loro femminilità, pensava, servono a rendere la conversazione

con esse pari a quella con un ufficiale nella sua uniforme o con

un sacerdote nella sua veste: né dall’uno né dall’altro si riesce a

cavare un gran che.

 

le marionette

 

Così egli seguì la fanciulla nella vasta rimessa imbiancata a cal-

ce, dove alla meglio era stato tirato su il teatro; la commedia a-

veva appena avuto inizio.

L’aria era calda e afosa, per quanto nel tetto fosse stato aperto

un abbaino sul notturno cielo azzurro. L’ambiente s’era per me-

tà riempito di gente, e lo illuminavano debolmente alcune vec-

chie lucerne appese al soffitto. Attorno al palcoscenico, le cande-

le accese della ribalta creavano una magica oasi di luce, e accen-

devano fulgori e scintillii di gioielli sui costumi scarlatti, verdi e

arancione dei burattini, che alla luce del giorno dovevano appari-

re sbiaditi e smorti; e le ombre dei pupazzi, assai più grandi, ne

riflettevano ogni gesto sul panno bianco che faceva da fondale.

Il burattinaio interruppe il suo discorso all’arrivo dei due spetta-

tori di qualità, e portò loro due seggioloni vicino alla scena, da-

vanti al resto del pubblico.

Poi riprese il filo là dove lo aveva lasciato; parlava forte, contraf-

facendo la voce a seconda dei diversi personaggi.

La commedia che si eseguiva era l’immortale ‘Verità vendicativa’,

la più graziosa delle commedie dei burattini.

 

le marionette

 

Chi la conosce ricorderà certo come la trama sia basata sulla male-

dizione che una strega getta sulla casa dove si trovano raccolti tut-

ti i personaggi, e secondo la quale ogni menzogna proferita là den-

tro diventerà verità.

Così la mercenaria donna che tenta di accalappiare un marito dana-

roso facendogli credere di amarlo, ne cade innamorata; lo spaccone

si trasforma in eroe; l’ipocrita finisce con il praticare la più rigida

virtù; il vecchio spilorcio che va dicendo a tutti di esser povero in

canna perde i suoi quattrini. 

Le parti femminili sono in versi, mentre quelle maschili sono in

prosa, a tratti assai sboccata; e un ragazzo, l’unico personaggio in-

nocente di tutta la commedia, canta alcune romanze accompagnate

da un mandolino dietro le scene.

La morale della favola piaceva assai al pubblico; e le facce stanche

e impolverate s’illuminavano ridendo ai lazzi di Mopso, il pagliac-

cio.

La signorina seguiva lo svolgersi della commedia con tutto l’interes-

se di un autore drammatico per il lavoro di un collega.

Augusto, nello stato d’animo in cui si trovava, sentiva qualcuna di

quelle parole toccargli singolarmente il cuore.

 filanda

 

Quando l’amoroso dice alla sua amata che un tozzo di pane secco

sazia la fame meglio d’un intero libro di cucina, egli quasi conside-

rava tali parole un consiglio dettato a lui.

L’ignara vittima tiene a colui che in animo di assassinarlo un discor-

so sulla bellezza del chiaro di luna; e il malvagio replica con un pre-

dicozzo sull’assurdità del potere che Dio ha di deliziare con cose da

cui non possiamo trarre alcun vantaggio, anzi spesso il contrario; e

che Dio ci ama come noi vogliamo bene al nostro cane; perché quan-

do è di buon umore, noi siamo di buon umore; e quando è depresso,

noi siamo depressi; e quando, in un momento in cui si sente disposto

a romanticherie, accende il chiaro di luna, noi gli teniamo bordone

come meglio possiamo. 

Questa tirata fece sorridere Augusto, ed egli pensò che gli sarebbe

stato caro essere ancora una volta, come ai tempi della fanciullezza,

uno dei cani del buon Dio.

Alla fine ricompare la strega, e a chi le domanda quale sia la verità,

risponde:

“La verità, figli miei, è che stiamo recitando tutti quanti una comme-

dia di burattini; e la cosa più importante in questo genere di spetta-

colo è render chiaro il pensiero dell’autore. Questa è la vera felicità

nella vita; e ora che son capitata finalmente in un teatro di burattini,

non voglio uscirne mai più.  Ma voialtri, miei cari compagni di sce-

na, state attenti a interpretare bene le idee dell’autore…..”.

(Karen Blixen)

 

 

 

 

 

 fl35

(poi si andava al…) MINSTREL SHOW (1)

Precedente capitolo:

A caccia di noi ‘Lupi’

Prosegue in:

Minstrel Show (2)

Foto del blog:

Lupi & Menestrelli (1)  &  (2)

Da:

i miei libri

 

 

minstrel show 68

 

 

 

   

Dov’è ora Billy Rice?

Era la mia gioia, insieme agli altri astri degli show negri:

Billy Birch, David Wambold, Backus e un’altra splendi-

da dozzina di loro colleghi che mi allietarono la vita qua-

rant’anni fa’ e anche dopo.

Birch, Wambold e Bachus se ne sono andati da anni; e con

loro, per mai ritornare, io credo, l’autentico ‘nigger show’,

il genuino e stravagante ‘nigger show’: lo spettacolo che

per me non aveva eguali e il cui eguale non si è ancora

visto, che io sappia.

Abbiamo gli splendori dell’opera; e io ho visto e ho goduto

assai il primo atto di ogni creazione di Wagner, ma il suo

effetto fu sempre così potente che un atto era più che suffi-

ciente; quando sono rimasto per due atti sono uscito fisica-

mente esausto; e quando ho osato assistere all’intera opera

il risultato è stato assai prossimo… al suicidio!

 

minstrel show 68

 

Ma se potessi riavere il ‘nigger show’ nella sua purezza e

nella sua perfezione originaria non saprei che farmene del-

l’opera soprattutto quella di Wagner….

A mio parere, per le menti elevate e gli spiriti sensibili l’-

organetto a manovella e il ‘nigger show’ rappresentano l’-

apice, il culmine, alle cui rarefatte altitudini le altre forme

dell’arte musicale non possono sperare di giungere!

 

minstrel show 68

 

Ricordo il primo spettacolo musicale di negri che abbia mai

visto. Dev’essere stato un po’ dopo il 1840. Era una istituzio-

ne nuova. Nel nostro villaggio di Hannibal non ne aveva-

mo mai sentito parlare e irruppe come una lieta e clamoro-

sa sorpresa.

Le rappresentazioni durarono una settimana e si replicaro-

no ogni sera. Gli ecclesisatici non vi assistevano, ma la gen-

te del mondo accorreva e si deliziava.

Laggiù gli ecclesiastici non assistevano agli spettacoli, a

quei tempi.

 

minstrel show 68

 

I menestrelli comparivano con le mani e il viso neri come

il carbone e i loro vestiti erano una chiassosa e stravagante

parodia del modo di vestire degli schiavi delle piantagioni

di allora; non è che gli stracci dei poveri schiavi fossero mes-

si in caricatura, perché ciò non sarebbe stato possibile: la

parodia non avrebbe potuto aggiungere nulla di stravagan-

te al triste mucchio di stracci e rappezzati che formavano i

loro vestiti; ciò che veniva pariodato era la forma ed i colo-

ri di tali vestiti.

 

minstrel show 68

 

A quei tempi erano di moda i colletti alti e il ‘menestrello’

compariva con un colletto che gli avvolgeva e nascondeva

mezza testa e sporgeva in avanti tanto da lasciargli vedere

a stento lateralmente, al di sopra delle punte. La giacca tal-

volta era fatta di tela da tende e aveva delle code che pende-

vano fin quasi ai calcagni e bottoni grossi quanto una scato-

la di lucido per scarpe.

 

minstrel show 68

 

Il ‘menestrello’ parlava un dialetto negro molto largo; lo usa-

va con competenza e disinvoltura ed era ameno: ameno in

modo soddisfacente e delizioso. Però, fra la troupe dei mene-

strelli, ve n’era uno, a quei tempi, che non vestiva in modo

così strambo e non parlava il dialetto negro.

Vestiva l’impeccabile abito da sera dell’uomo bianco della

buona società e usava un linguaggio enfatico, manierato, ce-

rimonioso e penosamente obbediente alle regole grammati-

cali; un linguaggio che gli ingenui villici credevano fosse

quello autentico che si sfoggia fra l’alta società cittadina e

lo ammiravano grandemente e invidiavano l’uomo che sa-

peva fabbricarlo sul posto senza riflettere e parlarlo in quel

modo facile, disinvolto, artistico….

 

minstrel show 68

 

‘Ossa’ sedeva a un capo della fila dei ‘menestrelli’, ‘Banjo’

all’altro, e l’elegante signore ora descritto, nel mezzo.

L’uomo nel mezzo presentava la buffoneria.

L’accurata eleganza del suo vestito conferivano credibilità

all’intero show, e la studiata raffinatezza facevano credere

ai villici, accompagnata al suo colto linguaggio, della credi-

bilità dello show, creando un contrasto esilarante con l’in-

tero spettacolo, o buffonata……

 

minstrel show 68

 

‘Ossa’ & ‘Banjo’ erano i migliori buffoni della compagnia e

sapevano sfruttare al massimo tutto il ridicolo che si pote-

va ottenere dipingendosi e vestendosi in modo a volte stram-

bo e stravagante ed a volte elegante…..

Ogni tanto erano interrotti da qualche bella Soubrette, di cui

ricordo con amore e delizia ed un po’ di malizia la brava …

Shara… proprio la migliore….

 

minstrel show 68

 

Lo schema fondamentale del ‘minstrel show’ fu lasciato inal-

terato per molti anni che parvero secoli…. Al principio non c’-

era lo spartito sul palcoscenico solo qualche ‘pizzino’; il pub-

blico in attesa non aveva davanti agli occhi null’altro che la

fila di sedie vuote oltre le luci della ribalta; poi i menestrelli

entravano ed erano accolti da un caloroso applauso; prende-

vano posto, ciascuno col proprio strumento; quindi l’aristo-

cratico che sedeva in mezzo cominciava con frasi come que-

sta:

Spero signori, di avere il piacere di vedervi nella vostra

usitata eccellente condizione di salute e che ogni cosa vi

fu prospera da che ebbimo la buona sorte ….. di incontrar-

vi…….

 

minstrel show 68

 

‘Ossa’ rispondeva per conto suo, poi continuava dicendo

della particolare fortuna che gli era toccata di recente; ma

mentre raccontava lo interrompeva ‘Banjo’, e fra i due na-

sceva una simpatica buffonata….

Talvolta l’alterco durava parecchi minuti, e noi attendeva-

mo con impazienza che fosse interrotto dalla bella Shara…

(Prosegue……)

 

 

 

 

minstrel show 68