ALAN TURING

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alan turing








L’articolo di Turing comincia con la frase:


Mi propongo di considerare la domanda ‘Le macchine possono

pensare?’.


Poiché, come egli sottolinea questi termini pregnanti, dovremmo

ovviamente cercare un modo operativo per affrontare la doman-

da; e lo troviamo, egli suggerisce, in ciò che chiama ‘il gioco dell’-

imitazione’, oggi conosciuto come ‘test di Turing’.

Dopo aver spiegato la natura del suo test, Turing prosegue facen-

do alcune osservazioni che, per l’anno in cui scrive, sono molto

avanzate.

Per cominciare, presenta un breve dialogo ipotetico tra interro-

gante e interrogato:


D: Per cortesia, mi scriva un sonetto che tratti del Ponte sul Forth

R: Non faccia affidamento su di me per questo, non ho mai sapu-

to scrivere poesie.

D: Sommi 34957 a 70764

R: (Pausa di circa 30 secondi e poi la risposta) 105621.

D: Gioca a scacchi?

R: Sì.

D: Ho il Re in e1 e nessun altro pezzo. Lei ha solo il Re in e3 e

una Torre in h8. Tocca lei a muovere. Che mossa fa?

R: (Dopo una pausa di 15 sec.) Torre in h1, matto.


 

alan turing



Pochi lettori notano che nel problema aritmetico non solo vi è un

ritardo eccessivamente lungo, ma che inoltre la risposta è sbaglia-

ta!

La cosa sarebbe giustificata se colui che risponde fosse un essere

umano: un semplice errore di calcolo. Ma se a rispondere fosse una

macchina, sono possibili varie spiegazioni.

Eccone alcune:

1) un errore casuale a livello di hardware;

2) un errore non voluto a livello hardware o di programmazione

che causa errori aritmetici.

3) un atto inserito volutamente dal programmatore della macchi-

na per introdurre occasionali errori aritmetici, in modo da ingan-

nare gli interroganti.

4) un epifenomeno non previsto: il programma fa fatica a pensare

in termini astratti e, semplicemente, ha commesso un ‘errore genui-

no’, ‘ha dei limiti oggettivi di comprensione in quanto non program-

mata nei termini discorsivi astratti di un probabile nuovo interlocu-

tore metafisico assente alla realtà del …programmatore….’……

(D.R. Hofstadter, Godel, Escher, Bach)


 





 

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IL TESTAMENTO DI TITO

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Tito

Non avrai altro Dio all’infuori di me,

spesso mi ha fatto pensare:

genti diverse venute dall’est

dicevan che in fondo era uguale.

Credevano a un altro diverso da te

e non mi hanno fatto del male.

Credevano a un altro diverso da te

e non mi hanno fatto del male.

 

Non nominare il nome di Dio

non nominarlo invano.

Con un coltello piantato nel fianco

gridai la mia pena e il suo nome:

ma forse era stanco, forse troppo occupato,

e non ascoltò il mio dolore.

Ma forse era stanco, forse troppo lontano,

davvero lo nominai invano.

 

Onora il padre, onora la madre

e onora anche il loro bastone,

bacia la mano che ruppe il tuo naso

perchè le chiedevi un boccone:

quando a mio padre si fermò il cuore

non ho provato dolore.

Quando a mio padre si fermò il cuore

non ho provato dolore.


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Ricorda di santificare le feste.

Facile per noi ladroni

entrare nei templi che rigurgitan salmi

di schiavi e dei loro padroni

senza finire legato agli altari

sgozzati come animali.

Senza finire legato agli altari

sgozzati come animali.

 

– Il quinto dice non devi rubare

e forse io l’ho rispettato

vuotando in silenzio, le tasche già gonfie

di quelli che avevan rubato:

ma io, senza legge, rubai in nome mio,

quegli altri, nel nome di Dio.

Ma io, senza legge, rubai in nome mio,

quegli altri, nel nome di Dio.

 

Non commettere atti che non siano puri

cioè non disperdere il seme.

Feconda una donna ogni volta che l’ami

così sarai di fede:

poi la voglia svanisce e il figlio rimane

e tanti ne uccide la fame.

Io, forse, ho confuso il piacere e l’amore:

ma non ho creato dolore.

 

– Il settimo dice non ammazzare

se del cielo vuoi essere degno.

Guardatela oggi, questa legge di Dio,

tre volte inchiodata nel legno:

guardate la fine di quel nazareno,

e un ladro non muore di meno.

Guardate la fine di quel nazareno,

e un ladro non muore di meno.

 

Non dire falsa testimonianza

e aiutali a uccidere un uomo.

Lo sanno a memoria il diritto divino,

e scordano sempre il perdono:

ho spergiurato su Dio e sul mio onore

e no, non ne provo dolore.

Ho spergiurato su Dio e sul mio onore

e no, non ne provo dolore.

 

Non desiderare la roba degli altri,

non desiderarne la sposa.

Ditelo a quelli, chiedetelo ai pochi

che hanno una donna e qualcosa:

nei letti degli altri già caldi d’amore

non ho provato dolore.

L’invidia di ieri non è già finita:

stasera vi invidio la vita.

Ma adesso che viene la sera ed il buio

mi toglie il dolore dagli occhi

e scivola il sole al di là delle dune

a violentare altre notti:

….io, nel vedere quest’uomo che muore,

madre, io provo dolore.

Nella pietà che non cede al rancore

…..madre, ho imparato l’amore….

(Fabrizio de André, La Buona Novella, Il testamento di Tito)





 

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CODA DI LUPO


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orrore di altri mondi

Da:

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Quando ero piccolo m’innamoravo di tutto correvo dietro ai cani

e da marzo a febbraio mio nonno vegliava

sulla corrente di cavalli e di buoi

sui fatti miei sui fatti tuoi

e al dio degli inglesi non credere mai.

E quando avevo duecento lune e forse qualcuna è di troppo

rubai il primo cavallo e mi fecero uomo

cambiai il mio nome in ‘Coda di lupo’

cambiai il mio poney con un cavallo muto

e al loro dio perdente non credere mai.

E fu nella notte della lunga stella con la coda

che trovammo mio nonno crocifisso sulla chiesa

crocifisso con forchette che si usano a cena

era sporco e pulito di sangue e di crema

e al loro dio goloso non credere mai.

E forse avevo 18 anni e non puzzavo più di serpente

possedevo una spranga un cappello e una fionda

e una notte di gala con un sasso a punta

uccisi uno smoking e glielo rubai

e al dio della Scala non credere mai.

Poi tornammo in Brianza per l’apertura della caccia al bisonte

ci fecero l’esame dell’alito e delle urine

ci spiegò il meccanismo una fotografa americana

“PER LA CACCIA AL BISONTE – disse – IL NUMERO E’ CHIUSO”

e a un dio a lieto fine non credere mai.

Ed ero già vecchio quando vicino a Roma a Little-Big-Horn

capelli corti generale ci parlò all’università

dei fratelli tute blu che seppellirono le asce

ma non fumammo con lui non era venuto in pace

e a un dio fatti il culo non credere mai.

E adesso che ho bruciato venti figli sul mio letto di sposo

che ho scaricato la mia rabbia in un teatro di posa

che ho imparato a pescare con le bombe a mano

che mi hanno scolpito in lacrime sull’arco di Traiano

con un cucchiaio di vetro scavo nella mia storia

ma colpisco un po’ a casaccio perché non ho più memoria

e a un dio senza fiato non credere mai.

(Fabrizio De André, Rimini, Coda di lupo)






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FARGARD XIII

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– Degli esseri creati che sono creazione creata di Spenta Mainyn qual'(è)

l’essere creato (che) ad ogni aurora sino al levar del sole combatte

uccidendo mille (creature) di Anro Mainyu?

– Allora disse Ahura Mazda: il cane ombroso (che è) dal muso appuntato,

Vanhapara che gli uomini i quali parlano male per nome Duzhaka

chiamano; degli esseri creati che sono creazione creata di Spenta Mainyu,

questo (è) l’essere creato di Spenta Mainyu (che) ad ogni aurora sino al

sorgere del sole combatte uccidendo mille (creature) di Anro Mainyu.

– E se alcuno lo uccide, o Spitama Zaratustra, il cane ombroso dal muso

appuntato, Vanhapara che gli uomini i quali parlano male per nome

Duzhaka chiamano uccide l’anima fino alla nona generazione, per i

quali sarà inaccessibile il ponte Cinvata se egli, durante la vita, non

compirà la penitenza.

– Creatore, ecc, se taluno uccide il cane ombroso dal muso appuntato, il

Vanhapara che gli uomini, i quali parlano male, per nome Duzhaka, dicono,

quale è la pena di ciò? Allora dice Ahura Mazda: mille colpi merita coll’

Aspra-astra, mille col Sraosho-charana.

– Degli esseri creati che sono creazione creata di Anro Mainyu, qual'(è)

l’essere creato di Anro Mainyu (che) ad ogni aurora sino al levar del sole,

combatte uccidendo mille (creature) di Spenta Mainyu?

– Allora disse Ahura Mazda: il demone il quale (è) Zairimyanura o Spitama

Zaratustra, cui dicono gli uomini che parlano male per nome Zairimyaka.

Degli esseri creati che sono creazione creata di Anro Mainyu, questo (è)

l’essere di Anro Mainyu (il quale) ad ogni aurora sino al sorgere del sole

combatte uccidendo mille creature di Spenta Mainyu.

– E se alcuno lo uccide, o Spitama Zaratustra, il deva che gli uomini che

parlano male per nome Zairimyaka, chiamano Zairimyanura, sia parificato

il suo pensiero, (sia) uguagliata la parola, (sia) uguagliata l’opera, (sia) di

nuovo fatto buono il suo pensiero, di nuovo fatta buona la parola, di nuovo

fatta buona l’opera.

– Creatore, ecc…Se taluno lascia mal nutrito un cane che (è) guardiano di pecore,

quanto si fa colpevole di questi peccati? Allora disse Ahura Mazda: Come quando

in questo mondo (che è) corporeo, abbandona mal nutrito il capo di casa di una

casa di primo ordine. Così si rende colpevole.

(Vendidad)





 


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CHE COSA PUO’ ESSERCI IN COMUNE

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acclimatazione.html 

         

                                         












 

che cosa può esserci in comune


ARRIVANO LE NUVOLE


Fatti di cronaca……


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arrivano le nuvole





……qui ci stà l’inflazione, la svalutazione…                                      arrivano le nuvole       

 

 

e la borsa ce l’ha chi ce l’ha…..  








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arrivano le nuvole

                                                                                             


80 GIORNI PER IL GIRO DEL MONDO (5)

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Ma l’eccentricità di Fogg è di buona lega, meglio la si direbbe generosità.

Mister Fogg stupisce i colleghi del Reform Club affidando la sua fortuna

alla puntualità dei servizi marittimi e ferroviari, stupisce Gambalesta

rincasando alle nove e quarantacinque anziché alle ventiquattro e

ordinandogli di prepararsi a partire per il giro del mondo entro 50

minuti; stupisce il brigadiere generale sir Francis Cromarty dell’esercito

indiano quando decide di arrischiare la vita per strappare al rogo la

bella vedova parsi; stupisce un bel gruppo di yankees puro sangue quando,

dopo l’assalto dei Siox al treno, si lancia all’inseguimento, alla testa

del presidio di Fort Kearney, per liberare Gambalesta; stupisce quando

si sostituisce al capitano, rinchiuso con la forza nella sua cabina, al

comando della Henriette, compiendo la traversata atlantica con la

spericolata audacia di un vecchio lupo di mare; stupisce tutta Londra

ricomparendo puntuale all’appuntamento dell’ottantesimo giorno.

Tutta Londra meno il vecchio paralitico Lord Albermale che avrebbe

data tutta la sua sostanza per poter fare il giro del mondo e che aveva

scommesso 50 sterline su di lui dicendo:

– Se la cosa è fattibile è bene che sia stato un inglese che l’abbia fatta

per primo!


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E la cosa vien fatta, nonostante le burrasche in mare e gli assalti dei

pellerossa in terra, i ponti ferroviari che crollano, i bisonti che arrestano

il treno, le sventatezze di Gambalesta, le ferrovie interrotte, le coincidenze

mancate per un soffio.

A dorso di elefante percorre le 50 miglia ancora da costruire della ferrovia

transiniana, con un guscio di noce naviga a vela sotto il monsone di Hong-

Kong a Shanghai, con una slitta a vela insegue l’espresso…..

(continua….)






 

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80 GIORNI PER IL GIRO DEL MONDO (3)

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Se oggi a qualche altro gentiluomo libero di disporre del suo tempo

come Fogg venisse in capo di seguirne le orme, percorrendone lo

stesso itinerario per mare e per ferrovia, non v’è dubbio che porterebbe

a termine la sua impresa in un tempo alquanto inferiore.

Per la sua traversata dell’Atlantico da Nuova York all’Inghilterra il

piano di viaggio di ottant’anni fa prevedeva dieci giorni, mentre

poche settimane fa il transatlantico americano United States ha

conquistato il Nastro Azzurro attraversando l’Atlantico in tre giorni,

dieci ore e 40 primi.

Infinitamente minor tempo impiegherebbe poi se, fedele allo spirito

di Fogg, usasse dei mezzi più veloci del suo tempo.

Il signor Tom Lamphier, nel 1949, ha compiuto il giro del mondo

servendosi di arei di linea in 4 giorni, 23 ore e 47 minuti. Tom ha

seguito più o meno l’itinerario del gentiluomo britannico:

Londra-Siria-India-Hong-Kong-Tokio-San Francisco-Nuova York-

Londra, volando per 35.488 Km sui clippers della Panamerican e

della United Air Lines. Oggi chi volesse provarsi ad imitare Tom

Lamphier impiegherebbe cinque giorni e 22 ore, via Manila, perché

le compagnie aeree hanno allargato i tempi di sosta agli aeroporti.

Il viaggio costerebbe 1700 dollari: una bella sommetta, ma certo di

molto inferiore alle 19.000 sterline profuse da Fogg, per portare a

termine il suo viaggio.


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Se poi si trovasse qualcuno disposto a ripetere esattamente il cammino

e le avventure di Fogg e del fido Gambalesta, incontrerebbe serie

difficoltà organizzative non fosse altro nel trovare indiani Sioux

disposti ad attaccare l’espresso intercontinentale e yankees che gli

offrano di attraversare la prateria in slitta a vela.

Sempre nel 1949 una superfortezza B 50 dell’aviazione militare americana,

battezzata con il nome augurale di Lucky Lady II ha compiuto il

giro del mondo senza scalo in 3 giorni, 22 ore e 1 minuto. Partita dalla

base aerea di Fort Worth nel Texas, ha volato per 37.523 Km alla

media di 400 Km orari rifornendosi in volo di carburante quattro

volte: sulle Azzorre, nel cielo dell’Arabia Saudita, sulle Filippine e

sulle Hawai. Un tempo più breve, ma su un percorso di soli 31.432

Km ha impiegato nel 1947 Bill Odom, tornato all’aeroporto di

partenza con il suo aereo di guerra trasformato dopo 73 ore e 5

minuti di volo.

Oggi se un’impresa simile a quella del Lucky Lady II fosse tentata

da uno dei Comet a quattro reattori che la B.E.A. impiega sulla

rotta del Sudafrica e che volano ad altezze stratosferiche, a 800

chilometri all’ora di media, dovrebbe venirne a capo in 48 ore, il che

vuol dire che ricomparirebbe all’aeroporto di partenza due giorni

dopo esserne partito.

(continua…)




 

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80 GIORNI PER IL GIRO DEL MONDO

Prosegue in:

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‘Al cinquantasettesimo minuto secondo la porta del salone si aprì

e il pendolo non aveva battuto il sessantesimo secondo, che Phileas

Fogg comparve, seguito da una folla delirante che aveva forzato l’

ingresso del Club, e con la sua voce calma:

– Eccomi, o signori – diss’egli.

Tutto questo avveniva alle 10 e 35 del 21 dicembre 1872, sotto la cupola

con i vetri azzurri sorretta da venti colonne ioniche di porfirio rosso del

Reform Club di Londra.

L’imperturbabile gentiluomo londinese ritornava dopo 80 giorni esatti

ad annunciare di aver vinto l’audacissima scommessa in cui aveva

arrischiato metà della sua fortuna, contro i banchieri John Sullivan e

Samuel Fallentin, l’ingegner Andrew Stuart, Gualtiero Ralph,

amministratore della Banca d’Inghilterra e il birraio Tommaso Flanagan.

O almeno si immagina avvenisse nell’episodio conclusivo del celebre

romanzo di Jules Verne che era uscito appunto in quell’anno.

E lo spiritoso e avvincente racconto del Verne non era tanto sorprendente

per le prodezze del signor Phileas Fogg esquire e del suo domestico

parigino Gianni Gambalesta, ex sergente dei pompieri, quanto per il

fatto che il piano di viaggio proposto dal Morning Chronicle era, più

o meno, praticamente realizzabile: da una dozzina di anni era aperto

alla navigazione il Canale di Suez, nel 1867 era stato inaugurato il

collegamento ferroviario transamericano dell’Atlantico al Pacifico,

nello stesso 1872 era stato realizzato il collegamento dei due tronchi

del ‘Great Indian Peninsular Railway’ da Bombay a Calcutta, regolari

servizi marittimi celeri con i moderni ‘pacchetti a elice’ univano l’

Europa all’America, l’America all’Asia, l’Asia all’Europa.

Il vapore e il telegrafo avevano unificato il mondo.


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Se oggi possiamo sorridere dell’entusiasmo di Verne e dei suoi

contemporanei per i Cunarder che valicavano l’Atlantico alla velocità

di 11 miglia marine all’ora, o degli espressi con carrozze-letto che

attraversavano l’America in una settimana, v’è da dubitare se il passo

più grande in materia di celerità di comunicazioni, con tutto quel che

consegue nell’assetto del mondo e della vita, l’umanità l’abbia fatto

dall’epoca del viaggio di Phileas Fogg alla nostra dell’aereo supersonico,

o non piuttosto nei trenta o quarant’anni che precededettero e che

videro l’instaurarsi della civiltà del vapore.

In quegli anni la macchina del progresso tecnico ha iniziato una fase

di movimento a velocità progressivamente crescente. E il momento

della partenza è sempre quello che richiede le maggiori energie e

suscita le più intense emozioni.

Ecco perché l’eccentrico gentiluomo inglese che non viaggiava,

descriveva soltanto una circonferenza, era un corpo grave che

percorreva un’orbita intorno al globo terrestre secondo le leggi

della meccanica razionale più che un remoto antenato, ci sembra

un nostro fratello, di poco più anziano, con le idee un pochino

antiquate e soprattutto dotato di una dose di ottimismo superiore

alle nostre abitudini.

Questo educato gentiluomo, nel romanzo stesso più simbolo che

personaggio, che parte per il giro del mondo armato soltanto d’un

‘makintosh’, del ‘Bradshaw’ (orario e guida generale delle ferrovie

continentali e dei battelli a vapore), di un fascio di banconote della

Banca d’Inghilterra e della serena certezza che l’impreveduto non

esiste, rappresenta bene l’entusiastico ottimismo del suo tempo, la

convinzione che il mondo camminasse con l’ordinata regolarità di un

espresso transcontinentale, su una linea verso l’avvenire, che bastava

prolungare all’infinito, aggiungendo con concorde operosità sempre

nuovi tratti di binari rilucenti…..

(continua…)




 

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NEGLI STESSI ANNI (leggende del West: Butch Cassidy & Sundance Kid)

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Ciò che contraddistingueva i colpi ben organizzati delle rapine ai treni

attuati dal ‘mucchio selvaggio’ era l’assenza di morti e di molestie ai

viaggiatori e l’uso di enormi quantitativi di dinamite che solitamente

trasformavano i carri-merci in pile di detriti.

Le rapine ai treni nei pressi di Wilcox, Wyoming, il 2 giugno 1899, a

Folsom, Nuovo Messico, l’11 luglio 1899 e a Tipton, Wyoming, il 29

agosto 1900 vengono generalmente attribuite al ‘mucchio selvaggio’.


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In quelle di Wilcox e Tipton si pensa fossero gli stessi Butch e Sundance

a ideare e realizzare i colpi. Elzy Lay, amico fraterno di Butch fu seriamente

ferito e catturato poco dopo la rapina di Folsom e condannato a passare

un bel po’ di anni nel penitenzario del Nuovo Messico.

Con gli investigatori di Pinkerton perennemente alle calcagna, presto

anche altri uomini della banda furono arrestati o eliminati.


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Dopo la rapina al treno di Tipton, Butch e Sundance decisero di fare un

ultimo copo in banca prima di lasciare le amate Montagne Rocciose.

Scelsero una cittadina piuttosto sperduta del Nevada occidentale,

Winnemucca, e portarono con loro Bill Carver come terzo uomo.


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A mezzogiorno del 19 settembre 1900, studiata la mappa della First

National Bank, entrarono in città a cavallo senza indossare maschere.

Nel giro di cinque minuti avevano preso più di 32.000 dollari e stavano

fuggendo da Winnemucca. Probabilmente, altri uomini della banda

come Harvey Logan e Ben Kilpatrick li aiutarono a fuggire rapidamente.

Cambiando continuamente i cavalli in tempi molto stretti si allontanarono

per centinaia di chilometri a nord della città mentre a Winnemucca stavano

ancora formando le squadre per andare a cercarli.

Giunti in Idaho, poi, presero ognuno una direzione differente. Dalle tracce

che lasciarono in seguito, sembra che si rendessero conto che quella

rapina avvenuta con successo sarebbe stata una delle ultime della gloriosa

banda. Seguendo ognuno una strada diversa, tutti abbandonarono le

montagne inespugnate dove avevano passato la loro giovinezza, e alcuni

mesi più tardi si ritrovarono per riprendere i contatti tra di loro a più

di 1500 chilometri di distanza, a Fort Worth nel Texas.

Lì si lanciarono in spese folli: comprarono abiti molto costosi, camicie,

scarpe alla moda e cappelli a bombetta che in quel periodo erano il

massimo dell’eleganza.


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Butch acquistò anche una bicicletta su cui imparò a fare evoluzioni

acrobatiche.

Un giorno di dicembre, Carver, Logan, Kilpatrick, Butch e Sundance si

recarono insieme da Schwartz, il fotografo, vestiti con i loro completi

migliori per farsi scattare alcune foto. Ordinarono una dozzina di copie

delle fotografie e Butch che amava fare lo smargiasso, ne spedì una alla

First National Bank di Winnemucca, ringraziando i bancari per aver

permesso alla sua banda di comprare vestiti così eleganti.

Il fotografo, però, aveva messo gli investigatori sulle loro tracce e questi,

forse subodorando ciò che stava accadendo, si spostarono a San Antonio.

Fu probabilmente quando si trovarono a San Antonio da Fanny Porter

che Butch, Sundance e Harvey Logan pensarono di fuggire in Sudamerica.

Proprio Logan, pur non essendo entusiasta dell’idea, suggerì di fare

un’ultima rapina prima di lasciare il paese.


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Il 3 luglio 1901 fermarono un espresso della Great Northern nei pressi

di Wagner, nel Montana, e fecero saltare il vagone merci portandosi via

migliaia di dollari in titoli bancari. Pochi mesi più tardi, mentre stava

cercando di cambiarli in banconote a corso regolare, Logan fu catturato

e messo in prigione.

Nel frattempo, Butch, Sundance ed Etta Place erano a folleggiare a New

York prima di partire per il Sudamerica. Pieni di soldi com’erano, comprarono


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gli abiti più eleganti della città. Vestiti come una coppia dell’alta società,

Etta e Sundance si fecero fare diverse fotografie presso lo studio che

De Young aveva a Broadway. Etta indossava una gonna di velluto ed

ostentava l’orologio acquistato da Tiffany. A guardarli, nessuno avrebbe

potuto sospettare che le loro origini fossero a ovest del fiume Hudson.


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Se già è difficile ricostruire i movimenti di Butch e Sundance negli Stati

Uniti la loro vita in Sudamerica è piena di cambi d’identità, documenti

lacunosi, vicoli ciechi e il tutto è reso ancora più confuso dalla fantasiosa

prosa di molti giornalisti.


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E’ rimasto integro il pezzo della lettera che Butch scrisse alla madre di

Elzy Lay. Era stata scritta il 10 agosto 1902 da Cholila, nella provincia

di Chubut, nell’Argentina meridionale. Sembra che i tre latitanti avessero

acquistato una fattoria vicino a Cholila con i nomi di George Parker, Harry

Longabaugh e Senora Longabaugh. In altre occasioni si faceva chiamare

Harry E. Place o Lewis Nelson. Butch si serviva di cognomi come Thompson,

Ryan, Maxwell o Gibbon.


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Per qualche motivo, probabilmente perché avevano finito i soldi i tre lasciarono

l’Argentina all’inizio del 1906. Nel marzo di quell’anno ci fu una rapina a

Mercedes; si disse che una donna avesse tenuto i cavalli per i due bianchi.

Di tanto in tanto ci furono altre rapine tra la Bolivia e l’Argentina.

La leggenda narra che nel 1906 o 1907, Etta Place si ammalò e chiese a Sundance

di riportarla negli Stati Uniti. Spacciandosi per Mr. Harry E. Place e consorte,

raggiunsero New York dove fermarono per un po’, per poi proseguire per

Denver, dove Etta fu ricoverata in ospedale. Alcuni sostengono che avesse

un’appendicite, altri che fosse incinta. Comunque sia, pagò il conto dell’

ospedale e sparì fisicamente, entrando con questo nelle leggende delle

donne dei fuorilegge.


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Sundance tornò in Sudamerica dove si unì a Butch in numerose rapine a

banche, convogli ferroviari e carovane che trasportavano oro.

Un giorno del 1908, i due audaci banditi entrarono con i loro cavalli a

San Vicente, in Bolivia, dove furono circondati dalla cavalleria boliviana.

Dopo tante e tante rapine senza mai uccidere nessuno, Butch Cassidy

fu costretto a fare la prima vittima.


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Come si concluse la sparatoria che ne seguì non è chiaro.

Forse Butch e Sundance furono uccisi, forse Sundance fu ucciso e Butch

riuscì a scappare o forse riuscirono a scappare entrambi.

La verità è che, come nella mitologia dei più grandi banditi, Butch e

Sundance si rifiutarono di morire.

Per buona parte di quegli anni di inizio 900 si accavallarono voci riguardanti

la loro esistenza in vita. Qualche ricercatore affidabile sostiene che non

ci fu alcuna sparatoria a San Vicente e che entrambi erano tornati negli

Stati Uniti.


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In un libro pubblicato presso una casa edistrice universitaria nel 1975, la

sorella affermò che Butch aveva visita alla sua famiglia nel 1925 e che

Sundance si riunì a Etta Place a Città del Messico, dove visse con lei per

un lungo periodo morendo poi nel 1957, venendo presumibilmente sepolto

a Casper, nel Wyoming.

Butch avrebbe preso il nome di William T. Phillis e sarebbe vissuto a

Spokane, nello Stato di Washington, finché non morì in una casa di riposo

il 20 luglio 1937.

(Dee Brown, Lungo le rive del Colorado)





 

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