DIO RIDE DI QUANTO UDITO E LETTO (…ma non lo dite per loro infelice verbo) (4)

 

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Precedenti capitoli:

Intermezzo con la ‘Grande Notizia’ (3/1)

Prosegue in:

….E ride di gusto del male edificato… (5)

Foto del blog:

Dio ride (ma non lo dite…) &

The moon Hoax (Seconda parte)

Da:

i miei libri 

 

  

 

 

Ci trovammo sulla soglia di una stanza simile per forma alle

altre tre stanze cieche eptagonali, in cui dominava un forte

odore di chiuso e di libri macerati dall’umidità.

Il lume che tenevo alto illuminò dapprima la volta, poi mossi

il braccio verso il basso, a destra e a sinistra, e la fiamma alitò

vaghi chiarori sugli scaffali lontani, lungo le pareti.

Infine vedemmo al centro, colmo di carte, e dietro al tavolo,

una figura seduta, che pareva attenderci immobile al buio, se

pure era ancora viva. Prima ancora che la luce illuminasse il

suo volto, Guglielmo parlò.

 

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– Felice notte, venerabile Jorge,

disse.

– Ci attendevi?

La lampada ora, avanzati noi di qualche passo, rischiarava il

volto del vecchio, che guardava come se vedesse (ma in realtà

se pensiate che veda, è pur sempre cieco, più dello stalliere suo

compare nel suo dire in questo ardire….).

– Sei tu, Guglielmo da Baskerville?

chiese.

– Ti attendevo da oggi pomeriggio prima del vespro, quando

venni a rinchiudermi qui. Sapevo che saresti arrivato.

(….)

– Sin dal primo giorno ho capito che tu avresti capito. Dalla tua

voce, dal modo in cui mi hai condotto a dibattere su ciò di cui

non volevo si parlasse. Eri meglio degli altri, ci saresti giunto

comunque. Sai, basta pensare e ricostruire nella propria mente i

pensieri dell’altro. E poi ho sentito che facevi domande agli altri

monaci, tutte giuste. Ma non facevi mai domande sulla bibliote-

ca, come se ormai ne conoscessi ogni segreto.

(…..)

 

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– Per questo ti aspettavo….E ora cosa vuoi?

– Voglio vedere,

disse Guglielmo,

– l’ultimo manoscritto del volume rilegato che raccoglie un testo

arabo, uno siriano e una interpretazione o trascrizione della

‘Coena Cypriani’. Voglio vedere quella copia in greco, fatta

probabilmente da un arabo, o da uno spagnolo, che tu hai 

trovato quando, aiuto di Paolo da Rimini, hai ottenuto che ti

mandassero nel tuo paese a raccogliere i più bei manoscritti

delle Apocalissi di Leon e Castiglia, un bottino che ti ha reso

famoso e stimato qui all’abbazia e ti ha fatto ottenere il posto

di bibliotecario, mentre spettava ad Alinardo, di dieci anni più

vecchio di te (ma sappiamo che il bottino ed il servigio ti ha reso

il posto destinato ad altri…).

 

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– Voglio vedere quella copia greca scritta su carta da panno, che

allora era molto rara, e se ne fabbricava proprio a Silos, vicino a

Burgos, tua patria. 

– Voglio vedere il libro che tu hai sottratto laggiù, dopo averlo

letto (e forse anche copiato), perché non volevi che altri lo leggesse

(e scoprire l’arte del genio…), e che hai nascosto qui, proteggendolo

in modo accorto, e che non hai distrutto perché un uomo come te

(un inquisitore come te…) ..non distrugge un libro, ma soltanto

lo custodisce e provvede a che nessuno lo tocchi.

– Voglio vedere il secondo libro della Poetica di Aristotele, quello

che tutti ritenevano perduto o mai scritto, e di cui tu custodisci

forse l’unica copia.

 

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– Quale magnifico bibliotecario saresti stato, Guglielmo,

disse Jorge, con un tono insieme di ammirazione e rammarico.

– Così sai proprio tutto. Vieni, credo ci sia uno sgabello dalla

tua parte del tavolo. Siedi, ecco il tuo premio.

Guglielmo si sedette e posò il lume, che gli avevo passato,

illuminando dal basso il volto di Jorge. Il vecchio prese un

volume che aveva davanti e glielo passò. Io riconobbi la 

rilegatura, era quello che avevo aperto nell’ospedale, creden-

dolo un manoscritto arabo.

– Leggi, allora, sfoglia, Guglielmo,

disse Jorge.

– Hai vinto.

Guglielmo guardò il volume, ma non lo toccò. Trasse dal saio un

paio di guanti, non i suoi con la punta delle dita scoperte, ma

quelli che indossava Severino quando lo avevano trovato morto. 

Aprì lentamente la rilegatura consunta e fragile. 

Io mi avvicinai e mi chinai sopra la sua spalla.

Jorge col suo udito finissimo udì il rumore che facevo.

Disse:

– Ci sei anche tu, ragazzo? Lo farò vedere anche a te….dopo.

Guglielmo scorse rapidamente le prime pagine.

E’ un manoscritto arabo sui detti di qualche stolto, secondo il 

catalogo,

disse.

– Di cosa tratta?

– Oh, sciocche leggende degli infedeli, dove si ritiene che gli stolti

abbiano dei motti arguti che stupiscono anche i loro sacerdoti ed

entusiasmano i loro califfi…

– Il secondo è un manoscritto siriaco, ma secondo il catalogo tra-

duce un libello egiziano di alchimia. Come mai si trova raccolto

qui?

– E’ un’opera egiziana del terzo secolo della nostra era. Coerente

con l’opera che segue, ma meno pericolosa. Nessuno porrebbe

orecchio ai vaneggiamenti di un alchimista africano…..

(U. Eco, Il nome della rosa)

(Prosegue…)

 

 

 

 

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INTERMEZZO CON LA ‘GRANDE NOTIZIA’: ‘Nessuno’ ha vinto… (2)

 

OD6

 

 

 

 

 Precedente capitolo:

Il mio malessere (sarà forse alleviato da un diverso spettacolo… che i ciclopi non si offendano in ragion della medesima democrazia da loro così mal ingurgidata…) (1)

Prosegue in:

‘Nessuno’… ha vinto (3)

 

OD7

 

 

 

 

 

 

 

….La ‘Grande Notizia’…..

 

 

 

 

ODISSEO:

Lo volle un dio: non accusare gli uomini.

Ora noi, figlio nobile del dio dei mari, ti preghiamo e ti diciamo

col cuore in mano: non osare uccidere gente amica venuta alla

tua grotta, non farne orrido pasto alla tua bocca.

 

OD27

 

Noi preservammo i templi, assicurandoli a tuo padre nel cuore

della Grecia, signore. E illeso resta il sacro porto del Tènaro, e i

segreti promontori di Màlea, è salva la rupe argentifera del Su-

nio, sacra alla fulgida Atena, la rada di Geresto; e tutta l’Ellade,

non ci macchiammo dell’onta di cederla ai Frigi.

Ora anche tu, di tutto questo, hai parte: sono terra greca gli antri

segreti dove vivi, sotto l’Etna che stilla fuoco. Se questi ti ripugna-

no, ebbene c’è una legge per gli uomini: d’accogliere dei supplici

naufragati, d’offrire doni e aiuto di vesti, e non di passare allo 

spiedo che infila i buoi le loro carni, in modo che tu sazi la bocca

e la pancia.

 

OD31

 

Già la terra di Priamo troppi lutti ha fatto in Grecia, bevendosi il

sangue di tanti morti, versato in battaglia; ha rovinato mogli orbe

dell’uomo e vecchie orbe di figli, e incanutiti padri.

Se tu, di quelli che rimangono, arrostendo le carni ora consumi

un fiero pasto, quale scampo c’è?

Dammi retta, Ciclope: lascia stare l’ingordigia procace, e la pietà

scegli sull’empietà: per molti, un lucro disonesto si cangia in un

castigo.

 

OD28

 

CICLOPE:

Caro omarino mio, per chi capisce, è la ricchezza il vero dio, le

altre cose rumore vano e belle frasi. Dei promontori marini ove

il padre s’è situato, io me n’infischio: a quale scopo li hai messi

innanzi?

A me, straniero, il fulmine di Zeus non fa venire i brividi, non

so proprio in che cosa Zeus è un nume potente più di me.

Di tutto il resto me ne frego, e sta’ a sentire perché me ne frego.

Quando dall’alto manda giù la pioggia, me ne sto in questa

grotta, riparato e all’asciutto, mi mangio un vitellino cotto e

una bestia selvaggia, giacendo a pancia all’aria, e me l’innaffio

a regola d’arte, perché ci bevo sopra un’anfora di latte e, spez-

zettando nel vestito, faccio rumore, a gara con i tuoni di Zeus.

 

OD32

 

Se poi la tramontana trace fa cadere la neve, m’imbacucco tutto

in pelli di fiere, accendo il fuoco e della neve me ne frego. Il

suolo, volere o no, producendo per forza l’erba, m’ingrassa

le pecore. E io non le immolo a nessuno: solo a me (agli dèi

no), solo a questa, la prima delle divinità, la pancia mia.

Perché, mangiare e bere alla giornata, questo è lo Zeus degli

uomini di senno, e insieme non affliggersi per nulla.

Quanti fecero leggi, complicando l’esistenza, io li mando a

quel paese. La vita mia non rinuncio a trattarla bene – e 

neppure a divorare te. 

 

OD33

 

Doni ospitali sì li avrai – ché voglio essere irreprensibile:

saranno il fuoco e questo elemento paterno a quel paiolo che,

nel suo bollore, vestirà bene la tua carne dura.

Avanti, andate dentro: vi dovete mettere intorno all’ara per

il rito al dio dell’antro e satollare me.

(prosegue in Pagine di Storia)

 

 

 

 

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