Prosegue in:
Il destino dei fondatori delle grandi religioni è profondamente
tragico; essi sono i grandi solitari.
E’ vero che la solitudine è la sorte dell’uomo, chiuso in se medesimo
come un fiore che non riesce a sbocciare, perché la parola definisce il
visibile, ma, fuori di questo, esprime soltanto per illusioni o parziali
bagliori il senso particolare e personale che noi le diamo, provocando
in altri altre reazioni, o, in modo approssimativo, adombra il fondo
dell’anima incomunicabile.
Poi le consuetudini, i pregiudizi, gli universali consensi della vita
associata soffocano quel senso occulto che mai o raramente fiorisce
alla luce del sole (cerca di reprimerlo…).
L’uomo allora si adegua a questa sua schiavitù, a questo livellamento,
a questo suo morire eternamente: perché pensare come tutti pensano,
inchinarsi agli stessi idoli, rispettare le strutture sociali vuol dire non
pensare affatto, essere una cosa, non una creatura libera.
E’ un fatto che l’uomo nulla tanto teme quanto la libertà; e senza
dolersene la vende, per non trovarsi a faccia a faccia con la propria
solitudine, dove soltanto è riposta la sua luce e il suo mistero, il
suo tormento e la sua grandezza.
Le esperienze dei Maestri sono dunque incomunicabili, capaci di
riflettersi soltanto, in apparizioni improvvise, negli eletti e nei puri
che hanno superato la trama della storia.
La loro parola è allussiva; adoperano le parole che il mondo comprende,
ma le caricano di un senso diverso ed unico. Se dunque è difficile
conoscere la parola dei Maestri, altrettanto difficile è conoscere i
particolari della loro vita. Anche quella del Buddha noi non la sapremo
mai.
Ma la cosa non conta.
Perché la sua vita si riassume e si conclude in quell’istante irripetibile
nel quale gli apparve, nella evidenza abbagliante, la verità ricercata.
Tutto il resto non ha importanza.
Le vite dei santi sono tutte uguali: seguono uno schema identico sia
in Oriente sia in Occidente; la nascita immacolata, la consapevolezza
immediata della propria missione, la precoce onniscenza che confonde
i dotti chiamati ad istruirli, la rinuncia al mondo, la tentazione, la
pietà, la resurrezione del morto, la guarigione dei malati, la redenzione
delle donne perdute, le vane insidie del traditore, il trapasso fra
oscuramenti del cielo, scatenamenti della terra od esaltazioni di luce.
Così nasce la leggenda intessuta di questi archetipi e avvolge e
nasconde le nudità di una vita sublime.
Il Maestro diventa dio: anzi, secondo alcune scuole, egli è soltanto
apparenza illusoria che non ha pronunciato neppure una parola,
un riflesso del Vero, come un raggio di grazia che ha colpito la
mente di quelli che sono spiritualmente maturi per intenderla,
come l’eco di una voce transumana che questi hanno tradotto, per
il proprio ed altrui beneficio in termini razionali.
L’uomo è tardo a seguire l’insegnamento sottile, a scendere nella
solitudine del proprio io, a sciogliersi dal vincolo o dai simboli del-
la vita associata.
La singolarità di un insegnamento semplice e difficile a seguire,
perché va contro la corrente, lo turba…..
(Giuseppe Tucci)